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giovedì 26 marzo 2015

Anteprima del volume "Le Marche e la Prima Guerra Mondiale: il 1914. Piave o Adige?

Sta per essere pubblicato il volume n. 21 della Collana Storia in Laboratorio"
 dal titolo
 "Le Marche e la Prima Guerra Mondiale: il 1914"
Le Brigate di fanteria "marchigiane"
Brigate "Marche" "Ancona","Macerata", "Piceno", "Pesaro"

Copertina provvisoria soggetta a variazioni
Proponiamo un paragrafo del volume dedicato ad uno dei temi più scottanti relativi alla preparazione della Prima Guerra Mondiale

DIFENDERSI SUL PIAVE O SULL’ADIGE

1.4. La difesa del confine orientale.

Nelle memorie del gen. Cadorna emerge chiaramente come il patto di Londra dell’aprile 1915 e le sue clausole sia stato predisposto e negoziato nella assoluta non conoscenza e partecipazione dello Stato Maggiore dell’Esercito.
Cadorna lamenta che nulla era stato preventivamente concordato e coordinato, tanto che ancora nella primavera del 1915 l’Esercito era orientato sia ad una guerra alla Francia che una guerra ai confini orientali. E fu, quindi, perso tempo prezioso.
Questo scollamento tra diplomatici e militari è grave in quanto la questione  di una guerra ai confini orientali era sul tappeto da tempo. Mancavano i dettagli, ma nelle sue linee generali lo Stato Maggiore aveva predisposto piani per una guerra all’Austria già dal 1882.

a. Il piano di difesa di Ricotti Magnani 1870 - 1885
Al momento della stipulazione della Triplice Alleanza l’Italia era schierata decisamente con Germania e con l’Austria; l’alleanza stava a significare un preciso atteggiamento antifrancese. Tutti gli studi  erano orientati ad occidente, sul confine con la Francia e con la Svizzera. Ma non si credeva opportuno limitarsi a studiare piani in funzione antifrancese. In via cautelativa si iniziò a predisporre piani anche verso il confine orientale e predisporre le misure più idonee nel caso di una guerra isolata con l’Austria-Ungheria.
Nel 1870 l’idea generale di difesa era quella messa in atto dal gen. Ricotti-Magnani, che aveva individuato nella zona di Piacenza-Stradella, in cui radunare tutto l’Esercito, centrale, nella Pianura Padana, per poter fronteggiare la minaccia, da nord, da qualsiasi direzione provenisse.
Il documento fondamentale a firma di Ricotti-Magnani ha titolo “Relazione alla Commissione per lo studio della sistemazione a difesa nel teatro di guerra  a nord-est”, relazione presentata alla Camera nella seduta del 25 novembre 1870.
Era una concezione che resistette tra il 1870 ed il 1880. Con la costituzione della carica di Capo di Stato Maggiore nel 1882[1], dopo le manovre in Umbria, con baricentro Foligno, che vide l’impiego a partiti contrapposti di ben due Corpi d’Armata, con oltre 60.000 uomini. La situazione era mutata e si sentiva la necessità di mettere in essere studi su altri approcci concettuali.
I nuovi piani sono interessanti in quanto avranno importanza ed incidenza fino al piano generale di operazioni formulato da Cadorna nel maggio 1915, con cui entrammo nella Grande Guerra. I presupposti di questi nuovi studi erano dettati dal fatto che, nonostante l’Alleanza in essere, l’Austria era pur sempre quello che la tradizione risorgimentale definiva il “nemico ereditario”; inoltre, cosa a dire il vero alquanto inquietante, l’analisi dettagliata del trattato che legava l’Italia alla Germania ed all’Austria non era stato dotato di alcuna clausola militare, clausola o clausole che stabilissero in termini chiari gli impegni da prendere, e quindi, l’entità delle forze ed i loro schieramenti. Occorre dire che vi furono intese a partire soltanto dal 1888, come già si è visto.

!916. Dedica del Generale di Brigata Pietro Badoglio alla Brigata "Ancona"


b.Il piano di difesa di Enrico Cosenz  1885-1889
Infatti in quel 1882 il primo Capo di Stato Maggiore[2], gen. Enrico Cosenz, fece predisporre un piano[3] particolareggiato dal ten. col. Viganò.[4] E’ il primo studio organico di difesa del confine orientale, ma soprattutto è importante perché il Trattato della Triplice Alleanza, firmato solo tre anni prima, non prevedeva alcuna intesa militare, che stabilisse, in termini concreti, gli impegni assunti e quindi l’entità delle forze e il loro schieramento.

Il piano, era su sette paragrafi: a) condizioni generali dell’Italia di fronte all’Austria; b) condizioni iniziali dell’offensiva all’Austria; c) compito del Corpo Speciale; d) radunata dell’Esercito e successivi spostamenti; e) condizioni di lotta durante il primo periodo delle operazioni e passaggio dalla difensiva alla offensiva; f) ritirata dell’Esercito in caso di rovescio sul Piave; g) svolgimento dell’offensiva italiana verso Est. (Una di queste prevedeva anche l’arretramento e la resistenza sul Piave, nella convinzione che il confine, nella sua linea pedemontana, era indifendibile).
In pratica il piano prevedeva una iniziativa austriaca, con l’ipotesi di una resistenza iniziale sul confine, poi sul Piave; qualora questa fosse stata non sufficiente, si pensava di appoggiarsi a sinistra sulla piazzaforte di Venezia, e appoggiarsi alle piazzaforti come Cittadella e Bassano ed il centro avrebbe resistito sempre più in posto.
Lo studio poi prevedeva l’ipotesi di operazioni offensive e controffensive verso est, che prevedeva ipotesi che avrebbero permesso di assolvere il compito avuto, cioè di difendere il confine orientale. Negli anni successivi le singole fasi del Piano vennero sottoposte a sperimentazione mediante esercitazione per i quadri, previste nell’ambito degli studi per gli ufficiali di Stato Maggiore.
Lo studio del Cosenz venne via via perfezionato fino al 1889.

c.Il piano di Tancredi Saletta 1889 -1909
 Negli anni successivi le singole fasi del Piano Cosenz vennero sottoposte a sperimentazione mediante esercitazione per i quadri, previste nell’ambito degli studi per gli ufficiali di Stato Maggiore. Con l’assunzione alla carica di Capo di Stato Maggiore del gen. Tancredi Saletta, il piano Cosenz fu sottoposto, a radicale revisione, anche se parziali modifiche erano già state apportate a partire dal 1889. Tancredi Saletta lo aggiorna e predispone un nuovo piano nel 1904, che nelle sue linee generali è sempre imperniato sul concetto di una difesa dalla minaccia austriaca, cioè ha un impronta totalmente difensiva. Nonostante il rinnovo del Trattato della Triplice, i piani sono sempre aggiornati. Sono i tempi, come detto, che il Conrad voleva una guerra preventiva contro l’Italia ed il nostro Stato Maggiore non era insensibile a questa minaccia.

