Materiali per il Master di Storia Militare Contemporanea 1796 - 1960
La meritoria opera di Pasquale Rotondi
Sovrintende alle gallerie ed alle Opere d'Arte delle Marche
nel 1944-1945
per il salvataggio di inestimabili tesori d'arte.
L’Operazione Salvataggio
di Alessia Biasiolo*
Quando era diventato chiaro che una nuova
guerra sarebbe scoppiata in Europa, molti si resero conto che le opere d’arte
erano da mettere subito in salvo, sia per evitare che venissero distrutte da un
conflitto, sia per evitare trafugamenti a scopo di ottenerne denaro; oppure,
per evitare che cadessero in mano ai nazisti che avevano già condotto
operazioni di epurazione dell’arte definita degenerata.
Nel 1939, il Ministero dell’Educazione
Nazionale italiano, il cui ministro era Giuseppe Bottai, per idea del
funzionario Giulio Carlo Argan, decise di identificare le opere d’arte da
mettere in salvo e di incaricare il Soprintendente alle Gallerie e alle Opere
d’Arte delle Marche, amico di Argan, Pasquale Rotondi, di occuparsene. Rotondi,
dopo lunghe ricerche, scelse come luogo ideale dove ricoverare le opere, in
provincia di Urbino, una rocca fortificata, la Rocca di Sassocorvaro nel
Montefeltro. L’attività venne soprannominata Operazione Salvataggio.
Rotondi ottenne una Balilla, un camioncino e
quattro uomini per costituire il suo manipolo di salvatori di opere d’arte,
oltre al suo fidato autista Augusto Pretelli. Cominciò a selezionare le opere
da mettere al sicuro, trasferendole in casse dove potessero essere protette
anche durante il viaggio. Il gruppo imballò lavori di Tiziano, Piero della
Francesca, Lorenzetto, Tintoretto, Rubens, Caravaggio, quella che venne
denominata “la lista di Pasquale Rotondi”, detto lo Schindler delle opere
d’arte italiane. Accanto alle tele, anche ceramiche del Museo di Pesaro, ad
esempio, disegni, libri, spartiti musicali. L’attività divenne febbrile e un
giorno, al Furlo, passando con il camion carico, videro che la gente si
radunava davanti agli altoparlanti di una piazza: ascoltava l’annuncio di
guerra da parte di Mussolini. Era la guerra, allora, nel 1940, anche per
l’Italia.
L’Operazione doveva essere conclusa prima che
anche il fronte arrivasse nel Belpaese. “L’armata Brancaleone” dei quadri
doveva sbrigarsi.
L’11 giugno il manipolo trasferisce le opere
da Ancona; il 26 giugno da Macerata, e avanti così, finché era possibile e
finché di casse piene di opere ce ne stavano alla Rocca, malgrado il denaro
fosse limitatissimo e con scarsi mezzi.
Tutta la popolazione di Sassocorvaro aiutò
Rotondi in “un lavoro imponente”. Nessuno doveva sapere cosa contenevano le
casse che arrivavano giorno e notte in paese. Giulio Montagna, uno dei ragazzi
del posto, venne assoldato con gli amici per fare la guardia ad un camion
carico di casse che non passava per l’ingresso della Rocca. Nei documenti
Sassocorvaro non era mai citato con il suo nome per non indicare dove venivano
mandate le opere d’arte. Si diceva solo di contattare il prof. Rotondi perché
le opere venissero portate nel Ricovero, come veniva inteso nei messaggi.
Nell’agosto 1940 Sassocorvaro ospita già 77
casse e comincia a spargersi la voce tra gli addetti ai lavori della
possibilità di mettere in salvo le preziose testimonianze di secoli.
Rodolfo Palucchini, Ispettore della
Soprintendenza di Venezia, saputo della cosa, andò a visitare il Ricovero per
fare in modo di mettere in salvo anche le opere di Venezia. Rimase stupito
dell’organizzazione del Ricovero e così diede disposizione di mettere le opere
selezionate in casse di legno, portate sulle gondole a piazza Venezia e quindi in
camion a Sassocorvaro. Non senza rischi e problemi.
Il 16 ottobre 1940 arrivano 54 casse e 16
rulli con più di 100 opere, tra cui “La tempesta” del Giorgione, forse uno dei
quadri più rari e suggestivi che possiede l’Italia. Si contano in tutto 34
rulli e 132 casse.
Nel 1941, comincia l’offensiva in Grecia e
Iugoslavia, poi l’Operazione Barbarossa. Si teme sempre di più per il
patrimonio artistico.
Rotondi, intanto, incomincia il controllo
delle casse e delle opere ivi contenute, operazione che ripete spesso per
controllare che non ci fossero danneggiamenti, muffe e altri pericoli per le
delicate ospiti della Rocca, ma le opere sono tutte a posto.
