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mercoledì 29 settembre 2021

Ancona La Piazzaforte 1860 L'invasione. Il nemico è a conoscenza di tutti i dettagli della Piazzaforte

Ancona Piazzaforte Pontificia

1. La Piazzaforte di Ancona nello Stato Pontificio. La storia. 2. Le opere principali della Piazzaforte. 3. Il nemico è a conoscenza di tutti i dettagli della Piazzaforte 4. I miglioramenti della Piazzaforte del de La Moricière dall’aprile al settembre 1860. 5. I dati tattici della Piazzaforte: il terreno e le comunicazioni,i punti tatti, l’armamento. 6. La Guarnigione, la consistenza teorica e quella effettiva. 7. Le Caserme. 8. Il Vettovagliamento. 9. Il Morale

Massimo Coltrinari 


3. Il nemico è a conoscenza di tutti i dettagli della Piazzaforte

La difesa della Piazzaforte era svantaggiata dal fatto che tutte le opere fortificatoria erano a conoscenza, fin nei minimi dettagli, del nemico, ovvero del Comando Sardo, ovvero non si poteva fare affidamento su eventuali azioni che lo sorprendessero nel corso delle operazioni. Inoltre, come vedremo, la conoscenza esatta delle opere della Piazzaforte, permise al generale Fanti di valutare appieno il risultato della giornata del 18 settembre. Fu in grado di valutare esattamente che la difesa Pontificia non era in grado di presidiare e difendere le opere della difesa esterna di Ancona, per mancanza di personale e quindi si poteva immediatamente investire la difesa interna e tentare di conquistare la piazzaforte fin dai primi attacchi.

La Rivista Militare, a conferma che il Comando era a conoscenza di ogni dettaglio sulla Piazzaforte, in un numero edito nel 1861,[1] presenta Ancona come la principale stazione romana sull’Adriatico, e venne perciò fortificata sin dai tempi dell’antichità ed ebbe a sostenere sino dai tempi più antichi numerosi assedi per terra e per mare.[2] Prosegue facendo un quadro generale che così si può riportare: “Ancona capitale dell’antico Picenum, vuolsi sia stata fabbricata verso l’anno 408 avanti l’era volgare da certi Siracusani che ivi si ripararono fuggendo le persecuzioni di Dionigi il Tiranno; vuolsi inoltre derivato il suo nome da una parola greca (Ancon) che significa gomito, tale essendo la forma del sito in cui se ne gettarono le fondamenta. Fu una delle principali stazioni marittime dei Romani sull’Adriatico, i quali si convertirono in colonia Romana circa 150 dopo la sua fondazione. Vitige Re dei Goti l’assediò e la prese nel 538. In appresso fu sottomessa dai Longobardi. I Saraceni la rovinarono poi nel 853 e ricadde nella oscurità, rimanendo quasi ignorata durante le guerre civili dell’Italia e la destra fortuna della veneta Signoria. Si dichiarò poscia repubblica ponendosi sotto la protezione dei Papi, ma nel 1532 Clemente VII abusando di questo patronato, se ne rese assoluto signore. Nel 1797 cadde in potere dei Francesi .Il generale Le Monnier con un presidio di 2000 uomini strenuamente la difese contro le forze collegate dei Prussiani, dei Turchi e dei Russi, degli Austriaci e degli Inglesi che l’assalirono per mare e per terra  e quando capitolò nel 1799 non aveva che poco più di 200 uomini capaci di portare le armi. Il fatto è tanto più meraviglioso in quanto che il Monte Cardetto ove intesero le maggiori offese, non era allora fortificato, siccome lo fu poscia per ordine di Napoleone. Nel 1815 Ancona fu occupata e quindi abbandonata dalle truppe napoletane capitanate dal Murat e gli Austriaci la smartellarono in gran parte per farne saltare i bastioni. Nella rivoluzione del 1831 dell’Italia media, Ancona fu ultimo asilo dei sollevati e rimessa dai Tedeschi nella devozione del Papa. Fu nottetempo dai Francesi sorpresa ed occupata per gli interessi della politica di quel Governo e stanziarono nella cittadella, riparandone le ruine sino alla fine del 1838. Gregorio XIV usciti i Francesi pensò porre questa piazza in buono stato di difesa e vi fecero molte novelle costruzioni. Anche Ancona fra le città che maggiorente si distinsero per l’eroismo del popolo nella guerra dell’indipendenza italiana. Senza tener conto del patriottismo mostrato dai ricchi e dai poveri suoi cittadini ad ogni modo di sacrifici, noi ci  a menzionare l’eroica sua resistenza contro gli Austriaci. Assalita da questi il 1° giugno 1849 perdurò nella difesa per ben quindici giorni sotto un tremendo grandinare di bombe e di razzi e vi perdurò in mezzo alla  fame ed agli spasimi della sete, giacché ogni lato di terra e di mare era dal nemico strettamente bloccata, e la penuria del vitto e dell’acqua cominciò a farsi sentire fino dai primi giorni dell’attacco. Con tutto ciò tanto era l’ardore per la resistenza. Che il solo parlare di resa era ritenuto delitto di morte. Ma anche la costanza umana ha i suoi limiti; e dopo aver sofferto un tremendo bombardamento generale che perseverò  dal 14 al 17 giugno stremati d’ogni esterno soccorso, quegli eroici cittadini dovettero piegarsi ad un accordo, e lo stesso maresciallo Wimpfen, ammirato dal valore e dalla costanza della difesa, concesse alla città una capitolazione assai onorifica, la quale venne conchiusa la sera del 18. Dista 160 miglia a greco di Roma, ed ha 25000 abitanti nelle sue mura; 38000 se vi comprendono tutti i sobborghi e le vicine campagne.[3]  