Nel dettaglio, appena nominato capo di Stato Maggiore,  il gen. Saletta mise a verifica, attraverso numerose esercitazioni con i quadri, le diverse ipotesi operative prese in considerazione dal generale Enrico Cosenz, in quanto appariva a tutti evidente che dovevano essere aggiornate.
Una prima innovazione fu quella di assicurare una maggiore difesa delle coste italiane, ritenendo opportuno schierare alcuni reparti rafforzando, nel meridione, alcuni punti ritenuti essenziali per la difesa del Paese. Una divisione fu posta alla difesa di Roma, una divisione fu inviata in Sicilia, un Corpo d’Armata in Puglia. Fu sciolto il Corpo d’Armata Speciale, incaricato di operare ad ovest del Tagliamento,  e le sue funzioni date a tre divisioni di cavalleria. Sul Piave si dovevano attestare la 2a e la 3a Armata, che dovevano spingere tre Corpi d’Armata tra Piave e Tagliamento, ed un quarto Corpo d’Armata si doveva spingere verso Belluno.
La riserva, a livello di Armata, venne dislocata più a nord rispetto allo studio Cosenz, nella zona di Padova, Lonigo-Rovigo.
Era questo uno studio innovativo che prevedeva, se tradotto, come fu, in piano operativo, una radicale revisione di tutta la predisposizione per la radunata e per la mobilitazione. La materia non fu di pertinenza del solo Stato Maggiore, ma anche di vari ambienti politici, diplomatici ed economici e soprattutto fu centrale nelle discussioni nei circoli militari italiani dell’epoca. Il dibattito sulla difesa del confine orientale divenne oggetto di conferenze, dibattiti e polemiche, spesso anche di qualche spessore. Appariva evidente che occorreva dare una concreta risposta alla ipotesi, prima nemmeno formulata, di una eventuale guerra con l’Austria-Ungheria. Anche il Parlamento non rimase estraneo al dibattito e nelle tornate del 1899 e 1900 ribadì che si doveva dare una concreta attuazione alla difesa del confine orientale.
Gli studi di Stato Maggiore si infittirono. Si pose come cardine di ogni studio che, data la potenza dell’Austria-Ungheria, l’Italia non poteva che assumere solo atteggiamenti difensivi. Dibattiti sorsero in merito alla valutazione da dare alle possibilità di difesa del Tagliamento: alla fine si arrivò alla conclusione che questo fiume non poteva, per le sue condizioni idro-geografiche, essere un ostacolo degno di nota su cui imbastire la difesa ad oltranza. Il fiume più adatto a questa funzione si ritenne fosse il Piave, ricco d’acqua, almeno in quegli anni, con sponde sopraelevate, ed appoggiato a due ostacoli naturali molto efficaci, quali il Montello a nord e la laguna veneta a sud; inoltre questo corso d’acqua era vicino ad importanti terminali ferroviari. Si concludeva, in quei anni, la discussione, iniziata con Ricotti – Magnani, che la difesa doveva essere imperniata non sull’Adige, ma sul Piave.
Il nuovo piano di guerra aveva le seguenti caratteristiche e peculiarità:
. ulteriori 150.000 uomini destinati alla difesa delle coste;
. la difesa del saliente trentino-tirolese, si organizzò in due settori: l’occidentale, dallo Stelvio al Lago di Garda, affidato ad un Corpo d’Armata autonomo su tre divisioni, con aliquote di truppe alpine; l’orientale, alla 1a Armata, costituito da quattro Corpi d’Armata;
. la riserva, costituita dalla 4a Armata concentrata tra Monselice e Padova;
. sul Piave vi era il nerbo delle forze italiane costituite dalla 2a e dalla 3a Armata;
. contro gli sbarchi lungo le coste della penisola si lasciava un Corpo d’Armata in Puglia ed una divisione a Roma.
Questo piano fu definito in tutti i suoi particolari e si provvide alla diramazione a tutti i livelli; completati e distribuiti anche i documenti di mobilitazione e di radunata.[5]

Francesco Aloe del 70 Reggimento Fanteria "Ancona", Brigata Ancona


d. Il piano di Alberto Pollio 1909 -1914
Alberto Pollio subentrò a Tancredi Saletta nel 1909. Sotto la direzione del gen. Pollio, l’Esercito uscì dalla sua impasse. La situazione politica internazionale procedeva sempre più evidentemente verso una maturazione che non lasciava adito a dubbi nei riguardi di una soluzione bellica dei gravi e inconciliabili dissensi esistenti fra le maggiori Potenze Europee. Al generale Pollio si poneva, perciò, il problema di una sollecita preparazione dell’Esercito, in vista di un conflitto nel quale sarebbe stato coinvolto. Numerosi provvedimenti, di vasta portata, e di notevole impegno, furono avviati a realizzazione: un consistente aumento della forza bilanciata, l’impianto di fortificazioni a sbarramento della linea del Tagliamento, della Carnia, del Cadore; l’ammodernamento delle artiglierie, alcune delle quali erano superate ed antiquate; la costituzione di notevoli scorte di munizioni e di tutti gli altri mezzi materiali occorrenti per una guerra che sarebbe stata di vaste proporzioni; il miglioramento del sistema ferroviario nazionale la cui situazione limitava alla linea del Piave  le possibilità di radunata dell’Esercito di campagna. A questi problemi di natura logistica si affiancava quello prettamente operativo che richiedeva, quale base primordiale, la revisione dell’intera dottrina tattica alla luce delle evoluzioni intervenute in Europa negli ultimi tempi. Furono affrontati, definiti o avviati a decisiva soluzione problemi organizzativi e di potenziamento, quali:
. la sistemazione difensiva della frontiera con l’Austria, che era stata esclusa, nei periodo precedenti, dalle predisposizioni fortificatorie in base alla situazione politica dell’alleanza in atto. Tale decisione si adeguava esattamente alle condizioni del momento determinante dall’atteggiamento austriaco ed era indice preciso di una evoluzione dei concetti e degli orientamenti politici italiani sul piano internazionale.
. l’adozione della ferma biennale per tutte le armi, ad esclusione dei Carabinieri,  con estensione dell’obbligo di leva a tutti i cittadini;
. incremento degli stanziamenti ordinari di bilancio mediante assegnazioni straordinarie  (che raggiunsero la cifra di 553 milioni) ripartite in più esercizi;
. l’integrazione con mitragliatrici dell’armamento della Fanteria e della Cavalleria;
. la progressione sostituzione del traino animale con il traino meccanico, entro i limiti dell’ancora scarso sviluppo di questo nuovo  e modernissimo mezzo tecnico;
. una prima creazione di una organizzazione aerea;
. l’ammodernamento e il potenziamento organico delle varie specialità di artiglieria (da campagna, a cavallo, da montagna, pesante campale, d’assedio);
. l’organizzazione, su razionale pianificazione, dei servizi di campagna.
Sul piano operativo i termini operativi di debolezza erano quelle tradizionali: maggior tempo per mobilitazione e radunata; rapporto di forze favorevoli (4 Armate contro le 12 o di più dell’Austria-Ungheria); mentalità difensiva di Capi e di quadri. Per la prima volta in uno studio dello Stato Maggiore dell’Esercito Italiano si ipotizzava che, contenuto il nemico, seguendo le circostanze, si doveva riconquistare il terreno perduto ed inseguire il nemico nel suo stesso territorio.
 Il piano di Pollio messo a punto del 1913 prevedeva:
. la 1a Armata lungo il saliente trentino dalla Valtellina-Valcamonica fino al Brenta;
. la 4a Armata a fronteggiare la rimanente linea di confine trentino dal Brenta a Pieve di Cadore ed a difesa dell’alto Cadore;
. la 2a Armata e la 3a Armata sul Piave tra Montebelluna al mare. La prima delle due con un corpo d’armata spostato in avanti verso il medio Tagliamento a sostegno dell’occupazione avanzata della Carnia; la seconda, invece, avrebbe dislocato un altro Corpo d’Armata a cavallo del Tagliamento inferiore ed a sostegno dell’occupazione avanzata del basso Friuli e delle tre divisioni di Cavalleria che si sarebbero radunate ad Udine, Codroipo e Latisana con il compito d prendere contatto con il nemico. Due Corpi d’Armata sarebbero restati uno a Padova ed uno sul Mincio a disposizione del Comando Supremo.
. era previsto anche un Corpo d’Armata ed una divisione per la difesa del territorio da sbarchi dal mare e la costituzione di un Corpo d’Armata d’osservazione lungo la frontiera svizzera.