Antonio Magi, abitante di Sassocorvaro,
testimonia come il timore di quadri rovinati mettesse in ansia Rotondi. Le
uniche persone che sapevano davvero cosa c’era nelle casse erano la moglie Zea
e il fedele autista Augusto.
Quando Rotondi tornava tardi a casa a bordo
della sua Balilla, si annunciava con tre squilli di campanello e un fischietto
di famiglia per farsi riconoscere, dicendo alle sue bambine Paola e Giovanna di
corrergli incontro. Chiudeva fuori casa il lavoro, per mantenere la serenità e
apparentemente le occupazioni di routine, malgrado custodisse un segreto così
grande.
Nel novembre 1942 cambiano le sorti della
guerra con la resa italiana nel nord Africa; l’11 dicembre le truppe sovietiche
cominciano la controffensiva e l’Armir si deve arrendere.
Tutti prendono contatto con Rotondi per
salvare le opere dei propri musei, perché la vittoria nazifascista non è più
così certa.
Il commendatore De Tomasi lo convoca a Roma
per parlargli delle richieste di far pervenire a Sassocorvaro le opere, ma la
Rocca era già piena, e così Rotondi dice di avere già individuato un altro
ricovero nel palazzo dei Principi di Carpegna, a pochi chilometri da
Sassocorvaro. Nella Sala Verde del Palazzo, il 15 febbraio 1943, avvenne il
primo incontro tra l’incaricato dell’amministrazione dei principi e Pasquale
Rotondi, come ricorderà Francesco Falconieri, principe di Carpegna, per
trattare la disposizione delle opere nei loro locali. Tra aprile e giugno 1943
arrivano tanti lavori di Raffaello, Bramante, Masaccio, Mantegna, da Venezia,
Milano, e altre città: nessuna assicurazione sarebbe stata in grado di valutare
il valore di tutto quel patrimonio.
Dal Conservatorio di Pesaro vengono
depositate due casse e un baule contenente manoscritti e cimeli di Rossini,
collocati al piano superiore del palazzo.
Ad un certo punto del conflitto bellico
Rotondi si è trovato custode di una massa di capolavori: 3.800 opere di
pittura, scultura e arti minori, mentre 4.000 pezzi erano costituiti da
materiale bibliografico e archivistico. Intensifica anche la sua attività di
controllo perché ha paura dei furti e dello stato di conservazione delle opere,
così come delle notizie sempre più preoccupanti che arrivano dal fronte. Fino a
quando, il 10 luglio 1943, si realizza lo sbarco alleato in Sicilia. I custodi
dei due ricoveri sono contenti perché pensano di potere andare a casa, ma
Rotondi capisce che bisogna avere prudenza ancora. Cominciano infatti ad
arrivare le truppe tedesche in Italia.
“Dopo l’8 settembre c’è stato un momento di
grande smarrimento”, dirà Rotondi. “Avere la responsabilità della custodia di
una quantità così notevole di grandi capolavori, ma non avere più qualcuno al
quale potersi rivolgere nel caso di necessità” lo viveva con apprensione e
scoramento, non sapendo bene che fare per proteggere e difendere le opere che
gli erano state affidate.
A Urbino nessuno ha notizie certe. L’unica
fonte affidabile era Radio Londra che Rotondi ascoltava regolarmente con le sue
formule passate alla storia: “Felice non è felice”, “I cavalli scalpitano”, “La
mia barba è bionda”, “La mucca non dà latte”. Frasi in codice per comunicare
con i gruppi partigiani o con le truppe o con gli infiltrati nei territori
nemici. Frasi che cercavano di mantenere alto il morale di chi ricominciava ad
avere speranza di uscire dal buio delle dittature. In quel momento di
confusione, un altro pericolo minaccia il patrimonio artistico italiano.
I tedeschi hanno fondato a Bergamo il
Kunstschutz, un ufficio per la protezione delle opere d’arte; in realtà dietro
la facciata di un’istituzione culturale si nasconde il progetto di trafugare in
Germania quante più opere d’arte italiane, al comando di un colonnello delle
SS. Per ordine di Himmler, su un’ambulanza, vengono trasferite in Germania per
Hitler opere viste dal Führer a Firenze. Goering, invece, riceverà 16 casse da
Montecassino per la sua collezione privata.
Fortunatamente, per una intuizione, Rotondi
aveva tolto dalle casse tutte le etichette del contenuto, rendendo difficile
capire di cosa si trattasse, se non costringendo le SS ad aprire cassa per
cassa. A Carpegna, intanto, proprio le SS sono entrate nel palazzo per vedere
se c’erano opere d’arte nascoste.