Come si ebbe modo di sottolineare[4], le sue fortificazioni, nel 1860, non erano tali da far classificare Ancona come piazzaforte di primo ordine attesochè mentre esse non si possono riferire a verun sistema regolare e completo, e sono in molti luoghi imperfette, difettose e deboli, le maggiori difese della piazza consistono piuttosto nella configurazione naturale delle località, che nella robustezza e maestria dei suoi antemurali. La città è sita a ridosso di uno svolto montuoso della costa, in forma quasi di una semiconca aperta verso maestrale. Due moli, l’uno (orientale) di solida muratura e armato, l’altro fatto di grossi macigni sovrapposti alla rinfusa, ne chiudono il porto che è assai spazioso e sicuro, ed ha un ingresso largo poco meno di 500 metri. Verso la marina la città non è difesa che da alcuni parapetti di pietra e da bastioni quasi tutti scoperti sino ai piedi, se pur si accentua il tratto di mura fra Porta Pia ed il bastione di Sant’Agostino, che solo merita il nome di fortificazioni; indi in là, sono aperti gli scali del porto.

A manca la cinta cittadina si appoggia al Lazzaretto, ch’è è una specie di grosso ridotto di muratura circondato da un braccio di mare e comunicante colla terraferma per un ponte di legno. Questo ridotto è sotto il fuoco del fronte di Porta Pia , della spianata di Capo di Monte nonché del bastione maestrale della Cittadella. Tre pezzi armavano i bastioni del Lazzaretto per battere l’ingresso della rada, mentre le altre batterie del porto ne avevano soli 25 né potevano averne di più; ed erano questi per calibro e portata di gran lunga inferiori ai nostri.

A destra, l’estremità del molo orientale è difesa dalla batteria della Lanterna a tre facce e a due piani, l’uno in barbetta, armato di 3 pezzi, casamattato, l’altro portante 9 pezzi, cioè 3 per ogni faccia. Questa batteria per la sua posizione troppo avanzata nel mare ed isolata dalle batterie della costa, non potendo fornire contro i legni d’attacco, se non se un fuoco divergente, mentre ne viene battuta da un fuoco concentrato riesce di non gran valore, e assai compromessa.