Un interessante dato riguardante la mobilitazione italiana è il cambiamento del concetto base, avvenuto sul finire della gestione Pollio e l’inizio della gestione Cadorna (inizio estate 1914).  Fino al 1914, la radunata e la mobilitazione si soprapponevano. In pratica i reparti giungevano nelle zona di radunata e qui venivano implementati e completati per poi essere inviati in zona di operazione. Dal gennaio 1915 questo concetto di mobilitazione fu cambiato: si adottò il principio di compiere sul posto la mobilitazione scindendola dalla radunata, ovvero di completare le unità ed i reparti nei loro organici di guerra, nelle sedi stanziali, completare l’addestramento e poi avviare unità e reparti alla zona di radunata per essere prontamente impiegabili, senza ulteriori strascichi.
Questo sistema aveva l’indubbio vantaggio di mandare al fronte reparti ed unità già costituiti ed in grado di essere impiegati immediatamente, mentre con il precedente il completamento avveniva afflusso durante.
Si ebbe, a margine, fitti contatti con l’autorità politica, per definire il nuovo modello di mobilitazione. In breve la radunata e la mobilitazione del vecchio sistema fu definita “camoscio”, dal colore della carta su cui era scritta e stampata; il nuovo modello la radunata e la mobilitazione fu definita “rossa” in quanto era stampata su carta rossa.
In marzo Cadorna illustra ai dipendenti comandanti di Armata i lineamenti della mobilitazione e radunata “rossa”, e le peculiarità diverse rispetto a quella “camoscio”.

Pollio prese atto dei miglioramenti nella organizzazione dell’Esercito, il buon fine raggiunto dalla organizzazione in 1a, 2a, 3a, categoria che aveva dato la creazione e la disponibilità di numerosi reparti della varie armi. Si apportarono miglioramenti, alla vigilia dello scoppio della guerra, soprattutto nella difesa del saliente trentino e la difesa degli altipiani, e soprattutto del settore Brenta-Piave ritenuto molto critico.
Queste innovazioni non portarono ad una riformulazione del piano, ma ad un successivo e consequenziale aggiornamento della situazione operativa.
 Nel 1913 il progetto operativo era ancora vincolato alla difensiva: questo tenendo conto dei fattori di debolezza dell’Esercito Italiano rappresentati dai tempi molto lunghi di mobilitazione e radunata, dallo sfavorevole rapporto di forze con l’Esercito e dalla cronica mentalità difensiva. Tutto questo sommato significava che nelle prime settimane di guerra l’Esercito austriaco avrebbe conquistato tutto il Veneto.
 Pollio prevedeva, nel suo piano, che contenuto nel migliore dei modi l’attacco nemico, ipotizzava una manovra controffensiva da condursi sulla base delle circostanze del momento, al fine di conquistare il territorio italiano invaso e inseguire il nemico nel suo territorio.
 La caratteristica del piano di Pollio era che prevedeva, come novità, la possibilità di una controffensiva da lanciarsi appena avute le forze necessarie, dopo aver contenuto  l’iniziale azione nemica.
Tutto questo Pollio lo tradusse nelle “Norme generali per l’impiego delle Grande Unità di guerra”, datato appunto 1913.
Il punto di forza del piano Pollio era la constatazione che, in quell’anno, l’Italia, in un conflitto con l’Austria, ben difficilmente si sarebbe trovata sola; le forze alleate giunte in Italia avrebbero potenziato l’azione controffensiva, che mista anche all’irredentismo ed altri fattori contingenti, avrebbe permesso di conseguire la vittoria in termini accettabili.
 
Soldato in posa dal fotografo appartenente al 70 Reggimento Fanteria Ancona, della Brigata 2Ancona"
e.Il piano Cadorna. 1914-1915.
La morte improvvisa per arresto cardiaco, il 28 giugno 1914 del Pollio, la data dell’attentato di Sarajevo,  fece si che l’Italia perse una delle menti più illuminate e capaci della storia militare del primo novecento, soprattutto un generale capace di gestire la situazione in modo aderente alla realtà, adattando la teoria alla pratica e alla situazione con elasticità.
Successe al Pollio il gen. Raffaele Cadorna, che assunse la carica di Capo di Stato Maggiore il 27 luglio 1914, la data dell’ultimatum dell’Austria alla Serbia. Cadorna era sì preparato, ma con un carattere rigido e schematico, poco amante della improvvisazione e carente in modo assoluto di fantasia, caratteristica questa che non aiuta molto nell’Arte della Guerra. Il 2 agosto 1914 l’Italia proclamò la sua neutralità. I suoi metodi e le sue predisposizioni fanno sì che già il 21 agosto 1914 si ha un piano con cui l’Italia possa affrontare la situazione a firma Cadorna. Porta il titolo significativo: “Memoria riassuntiva circa un’azione offensiva verso la monarchia austro-ungarica durante l’attuale conflagrazione europea. Possibili obiettivi. Presumibili operazioni da svolgersi”[6]
In questo documento l’obiettivo fondamentale era da ricercarsi nel goriziano e nel triestino, mentre quello secondario era il Trentino. Era presa in considerazione anche la possibilità di effettuare sbarchi sulle coste dell’Impero, tra Fiume e Trieste, a premessa di ulteriori operazioni verso l’interno. Erano ipotizzate anche operazioni di sbarco tra Antivari e Metkovic con lo scopo di inviare delle forze di rincalzo a quelle del Montenegro o per dare a queste un concorso diretto per poter procedere all’occupazione dell’Erzegovina. La Memoria, una volta diramata, dette l’avvio agli ordini di schieramento delle Armate. In pratica questa Memoria prevedeva un attacco diretto all’Austria, prendendo subito l’iniziativa, disponendo di quattordici divisioni lungo i 500 Km di fronte dallo Stelvio alla Carnia, quindici nei 90 chilometri del fronte principale, quello isontino, e sette di riserva, orientate al concorso dell’offensiva principale. Le unità della Regia Marina erano orientate a sostenere l’azione dell’Esercito, lì dove era necessario e richiesto. Il 1 settembre 1914 la Memoria fu tradotta in direttive di dettaglio alle Armate, in cui venivano fissati i lineamenti per la radunata e la mobilitazione. Essenziale era ridurre al    minimo i tempi di radunata, affinchè l’azione offensiva fosse efficace.