I carabinieri a guardia delle opere vengono
disarmati e portati via.
Subito Rotondi tenta di mettersi in contatto
con il comandante tedesco, minimizzando il valore delle casse e protestando per
l’arresto dei carabinieri.
I nazisti si sono accaniti in particolare su
una cassa che conteneva i manoscritti di Rossini. Una volta aperto il
contenitore, vedendo le carte dissero, in tedesco “Cartaccia” e se ne sono
andati. Accanto alla cassa di “cartaccia”, un’altra conteneva il tesoro di San
Marco.
A quel punto, Rotondi capisce che le opere
d’arte in sua responsabilità sono in pericolo. Va dal prefetto di Urbino per
protestare per l’arresto dei carabinieri ed avere mezzi per trasportare le
opere. Il prefetto non ha più autorità, tutto è nelle mani dei tedeschi. Non
c’è più nessuno in alto, erano rimasti tutti senza una guida. Rotondi si sente
perso e scoraggiato, solo.
I tedeschi non sono ancora arrivati alla
Rocca, quindi Rotondi decide di giocare d’anticipo il tutto per tutto. In modo
razionalmente folle.
Prende alcuni capolavori maggiori di piccole
dimensioni, facilmente trasportabili, li mette nella Balilla in morbide coperte
portate da Urbino. Lui e il fido autista, partono e vanno alle porte di Urbino
dove c’erano molte pattuglie delle SS in cerca di mezzi e munizioni, come gli
dice la moglie Zea che lo aspetta per avvisarlo. Ripiegano allora alla
Tortorina, una piccola villa di proprietà nelle vicinanze di Urbino dove
scaricano i capolavori e li nascondono nella sua camera da letto, dormendo con
esse. Quello fu il momento in cui Rotondi ebbe davvero molta paura. Allo stesso
tempo, l’emozione di avere in casa quei capolavori è forte: Pasquale e la
moglie restano svegli per ore a contemplare i capolavori. “San Giorgio” di
Mantegna, ad esempio. “La tempesta” stesso. Addirittura la moglie non si alza
per un giorno intero dal letto per proteggere le tele e fare la guardia a “La
Tempesta”.
Dopo qualche giorno le SS lasciano la zona e
le opere vengono trasferite al palazzo di Urbino dove sono al sicuro. Nei
ricoveri dalle spesse mura di un tempo, il rischio in caso di bombardamenti è
ridotto rispetto che altrove, come pure alcuni siti non avrebbero dovuto essere
presi di mira.
Il pericolo rimane per le altre opere sulle
quali Rotondi non ha più titolo né per custodirle né per trasportarle.
Da Venezia gli arriva, tuttavia, un aiuto
insperato. Gli scrive il patriarca di Venezia che sperava che il trasporto da
Carpegna a Urbino non comportasse alcuna difficoltà trattandosi di un tragitto
relativamente breve; in mancanza di mezzi l’alto prelato suggeriva di usare
carri trainati da cavalli.
Non c’è però l’autorizzazione da parte
dell’ufficiale tedesco della guarnigione, che manda subito un soldato a
chiedere istruzioni al comando dal quale Carpegna dipende. Mentre attende la
risposta è a rischio anche l’incolumità di Rotondi. La staffetta tedesca, dopo
tre ore, torna con la risposta: possono trasportare le opere, ma solo quelle di
proprietà della Chiesa.
Il contenuto delle casse è irriconoscibile,
così Rotondi può trasferire a Urbino tutte le casse con le opere, operazione
che il patriarca di Venezia ribattezzerà “Il miracolo di San Marco”.
Mancano ancora i mezzi di trasporto, ma
finalmente trovano un camionista disponibile a trasportare le casse e il camion
viene stipato di opere, non solo il tesoro di san Marco, ma anche casse con
opere di Milano e Roma; con l’autorizzazione dei tedeschi, i salvatori di opere
d’arte possono andare via da Carpegna, ma fanno una deviazione per Sassocorvaro
per caricare la predella di Paolo Uccello e altre opere, finché ce ne stavano.
La sera arrivano a Palazzo Ducale di Urbino, per mettere tutto al sicuro, anche
se i bombardamenti continuano e sono sempre più probabili le razzie dei
tedeschi che vogliono arricchire le collezioni private di Hitler e Goering. I
nazisti diventano sempre più sfrontati, soprattutto se le opere sono di ebrei.
Dopo la terribile battaglia di Cassino, che porta alla distruzione
dell’abbazia, molte opere d’arte italiane prendono la via della Germania.
Alcuni funzionari del Ministero
dell’Educazione che non hanno aderito alla RSI sono dimissionari, ma si
impegnano lo stesso per salvare le opere, pensando che l’unico posto sicuro
dove nasconderle sia il Vaticano. Giulio Carlo Argan va a sondare la
disponibilità di Pio XII attraverso mons. Montini, il futuro papa Paolo VI, ora
santo.