Più indietro al porto il bastione di S. Agostino armato di un sol pezzo da 18 e quello di Santa Lucia armato di 3 pezzi dello stesso calibro, sono ben meschine difese. Verso tramontana alla punta e sul rialto di Monte Marano havvi una batteria di questo nome protetta da un’altra scogliera e destinata a battere quegli accessi marittimi collegando per quella parte le difese marittime colle terrestri.

Dal lato di terra le fortificazioni sono assai più solide che non le marittime. La cinta è ivi rafforzata in due punti culminanti alle sue estremità: alla sinistra ( a greco) il cavaliere dei Cappuccini; alla destra ( a ponente) la cittadella col campo trincerato. In questo tratto di cinta sono aperte due porte, poco discoste l’una dall’altra, la porta Farina e la porta Calamo, fiancheggiata la prima dalla faccia sinistra del bastione di San Pietro, e protetta la seconda dalla batteria degli Zoccolanti.

Le maggiori difese del cavaliere dei Cappuccini sono rivolte al mare verso levante a proteggere quella costa , mentre la sua spala destra batte la falda occidentale di Monte Cardetto e fiancheggia il bastione di S. Pietro verso piazza degli Orti.

La Cittadella è un grosso ridotto a 4 fronti irregolari e a 3 bastioni che spalleggiando la destra della cinta, ne unisce le difese terrestri alle marittime per mezzo del fronte di Porta Pia.

Sull’estremità sinistra a 450 metri al Cavaliere dei Cappuccini, sul monte Cardetto (300 metri sul livello del mare) riscontrasi quale opera avanzata il forte detto del nome di esso monte. Questo forte, formato di un fronte bastionato con rivellino è rivolto ad ostro e batte la piana degli orti non che le alture di Santo Stefano e di Monte Pulito; il suo mezzo bastione di manca si appoggia agli scogli della costa, mentre il bastione di destra, che per una strada coperta si congiunge alla cinta della piazza sotto il cavaliere dei Cappuccini, difende gli accessi di Porta Farina e di Porta Calamo, e batte la rada con tiri piuttosto ficcanti. Le sue fortificazioni sono di buona muratura e di moderno sistema, costruite per ordine di Napoleone susseguentemente all’assedio del 1799 e poscia perfezionate dal governo pontificio.

Ad rafforzar la destra, dinanzi la Cittadella havvi il campo trincerato, grossa doppia corona di pressoché 400 metri di capitale;la quale fiancheggiava a levante le difese della cinta incrocicchiando i suoi fuochi con quelli del Cardetto, difende di fronte l’altura del Monte Marino e la strada del canale di Camerino, ed appoggiandosi a destra sulla strada coperta della cortina occidentale della Cittadella batte con tiri efficaci le falde delle alture di Monte Scrima, nonché la strada postale da Osimo e l’ingresso di  borgo Pio. Questo borgo prolungandosi sulla spiaggia per quasi un chilometro ai piedi dell’erta della Cittadella la quale perciò non può difendere se non con tiri troppo ficcanti e non essendo protetto che dalla semplice cortina di Porta Pia è, come ben lo dice il generale pontificio nella sua relazione, una seria difficoltà per la difesa, poiché i caseggiati del borgo favoriscono gli approcci dell’assediante, come di fatto avvenne, malgrado che quelle vie fossesi difficoltate con alcune tagliate, la difesa delle quali neppur tentarono i Pontifici dinanzi ai nostri bersaglieri.

Quattro lunette costruite di terra ( nell’ultima occupazione degli Austriaci nel 1849) ed indifese ala gola, eccettuando però quella di Santo Stefano ( la quale ha le sue scarpe in muratura ed un piccolo ridotto interno) coronano i punti più elevati della zona esterna. Sul punto culminante della costiera che diparte dal rialto del campo trincerato e protendosi verso mezzogiorno, trovasi più d’ogni altra avanzata la lunetta di Monte Pelago, la quale domina la cinta di Ancona alla distanza,però, di 2000 metri.