Altre disposizioni furono emanate per gli obiettivi secondari, per l’organizzazione dei collegamenti e per le informazioni.
Perdurando la neutralità, e con l’arrivo della stagione invernale, il Comando Supremo prese in considerazione l’ipotesi di inizio di una guerra durante l’inverno; in conseguenza emanò direttive, il 15 ottobre, per aggiustamenti tali da poter affrontare anche una campagna invernale.
 La situazione rimane invariata per tutto il 1914. Il 27 gennaio il Comando Supremo, Ufficio del Capo di Stato Maggiore-Mobilitazione, emana direttive per garantire meglio i settori di copertura durante la mobilitazione per prevenire azioni offensive nemiche. Molti reparti a ridosso del confine sono portati ad organici di guerra.

Dopo di che il 1 aprile 1915 Cadorna emanò le varianti alle direttive del 1 settembre 1914. Queste permettono di passare, nel minor tempo possibile e senza grossi traumi, dalla concezione difensiva a quella offensiva e quindi essere pronti alla guerra, che sembrava sempre più ineluttabile.
Il Capo di Stato Maggiore gen. Cadorna, sulla base del  Trattato di Londra in base al quale l’Italia si impegnava ad entrare in guerra entro il 26 maggio, emise ordini chiari già dal 16 maggio. L’ordine di operazioni n. 1 riporta quella data, 16 maggio 1915. Questo ordine di operazioni costituisce, dunque, l’epilogo degli studi che lo Stato Maggiore sin dal 1885, iniziati dal gen. Cosenz, si erano succeduti per analizzare e pianificare le possibili operazioni sulla frontiera orientale.

Nella sostanza il Piano Cadorna aveva questa architettura:
. 1a Armata (due Corpi d’Armata ed una divisione) sulla fronte trentina dallo Stelvio a valle Cismon compresa;
. 4a Armata (due Corpi d’Armata) nel Cadore;
. Corpo della Carnia: (un Corpo d’Armata e sedici battaglioni alpini) dal Cadore al monte Maggiore;
. 2a Armata: (tre Corpi d’Armata) dal monte Maggiore alla strada Cormons- Gorizia compresa;
. 3a Armata: (tre Corpi d’Armata) dalla destra della 2a Armata al mare;
. riserva: (due Corpi d’Armata di tre divisioni di milizia mobile ciascuno) tra Verona e Desenzano, più una divisione dell’Esercito permanente a Bassano.[7]
L’entrata in guerra dell’Italia ed il piano di Cadorna non diede i frutti sperati. Il piano Cadorna, in tutta la sua essenza, era ispirato ad operazioni offensive figlie dirette del concetto di una guerra breve e risolutiva, e tendenti a raggiungere gli obiettivi strategici di Lubiana e di Trieste con gravitazione sul fronte del basso Isonzo. Prima ancora che al mancato concorso degli Eserciti russo e serbo, il fallimento del piano di operazioni di Cadorna fu dovuto a vari fattori che posiamo definire “tecnici”: carenza di fuoco, carenza di materiali adatti a superare le trincee ed i reticolati, scarsa organizzazione logistica. In più non vi erano alternative ad una rapida e decisa offensiva iniziale.
In breve, anche sulla fronte italiana come su quella francese, nel giugno 1915, quando fallisce l’azione iniziale, dalla guerra di movimento si passa alla guerra di logoramento, guerra ove tutto avviene in uno spazio ristretto che divora continuamente in misura imprevista uomini e materiali e che dà origine ad un circolo perverso. La vittoria può essere conseguita solo logorando in misura superiore l’avversario; per logorare l’avversario bisogna attaccare; per raggiungere gli scopi sia pur limitati dell’attacco bisogna accumulare uomini, cannoni, munizioni, materiali in misura tale da stremare a loro volta le forze morali e materiali dell’avversario e del paese, e ciò nonostante in misura sempre insufficiente.
La Prima Guerra Mondiale sul fronte italiano è tutta qui: una serie di battaglie che portarono l’Esercito Austriaco sull’orlo del collasso, ma costarono all’Esercito Italiano un grave logoramento morale e materiale.[8]
Nelle prime due settimane di guerra si vide che i piani erano insufficienti. Il voler a tutti i costi, dopo le prime battaglie offensive, continuare con gli stessi criteri di impiego, ed averlo ribadito per due anni di seguito fino a Caporetto, fu il più grave errore da imputare al Cadorna. I piani per la difesa del confine orientale furono fino al 1915 solo difensivi; questo avrà avuto una sua influenza nel momento della massima crisi nell’ottobre 1917 dopo lo sfondamento di Caporetto. Occorreva, con il senno di poi, fermarsi e riflettere di fronte alla incapacità di conseguire, a fronte di elevatissime perdite, un qualche risultato positivo. Quello che fecero i Tedeschi, ma, anche loro, solo dopo tre anni di guerra, e rivedere tutta l’architettura concettuale della Guerra. Ma questo è un altra storia.