Secondo Bernardo D’Onorio, abate di
Montecassino, la posizione del Vaticano per le opere d’arte è stata stimata da
tutti, malgrado la delicata posizione politica di quei giorni.
Erano probabili anche vendette dei tedeschi,
che potevano decidere, come in alcuni casi successe, di distruggere le tele con
il lanciafiamme pur che non cadessero in mano nemica o che restassero alla
traditrice Italia.
Rotondi continua la sua opera di salvataggio
da Sassocorvaro verso Urbino, palazzo ducale e cattedrale.
Il 18 dicembre 1943 trova a Urbino un
telegramma del Ministero che lo invita a dare le opere al funzionario Emilio
Lavagnino che le trasferirà in Vaticano: sarebbe arrivato con camion e scorta
armata quella sera stessa, ma sono già le 22 e non c’era ancora nessuno.
L’indomani arrivarono. Lavagnino era
ispettore centrale del Ministero, suo amico, accompagnato da Nicoletti, sempre
del Ministero, da un gruppo di facchini e da un sottufficiale delle SS, il
tenente Schalbert.
Rotondi è determinato: il tenente non dovrà
ricevere niente, nemmeno sul verbale di consegna dovrà comparire il nome del
tedesco!
La sua presenza sarebbe stata utile qualora
durante il viaggio ci fossero state problematiche di ragione militare. La
moglie di Rotondi fa ubriacare il milite
che l’indomani dimostra di essere consapevole
dell’accaduto, tanto che li poteva fare fucilare, ma non ha approfondito e li
ha lasciati stare. Il tenente sembrava un buon uomo, anche se tracotante come
tutti i tedeschi.
Il viaggio è andato benissimo: il 23 dicembre
gran parte delle opere sono al sicuro dentro il Vaticano. Il fronte avanza.
Rotondi si mette all’opera per salvare il patrimonio artistico locale,
ricominciando daccapo l’operazione di salvataggio. Andrea Emiliani, storico
dell’Arte, ricorda i metri di neve di quell’anno, l’inverno freddissimo del
1944. Ancora con Augusto Pretelli e la Balilla Rotondi va in cerca di opere.
Nell’aprile tutto il Montefeltro è in mano ai tedeschi e chiunque può essere
arrestato. Anche Rotondi, perché il carabiniere, leggendo polittico di Crivelli
durante un controllo, pensava a politico e lo ha arrestato per alcune ore,
sospettando viaggiasse per motivi politici. Tutto viene portato alla Rocca
ancora: 127 casse, 8 rulli, 1 baule e 3000 volumi. Sorte diversa al Museo
Archeologico di Ancona distrutto dalle bombe alleate che erano destinate al
porto. Pochi giorni prima Rotondi aveva detto al sovrintendente che avrebbe
portato in salvo le opere, ma quegli non volle.
Furiosi combattimenti si ebbero anche intorno
a Sassocorvaro, ma le mura della Rocca ressero, come Rotondi aveva previsto.
Le truppe alleate entrano a Urbino il 9
settembre 1944 e liberano anche Sassocorvaro, borgo e Rocca. Nei mesi
successivi il professore continua tranquillamente a controllare le opere da lui
salvate fino alla fine della guerra. Nessuna opera ha subito danni. Infine,
consegna ufficialmente al Comune di Sassocorvaro la Rocca e il suo prezioso
contenuto, in grande tristezza, ma anche con sollievo.
Solo il sindaco di Sassocorvaro Oriano
Giacomi, sindaco dal 1980-1988, ha scoperto la storia di Rotondi. Lo cercò
dappertutto, fino a trovarlo in Vaticano nel 1983, verso la Cappella Sistina.
Rotondi gli disse che era ora che qualcuno si ricordasse di quella storia, per
la quale ricevette, nel 1986, la cittadinanza onoraria di Sassocorvaro e il
Comune, nel 1997, ha istituito il “Premio Pasquale
Rotondi” per chi si distingue nello salvare opere
d’arte.
Dopo la guerra Rotondi divenne sovrintendente
alle Belle Arti di Urbino, poi di Genova, mentre continua l’attività accademia.
Dal 1961 è direttore dell’Istituto Centrale del Restauro e dal 1973 diventa
consulente del Vaticano per il restauro della Cappella Sistina.
Muore nel 1991 a Roma investito da una
motocicletta. Nel 2005 venne conferita alle figlie la Medaglia d’Oro al Merito
Civile, in memoria del padre.
* Collegio degli Scrittori della rivista "Quaderni" del Nastro Azzurro
abiasiolo@tin.it