Più indietro e meno elevata quella di Monte Pulito a 1000 metri dagli spalti del campo trincerato. Intermedia a questo ed alle precedente lunetta trovasi quella già nominata di Monte Santo Stefano, ch’è fiancheggiata dal campo trincerato del Gardetto.

La costiera sulla quale sono costruite queste tre lunette si estende piegandosi lungo il mare sino a fronte dell’altura di Monte Acuto, dalla quale è divisa da un avvallamento lungo circa un chilometro.

 Un 600 metri dinanzi alla lunetta di Monte Pelago sulla costiera stessa e sulla strada del monte di Ancona ad Umana trovasi il casale di Pietra La Croce e 400 metri circa più in là su di una lieve eminenza che domina la strada suddetta il casino di Altavilla, presso il quale avevano i Pontifici eretta una barriera per i loro avamposti, e del quale partirono i nostri primi fuochi d’artiglieria contro il Pelago.

 Sulla destra a 1300 metri circa da Porta Pia volta a libeccio verso le alture del Pidocchio e di Montagnolo vi ha la lunetta di Monte Scrima, opera campale debolissima e insostenibile, perché da moti punti vicini battuta.

Queste opere avanzate di tracciati e costruzioni campali imperfettissime non potevano giovare gran fatto alla difesa di Ancona specialmente in quelle circostanze in cui, stante le loro distanze e la debolezza del presidio, non si potevano in forza occupare senza grave pregiudizio della principale difesa.   

Alle fortificazioni della cinta mancava pressoché dappertutto la strada coperta ed esisteva in stato inservibile . Gli spalti e tutta la zona esterna erano tuttavia coperti e intricatissimi da foltissimi giardini e siepi, da vigne, gelsi ed anche da case, che non si prese il tempo da abbattere.

La piazza era armata da 154 pezzi di cannone, dei quali 30 verso la marina, gli altri per la cinta dalla parte di terra, e di questi 14 erano pezzi da campo: numero per vero insufficiente anche per un semplice armamento, relativamente al circuito difensivo della piazza e delle opere distaccate. Di queste artiglierie di forma e provenienza quasi tutte diverse epperciò di malagevole servizio, stante la molteplicità dei calibri, 18 appena erano da 36, le altre inferiori tutte a questo calibro e niuna rigata.[5]

Questa conoscenza delle opere della Piazzaforte di Ancona dei sardi da anche una fotografia abbastanza completa di quello che Ancona era nel 1860. Una piazzaforte che, nonostante i miglioramenti effettuati dagli Austriaci durante la loro decennale occupazione, dal 1849 al 1859, presentava ancona notevoli deficienze per una difesa che potesse avere una qualche possibilità di successo.



[1] Precisamente nel Capo XIX, dedicato alla “Campagna di Guerra nell'Umbria e nelle Marche” Narrazione Militare “Assedio e Presa di Ancona”. Vds. C***, La Campagna di guerra nell’Umbria e nelle Marche. Narrazione Militare. Assedio e presa di Ancona V, in Rivista Militare  Italiana, Tipografia Editrice G. Cassone e Comp., Torino, Volume III Anno V, Maggio, 1861

[2] La Storia di Ancona è così riportata  (Estratto dalla Coreografia d’Italia, pubblicata dal Pagnoni) Vds. C***, La Campagna di guerra nell’Umbria e nelle Marche. Narrazione Militare. Assedio e presa di Ancona V, in Rivista Militare  Italiana, cit., pag. 135,136.    

[3] Questa Storia di Ancona è stata tratta dallo Estratto dalla Coreografia d’Italia, pubblicata dal Pagnoni e riportata dalla Rivista Militare. Vds. C***, La Campagna di guerra nell’Umbria e nelle Marche. Narrazione Militare. Assedio e presa di Ancona V, in Rivista Militare  Italiana, cit., pag. 135,136.  