 Le foto di questo post. sono state proposte da 
Massimo Ossidi, 
Vice presidente della Accademia di Oplologia e Militaria di Ancona, 
che ha promosso la pubblicazione del volume

[1] La carica di Capo di Stato Maggiore fu istituita su proposta del Ministro della Guerra, Ferrero, nella sua configurazione di carica permanente, e fu approvata dal Parlamento nel 1882 con R.D. n. 968, in data 11 novembre 1882.
[2] Dalla istituzione della carica di Capo di Stato Maggiore, 29 giugno 1882, al 24 maggio 1915, ricoprirono tale carica i seguenti generali:
.Ten. Gen. Enrico Cosenz dal 1 settembre 1882 al 1 dicembre 1893
.Ten. Gen. Domenico Primerano dal 1 settembre 1893 al 1 giugno 1896
.Ten. Gen. Tancredi Saletta dal 1 giugno 1896 al 1 giugno 1908
.Ten. Gen. Emilio Massone dal 27 giugno 1908  al 1 luglio 1908 (int.)
.Ten. Gen. Alberto Pollio dal 1 luglio 1908 al 10 luglio 1914
.Ten. Gen. Luigi Cadorna 10 luglio 1914 al 8 novembre 1917.
[3] Negli Stati Maggiori di ogni Esercito è norma predisporre piani che sono la diretta emanazione della politica ufficiale del Governo in carica; inoltre è anche norma predisporre piani e studi che sottendono ad ipotesi teoriche e realtà ufficiose, al fine di essere sempre pronti, nella evoluzione della politica governativa o nel mutarsi della realtà ufficiale ed internazionale ad affrontare con cognizione di causa ogni evenienza.
[4] Lo studio aveva il seguente titolo: ”Studio circa la difensiva e l’offensiva verso est”. Superava il concetto proposto da Ricotti-Magnani nel 1873 che per la difesa dell’arco alpino l’Esercito Italiano si doveva schierare in modo baricentrico all’arco stesso, e quindi prendere le decisioni sia essa proveniente dalla Francia, dalla Svizzera o dall’Austria.
[5] Ruffo M., L’Italia nella Triplice Alleanza. I piani operativi dello Stato Maggiore verso l’Austria-Ungheria dal 1885 al 1915, Roma, Ministero della Difesa, Stato Maggiore dell’Esercito, Ufficio Storico, 1998, pag. 157.
[6] Cfr.: L’Esercito Italiano nella Grande Guerra. Relazione ufficiale, Bollettino. II Bis Allegato 1, Ministero della Guerra, Stato Maggiore dell’Esercito, Ufficio Storico, 1929
[7] Ruffo M., L’Italia nella Triplice Alleanza. I piani operativi dello Stato Maggiore verso l’Austria-Ungheria dal 1885 al 1915, Roma, Ministero della Difesa, Stato Maggiore dell’Esercito. Ufficio Storico; 1998, pag. 167
[8] Botti F., La Logistica dell’Esercito Italiano (1831 – 1981), Roma, Ministero della Difesa, Stato Maggiore dell’Esercito, Ufficio Storico, 1991, Vol. II. 


Il volume è disponibile in tutte le librerie dal 15 aprile 2015 
Può essere richiesto alla Casa Editrice (ordini@nuovacultura.it) oppure alla Accademia di Oplologia e Miloitaria (Ancona Via Cialdini 26 - accademiadioplologiae militaria@yahoo.it) 
per informazioni: cervinocasue@libero.it

venerdì 20 marzo 2015

Ancona maggio 1918




FOTO DEL COLLE GUASCO PRESA DAL PORTO MOLO NORD NEL MAGGIO 1918. LA DATAZIONE E' STATA POSSIBILE PER LA DIDASCALIA RIGUARDANTE UN NOTO FATTO STORICO ACCADUTO IN QUEL PERIODO.

venerdì 13 marzo 2015

Ciclo di Conferenze per il Big Event

L'ACCADEMIA DI OPLOLOGIA E MILITARIA DI ANCONA HA PRESENTATO AL COMUNE DI ANCONA UN PROGRAMMA CONCERNENTE UN CICLO DI CONFERENZE SULLA GRANDE GUERRA, A CADENZA MENSILE, VOLTO AD ILLUSTRARE GLI ASPETTI SALIENTI DELLA GRANDE GUERRA NELLA DATA CENTENARIA DEL 1915.

venerdì 6 marzo 2015

Giornalisti Caduti nella Grande Guerra che avevano lavorato nelle Marche: Arturo Caruso

CHI ERA IL GIORNALISTA CAMPANO
 ARTURO CARUSO, 
CADUTO NELLA GRANDE GUERRA 
E MEDAGLIA D’ARGENTO AL VALOR MILITARE ALLA MEMORIA

Ex Direttore de "L'UNIONE" di Macerata e redattore de "L'ORDINE" di Ancona, oltre che giornalista il campano Arturo Caruso era anche avvocato e cavaliere della Corona d'Italia. Di laboriosità esemplare era dotato di una specifica competenza in tema di bonifiche.

Era nato ad ACERRA (NAPOLI) il 22/9/1883. Figlio di Filippo e Concetta, si era sposato con la cesenate Tina (Concetta per l'anagrafe) Vicini da cui aveva avuto 2 maschietti ancora in tenera età.

Era Segretario al Ministero dei Lavori Pubblici e per molti anni fu inviato in missione a Venezia presso il Magistrato delle Acque. Aveva quindi vissuto a Roma, nelle Marche e a lungo anche a Venezia. Nel 1915 scrisse "Le opere di bonifica di 2^ categoria nella vigente legislazione".

Combattè nella Grande Guerra come TENENTE del 122° REGGIMENTO FANTERIA Brigata MACERATA.
Morì eroicamente a DOBERDO’ - POLAZZO sul Carso il 26/7/1915. Nonostante fosse stato già colpito poco prima al braccio volle infatti lanciarsi ugualmente all'attacco di una trincea nemica alla testa del suo plotone. Ma la mitraglia nemica gli squarciò il petto. Morì gridando "Viva l'Italia!"

Dettero notizia della sua morte "Il Cittadino" di Macerata del 7/8/1915, "Il Veneto" e "L'Adriatico" dell'8/8/1915, "La Stampa" del 12/8/1915 a pag. 4 e del 30/8/1915 a pag. 4, nonché un giornale di Cesena con la sua foto.

Fu sepolto nel SACRARIO MILITARE DI DOBERDO’ / REDIPUGLIA tomba n. 7618

Nel 1922 gli venne conferita la MEDAGLIA D'ARGENTO A VALOR MILITARE ALLA MEMORIA con la seguente motivazione: "In aspro e cruento combattimento, alla testa del suo plotone, con ammirevole sprezzo del pericolo, riuscendo di valoroso incitamento ai suoi soldati, si slanciava all'attacco di difficile posizione nemica, tenacemente contesa. Colpito in petto e in fronte cadeva da prode sul campo. Polazzo, 26 luglio 1915".