[4] Coltrinari M., Coltrinari M., L’investimento e la presa di Ancona. La conclusione della campagna di annessione delle Marche. 20 settembre- 8 ottobre 1860, Roma, Edizioni Nuova Cultuta, 2010. pag. 59 e segg.

[5] C***, La Campagna di guerra nell’Umbria e nelle Marche. Narrazione Militare. Assedio e presa di Ancona V, in Rivista Militare  Italiana, cit., pag. 137 e segg.

 


domenica 19 settembre 2021

Ancona La Piazzaforte 1860 Le Opere Principali

 Ancona Piazzaforte Pontificia

1. La Piazzaforte di Ancona nello Stato Pontificio. La storia. 2. Le opere principali della Piazzaforte. 3. Il nemico è a conoscenza di tutti i dettagli della Piazzaforte 4. I miglioramenti della Piazzaforte del de La Moricière dall’aprile al settembre 1860. 5. I dati tattici della Piazzaforte: il terreno e le comunicazioni,i punti tatti, l’armamento. 6. La Guarnigione, la consistenza teorica e quella effettiva. 7. Le Caserme. 8. Il Vettovagliamento. 9. Il Morale

Massimo Coltrinari


2. Le opere principali della Piazzaforte   

Le opere principali della piazzaforte di Ancona ebbero origine nella loro struttura che troveremo nel 1860 nel momento in cui Ancona perse la sua indipendenza e divenne piazzaforte pontificia, intorno al 1530. All’inizio del 1500 il tracciato delle mura  risaliva sostanzialmente al XIV secolo e l’impianto fortificatorio al XIV secolo. Ancona era chiusa da queste mura e questa realtà noi la troviamo ancora nel 1860. Una brillante descrizione delle mura è data in Ancona Pontifica. L’ottocento, un inventario urbano, che riportiamo:

Essa cominciava da est col baluardo dei Cappuccini (1547) al quale faceva seguito il baluardo di San Pietro (1542). Al di sotto di questo e rivolta in direzione dell’attuale via Matteotti, s’apriva la duecentesca Porta detta appunto di San Pietro, ovvero della Farina. Alcune decine di metri più in basso, nell’area prospiciente (l’attuale) palazzo dell’Orologio sorgeva. “Lungo le mura, dal lato interno, erano delle vecchie e luride baracche, parte in legno e parte  in murato, dove si annidavano fumose officine di fabbri e calderai. Nel lato destro della porta, sempre verso l’interno, era la fonderia di certi De Giorni, famosi per la fusione delle campane. Fuori dalle due porte si estendevano i due borghi, detti l’uno Farina, e l’altro Calamo, denominazione poi cambiata in quella di Borgo Mastai per gratitudine verso il Pontefice Pio IX, che aveva concesso l’esenzione dalle imposte per novant’anni a tutti coloro che avessero fabbricato in quella località, già fin da allora designata come il punto in cui sarebbero sorti nuovi rioni con l’ingrandimento della città. Del borgo Farina era fabbricato completamente soltanto il lato sinistro sino alla via che conduceva al Cardeto, mentre dall’altra parte la linea delle case era in più tratti interrotta. Non selciata la strada, non era neppure provveduta la fognatura, e un nero rigagnolo di acque luride scorreva in mezzo ad essa, spandendo intorno un fetore insopportabile. Sul lato destro della vipera una chiesuola dedicata a Sant’Alò e dopo questa una fila di goffe casupole abitate da povere lavandaie e da pescatori, demolite (…..) allorquando si iniziò la fabbrica di quel grandioso edificio che per un fenomeno dell’ umano orgoglio si chiama “Palazzo di Giustizia”. Il borgo Calamo era sul lato sinistro fabbricato fino alla via detta dell’Elce, oggi via Marsala. Dall’altro lato erano orti e qualche meschina casetta di ortolani e vignaiuoli. I fabbricati di aspetto civile cominciavano col palazzo Glanzer, e con l’annesso giardino ad uso birreria, circondato da mura (sorto nel 1845) cui faceva seguito la casa che oggi fa angolo tra la piazza Roma e il corso Mazzini”[1]

La cinta muraria che da Porta Calamo saliva verso San Francesco ad Alto (attuale sede del Distretto Militare[2]) era munita di torri del XV secolo, mentre sul colle di Capodimonte dominava la fortezza del Sangallo (1532-43) col retrostante campo trincerato (seconda metà del XVI secolo).