Il suo nome compare a pag. 137 della Rivista mensile della Città di Venezia n. 5 maggio 1925, contenente i nomi dei cittadini veneziani Caduti nella Grande Guerra. Fascicolo con copertina da pag. 123 a pag. 224, nonché nell'Albo d'Oro dei Caduti, cliccare su:http://www.cadutigrandeguerra.it/Albo_Oro/Archivi/5/85.jpg


Il suo nome figura inoltre sulla lapide inaugurata da Benito Mussolini al Circolo della Stampa di Roma il 24 maggio 1934 e casualmente ritrovata in una cantina dell'INPGI. 


a cura di R. Franz per l'Accademia di Oplologia e MIlitaria di Ancona

Giornalisti Caduti nella Grande Guerra che avevano lavorato nelle Marche: Giuliano Bonacci

CHI ERA IL GIORNALISTA TOSCANO 
GIULIANO BONACCI, 
CADUTO NELLA GRANDE GUERRA 
E MEDAGLIA D’ARGENTO AL VALOR MILITARE ALLA MEMORIA

Il fiorentino Giuliano Bonacci, inviato di punta e corrispondente in zone di guerra del "CORRIERE DELLA SERA", redattore della "MINERVA" e del "GIORNALE d'ITALIA", ex redattore della "TRIBUNA", già inviato di guerra in Libia per "IL SECOLO" di Milano e Direttore del "FUORI I BARBARI" (pubblicato alla vigilia della dichiarazione di guerra con l'Austria), era Socio dell'Associazione Stampa Periodica Italiana di Roma. Giornalista pubblicista e avvocato, compì viaggi in Italia ed all'estero, dando sempre prova di invidiabili qualità di scrittore versatile e incisivo e di osservatore sagace. Apparteneva ad una nota famiglia di Jesi.

Era nato a FIRENZE il 9/12/1872, figlio di Teodorico e di Rosa Mancini.

Suo padre (Jesi 1838-Roma 1905) era all’epoca un noto giureconsulto ed autorevole uomo politico: fu ministro di Grazia e Giustizia nel I Governo Giolitti e nel V Governo Starrabba di Rudinì, poi Vicepresidente della Camera e senatore del Regno dal 1904, deputato per 8 legislature - a partire dalla 13^-, esponente della Sinistra costituzionale, Segretario generale del Ministero dell'Interno.

Come giornalista Giuliano Bonacci aveva viaggiato lungamente facendo servizio di corrispondenza nel Benadir, in Eritrea, in Somalia, poi in Libia, a Tunisi, da Pietrogrado in Russia e in Romania e infine in zona di guerra. Si occupava con grande amore di questioni coloniali ed era stato volontario garibaldino quando nel 1897 scoppiò la guerra greco-turca: partì con Ricciotti Garibaldi e si battè a Domokos nel battaglione del colonnello Mereu. Fu anche inviato di guerra nel primo conflitto dell’Italia unita, in Libia nel 1911.

Si conoscono i suoi articoli pubblicati sul "CORRIERE DELLA SERA" del 14/7/1908, 13/8/1908, 3/10/1911, 10/11/1911, 11/11/1911, 13/11/1911, 16/11/1911, 22/12/1911, 24/12/1911, 31/12/1911, 5/1/1912, 22/1/1912, 26/1/1912, 17/1/1914 e 28/1/1914.

Scrisse vari libri: “La nostra politica coloniale/dal protocollo di Londra (dicembre 1906) ai fatti di Lugh (dicembre 1907)”, 1908, pagg. 65; “Gli ultimi giorni di Bengasi turca: L'agonia del Mutessariflik della Cirenaica” (contiene anche: “La fase acuta della questione marocchina e gli interessi italiani”), 1912, pagg. 210; “Guerra italo-turca 1911-1912 – Diari e memorie”; “Gli italiani sul Gebel”, 1913, pagg. 30, estratto da “Rassegna contemporanea”, anno 6., serie 2, fasc. 11; "Il califfato, l'Islàm e la Libia”, 1913, pagg. 45; “Da Tolmetta a Marsa Susa e da Derna a Sidi Garbaa: discorso letto in Roma all'Associazione della stampa il 30 Maggio 1913”, 1913, pagg. 45 e “La seconda fase della grande guerra: nel Medio Oriente attraverso il ponte balcanico”, 1916, pagg. 45.

Partì volontario per la prima Guerra Mondiale  combattendo come CAPITANO del 237° REGGIMENTO FANTERIA Brigata GROSSETO (in precedenza era stato TENENTE del 234° REGGIMENTO FANTERIA Brigata LARIO).
Morì a 45 anni il 16/7/1917 nel Vallone di DOBERDO' ai piedi dell'HERMADA, colpito da una scheggia di granata austriaca.

Dettero notizia della sua morte il Corriere della Sera del 19/7/1917 a pag. 3 e del 21/7/1917 a pag. 4, l'Adriatico del 21/7/1917 a pag. 1, il Corriere di Livorno del 22/7/1917 a pag. 2, L'Ora di Palermo del 22-23/7/1917 a pag. 1 e il Bollettino della Federazione della Stampa del 25/7/1917. Il suo nome compare nell'Albo d'Oro dei Caduti, cliccare su: http://www.cadutigrandeguerra.it/Albo_Oro/Archivi/23/126.jpg.

La sua tomba si trova nel Vallone di Doberdò di fianco a “base Ferleti” (oggi frazione del Comune di Doberdò del Lago, in provincia di Gorizia).

Nel 1921 gli venne conferita la MEDAGLIA D'ARGENTO AL VALOR MILITARE ALLA MEMORIA, in commutazione della medaglia di bronzo alla memoria, con la seguente motivazione: "Pubblicista valente ed assai noto, e volontario di guerra, non più giovanissimo, volle sempre avere comando di truppe combattenti: carattere saldo, mente acuta e colta, modestissimo come pochi, con l'esempio e con la parola, fu sempre e dovunque animatore efficacissimo dei suoi soldati, che con ferma energia ed anima calda, seppe guidare e mantenere di fronte al nemico. Tornato dalla licenza, per aver saputo il suo reggimento in azione, sotto intensissimo fuoco d'artiglieria e bombarde, sereno, cosciente, con sprezzo del pericolo, con intuito felice ed efficace risultato, compì ardita azione dimostrativa, per alleggerire altrui la pressione del nemico. Cadde con parecchi dei suoi, colpito da granata, sulla dolina che da lui prese nome. Lagazuoi-Alto Cordevole-Carso 1915 maggio-giugno 1917".

L'intero Consiglio e molti Soci dell'Associazione della Stampa Periodica Italiana lo ricordarono a Roma all'Altare della Patria il 2 novembre 1918 assieme agli altri appartenenti all'Associazione Caduti in guerra (Mario Fiorini, Roberto Taverniti, Giuseppe Leoncelli - rectius Leonelli, ndr -, Luigi De Stasi, Renato Giovannetti e Vincenzo Picardi).

L'Associazione deliberò di affiggere subito nelle sale sociali i loro nomi insieme a quelli di coloro che combattendo meritarono la medaglia al valore" (Vedere la nota (1) in fondo a pag. 206 del XVIII capitolo "Le Associazioni della Stampa e l'opera loro" del libro " Giornalismo eroico" di Arturo Lancellotti, Edizioni Fiamma, Roma, 1924 di 264 pp. Con prefazione di Giovanni Biadene, Segretario Generale della Federazione Giornalistica Italiana).

Il suo nome figura inoltre sulla lapide inaugurata da Benito Mussolini al Circolo della Stampa di Roma il 24 maggio 1934 e casualmente ritrovata in una cantina dell'INPGI.

         

a cura di R. Franz per l'Accademia di Oplologia e Militaria di Ancona                                              

Giornalisti Caduti nella Grande Guerra che avevano lavorato nelle Marche: Gaspare Bianconi

CHI ERANO CHI ERANO I 3 GIORNALISTI 
BIANCONI, 
BONACCI E 
CARUSO, 
CADUTI NELLA GRANDE GUERRA CHE AVEVANO VISSUTO NELLE MARCHE O AVEVANO COLLABORATO CON GIORNALI MARCHIGIANI, MA CHE ERANO NATI IN ALTRE REGIONI. 

CHI ERA IL GIORNALISTA UMBRO 
GASPARE BIANCONI, 
CADUTO NELLA GRANDE GUERRA.

Giornalista de "L'ORDINE" di Ancona (era considerato uno dei migliori redattori), corrispondente de "LA TRIBUNA" da Norcia e Direttore della "GAZZETTA CAMERINESE" Gaspare Bianconi era di origini umbre. Avvocato, scrittore e giornalista liberale. Ingegno fervido, parlatore efficace, scrittore facile, concettoso, arguto. Cattolico dissidente si era riconvertito alla fede durante la 1^ Guerra mondiale.

Nato a NORCIA (PERUGIA) il 28/10/1889, era figlio di Giuseppe e Santina Buccolini. Aveva 6 fratelli: Luigi, Lucio, Marianna, Alina, Bianca ed Elio. Un suo antenato ha combattuto nella guerra d'indipendenza, mentre un suo nipote è stato Sindaco di Norcia dal 1964 e 1970.

A 21 anni si era laureato in Giurisprudenza a pieni voti all’Università di Camerino dove aveva iniziato a far pratica giornalistica.

Nella selezione all'Accademia di Modena per Allievi Ufficiali era risultato 24° su ben 3 mila allievi.

Combattè nella Grande Guerra come SOTTOTENENTE del 65° REGGIMENTO FANTERIA Brigata VALTELLINA.

Morì a S. Maria di Tolmino il 21/10/1915 nella 3^ Battaglia dell’Isonzo.

Tre giorni prima di morire scrisse dal fronte questa toccante lettera: “18 ottobre 1915. L'ora del cimento si avvicina. Lo preannuncia il rombo del cannone che da qualche ora echeggia cupo e minaccioso, sotto un cielo limpidamente azzurro, in una festa di sole che arride su questi monti, belli perché italiani; sacri, perché irrorati dal sangue della gente nostra. Io tranquillo attendo la mia ora. Che essa ci porti la vittoria e la gloria! A papà dico di farsi animo. Egli é un uomo che ha nutrito per la nostra Patria affetto profondo: quest'affetto mitighi in lui il dolore della mia perdita. A mamma raccomando di trovare nella fede un impulso alla rassegnazione".

Prima di morire volle dare un buon conforto anche alla mamma scrivendole: "ho messo a posto la coscienza con Dio! Sì! La mattina della partenza, a Padova, nella Basilica di Sant'Antonio, dopo tanti anni, sono tornato a confessarmi e a comunicarmi".

L'episodio é ricordato nel bel testamento da lui scritto poche ore prima che il piombo austriaco lo colpisse e che il Bollettino de “Il Messaggero di S. Antonio" e "Il Resto del Carlino" del 6/11/1915 a pag. 6 pubblicarono per intero. Davanti all'Arca del Santo si era, infatti, gettato ai piedi di un vecchio sacerdote che risvegliò nel suo cuore le energie della vita cristiana e lo preparò a ricevere di nuovo l'eucarestia dopo tanto tempo trascorso nell'indifferenza.

Nel toccante documento si legge: "Uno solo, forse, é il mio rincrescimento: di non aver potuto dare alla famiglia quell'aiuto che speravo di ritrarre dalla professione già bene avviata. Suppliranno a questo vuoto i miei fratelli e le mie sorelle, ne ho fede. Faranno di tutto perché la nostra famiglia continui il suo nome onorato sotto la vigile protezione dei poveri nonni ai quali volgo il mio pensiero". Poi parole affettuose ai congiunti: "Procurate di comportarvi come la mamma che ha dato tutta se stessa alla famiglia. Abbiatela ad esempio e imitatene le virtù." E infine: "Sono tranquillo. Ho la coscienza di non aver fatto del male nella mia breve vita. E' cosa ambita morire sul campo dell'onore".

Dettero notizia della sua morte "Il Resto del Carlino" del 2/11/1915 a pag. 6, "La Stampa" del 2/11/1915 a pag. 5 e del 3/11/1915 a pag. 4, "La Tribuna" del 3/11/1915 pag. 4 e il Bollettino della Federazione della Stampa del 25/11/1915.
Per OnorCaduti il luogo della sua sepoltura è sconosciuto, ma vi sono le foto della sua prima tomba e delle onoranze funebri. Da accertare se la salma sia stata poi trasferita nel SACRARIO MILITARE di OSLAVIA.
Alcuni suoi scritti sono riportati nel volume di Alfonso Ferrandina: "Fulgori di fede e fiamme d’eroismo", Napoli, 1919, pagg. 336.

Il suo nome compare nel 1° Elenco dei Caduti reso noto dalla Federazione della Stampa del 25 settembre 1916 e da "La Guerra Italiana" nella copertina del n. 23 del 15 ottobre 1916 dove è stato erroneamente indicato come Gaspare Biancone, nonché nell'Albo d'Oro dei Caduti, cliccare su: http://www.cadutigrandeguerra.it/Albo_Oro/Archivi/25/43.jpg.

Figura inoltre sulla lapide inaugurata da Benito Mussolini al Circolo della Stampa di Roma il 24 maggio 1934 e casualmente ritrovata in una cantina dell'INPGI.

Il suo eroico sacrificio fu ricordato da Ippolita Paolucci nella mostra tenutasi al Museo Nazionale della Montagna di Torino fino al 25 novembre 2007 “Paesaggi di guerra. Sguardi dal fronte alpino” con fotografie dei luoghi del fronte della Prima Guerra Mondiale da lei scattate dal 1997 al 2002 con una vasta ricerca bibliografica, affiancate dalle lettere scritte dai soldati tra il 1915 e il 1917.

Vari articoli in ricordo di Gaspare Bianconi sono stati pubblicati nel 2012 su "La Nazione" a firma del giornalista Gianfranco Ricci.


A cura di F. Franc per l'Accademia di Oplologia e Militaria di Ancona

Giornalisti Marchigiani Caduti nella Grande Guerra: Gaetano Serrani

CHI ERA IL GIORNALISTA MARCHIGIANO 
GAETANI SERRANI, 
CADUTO NELLA GRANDE GUERRA

Gaetano Serrani, Socio dell'Associazione Lombarda dei Giornalisti, nel 1914 gettò le basi assieme a Benito Mussolini e a Filippo Naldi per la creazione di un quotidiano interventista, "Il Popolo d'Italia", di cui fu redattore.

Figlio di Pacifico, era nato a TOLENTINO (MACERATA) il 6/11/1882.

Era sposato ed aveva 5 bambini in tenera età.
 Combattè nella Grande Guerra come SOTTOTENENTE del 29° REGGIMENTO FANTERIA Brigata PISA.
 Morì nell'Ospedaletto da campo n. 76 a ROMANS S. MARTINO SUL CARSO il 17/3/1916.
 Dette notizia della sua morte il Bollettino della Federazione della Stampa del 25/4/1916.
 Fu sepolto nel SACRARIO MILITARE DI REDIPUGLIA Tomba n. 34603.
Il suo nome compare nel 1° Elenco dei Caduti della Federazione della Stampa del 25 settembre 1916 e sulla copertina de "La Guerra Italiana" n. 23 del 15 ottobre 1916 e nell'Albo d'Oro dei Caduti, cliccare su:http://www.cadutigrandeguerra.it/Albo_Oro/Archivi/13/570.jpg

Gli è stata intitolata una via a Milano nel Villaggio dei giornalisti a Greco dietro piazza Istria (Vedere La Stampa dell'11/5/1923 a pag. 4).

Figura inoltre sulla lapide inaugurata da Benito Mussolini al Circolo della Stampa di Roma il 24 maggio 1934 e casualmente ritrovata in una cantina dell'INPGI. 

a cura di R. Franz per l'Accademia di Oplologia e MIlitaria di Ancona
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La avanguardia rossa delle Argonne: Amilcare Mazzini

CHI ERA IL GIORNALISTA MARCHIGIANO 
AMILCARE MAZZINI, 
CADUTO NELLA GRANDE GUERRA 
E MEDAGLIA D’ARGENTO AL VALOR MILITARE ALLA MEMORIA

Collaboratore-Corrispondente da Parigi de "L'ILLUSTRAZIONE DELLA GUERRA E LA STAMPA SPORTIVA" (con ufficio in Rue Geoffroy Marie 5), inserto de “LA STAMPA” di Torino, e collaboratore da Parigi de "LA STAMPA" di Torino, Amilcare Mazzini era Socio dell'Associazione Ligure dei Giornalisti e del Gruppo Corrispondenti Italiani di Parigi e professore di lingua francese.

Amilcare Mazzini era nato a Mondolfo (Pesaro e Urbino) alle ore 22 del 22/5/1894. Era figlio di Pietro (anch’egli giornalista e Socio dell'Associazione Ligure dei Giornalisti) e di Annita Ferretti (di Francesco fu Pietro), nata a Mondolfo il 2 Dicembre 1867 e morta a Mondolfo il 13 Maggio 1914.  Pietro e Annita si erano sposati il 24 novembre 1889 e vivevano in Francia in un primo tempo a Parigi già prima della nascita del figlio, poi a Lione dove Pietro lavorava come corrispondente de "il Caffaro" di Genova.

Partì volontario  per la Grande Guerra, pur non essendo costretto da alcun obbligo di servizio militare, ma animato dal più ardente amor di patria, dove combatté come ASPIRANTE UFFICIALE del 1° REGGIMENTO GRANATIERI.

Morì a TRESCHE' CONCA (ASIAGO) il 30/5/1916. Fu colpito alla testa da una pallottola di fucile austriaco. Suo fratello 18enne Aldo, partito anch'egli volontario, restò, invece, gravemente ferito in Trentino.

Dettero notizia della sua morte "La Stampa" del 1/10/1916 a pag. 4 e "L'Illustrazione della Guerra e la Stampa Sportiva" n. 41 dell'8/10/1916 a pag. 7. Il suo nome compare nel 1° Elenco dei Caduti della Federazione della Stampa del 25 settembre 1916 e sulla copertina de "La Guerra Italiana" n. 23 del 15 ottobre 1916.

Nel 1920 fu conferita alla memoria di Amilcare Mazzini la MEDAGLIA D'ARGENTO AL VALOR MILITARE con questa motivazione: "Incaricato di trattenere col proprio plotone il nemico, disimpegnava il suo mandato opponendo, con mirabile tenacia, energica ed efficace resistenza a forze molto superiori, e permettendo così al grosso della compagnia di accorrere sulla linea in tempo utile per respingerle. Poco dopo continuando a combattere, cadeva colpito a morte, da un proiettile avversario. Tresche Conca (Asiago), 30 maggio 1916". E' indicato al n. 45 tra i Caduti del Comune di Mondolfo.

Il 15 agosto 1926 furono solennemente inaugurati a Mondolfo il Parco della Rimembranza ed il Monumento ai Caduti con le aiuole ricche di fiori, ed al centro la stella simbolo dello Stato. Il Comune aveva infatti deciso di creare un Parco della Rimembranza affinché non si dimenticassero gli orrori della Grande Guerra ed il sacrificio di quanti lottarono per la libertà della Nazione.

Al centro del Parco, che é oggi uno dei soli nove Parchi della Rimembranza esistenti in tutti i 67 comuni della Provincia di Pesaro e Urbino, fu collocato il Monumento ai Caduti. Sullo sfondo, a mo’ di semicerchio, furono posti 77 alberi di leccio, uno per ogni soldato di Mondolfo morto nella guerra 1915-1918, quasi in un simbolico abbraccio verso il fante posto al centro del Monumento. Furono scelti i lecci sia per la longevità della pianta che può vivere anche 300 anni, “eternando” dunque il nome del soldato ad essa collegato, sia perché é una pianta assai diffusa nei “boschi sacri” della Roma antica, e dunque adatta per un luogo di “memoria”.

Figura inoltre sulla lapide inaugurata da Benito Mussolini al Circolo della Stampa di Roma il 24 maggio 1934 e casualmente ritrovata in una cantina dell'INPGI.

Compare nell'Albo d'Oro dei Caduti, cliccare su: http://www.cadutigrandeguerra.it/Albo_Oro/Archivi/13/378.jpg

Viene citato nel libro di Alessandro Berluti "Mondolfo e la 1^ Guerra Mondiale - Il Parco della Rimembranza e il Monumento ai Caduti" - Archeoclub d'Italia - Mondolfo 2001.

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cura di R. Franz per l'Accademia di Oplologia e Militaria di Ancona

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