Sempre nel Cinquecento risaliva la linea fortificatoria di tutta la zona a mare dell’Astagno, sia lungo le pendici di Porta Pia (eretta nel 1789) sia nel tratto litoraneo che da questa giunge alla chiesa di Sant’Agostino, con i baluardi di Santa Lucia (presso l’attuale Porta Pia) e di Sant’Agostino (eretto nel 1566-67 in corrispondenza dell’omonima chiesa). Vari interventi si erano peraltro susseguiti dal XVI al XIX il maggiore dei quali era stata la realizzazione del lazzaretto, del Gavitelli (1733) delle cui molteplici funzioni quella militare era di particolare rilievo.

La cinta muraria a protezione del porto, nel tratto che circa dall’attuale scalo Vittorio Emanuele (aperto dal generale pontificio de La Moriciére) arrivava fino all’arsenale era ancora quello sostanzialmente quella medioevale, il baluardo di San Primiano era stato eretto nel 1593 in luogo di un precedente andato in rovina. Tra Sant’Agostino e San Primiano s’aprivano sei portelle: della Beccheria, della Loggia, della Dogana, dei Palunci, dei Torriglioni, del Greco ( o della Contumacia). Il mare batteva sotto il muraglione.[3]   

 

La cinta muraria di Ancona, che sviluppava circa 7000 metri, può essere divisa, considerato il perimetro complessivo della cinta bastionata che costituiva un poligono irregolare di quattro lati, dei quali due stavano rivolti verso terra e due stavano rivolti verso il mare, in quattro settori principali. Con andamento circolare, da sinistra verso destra, abbiamo il primo ed il secondo settore di difesa terrestre,  con il complesso delle opere dal forte dei Cappuccini e monte Cardetto, primo settore, al complesso che si usa chiamare la Fortezza, composta dalla Cittadella e dal Campo Trincerato, secondo settore. I due settori, collegati tra loro, presentavano due varchi, la porta Farina, verso il mare, e la porta Calamo più a valle verso la Fortezza; la prima protetta e fiancheggiata dal bastione di San Pietro, e la seconda dalla batteria degli Zoccolanti.

Primo settore. (terrestre)

Il forte dei Cappuccini[4] aveva tutte le difese, ovvero le artigliere,  rivolte verso il mare, verso levante per proteggere la linea di costa; la sua spalla destra batteva la falda occidentale di monte Cardetto, e fiancheggiava il bastione di San Pietro[5], verso la regione della valle degli Orti.

Sul crinale del Monte dei Capuccini era, all’epoca dell’assedio, posizionato un telegrafo che doveva essere del genere “ottico” inventato dal francese Chappe, sulla fine del secolo precedente. Era costituito da “torri dotate di bracci mobili e snodabili, la cui posizione costituisce il codice delle lettere; vengono osservate da una torre successiva (probabilmente su Monte Conero) e ritrasmessi in analogo modo” Nel 1859 sulla vetta del colle si collocò la prima pietra del grande faro “alla Fresnel” che ha funzionato fino alla costruzione dell’attuale faro.[6] Il faro fu un elemento chiave della difesa pontificia di Ancona. Permise agi assediati di comunicare all’esterno la loro volontà di resistere; se si voleva aiutarli e correre loro in aiuto, Ancona era in mano pontificia.

Collegato ad esso, mezzo miglio più avanti del forte dei Cappuccini, vi era l’opera di difesa di monte Cardetto. Constatava di un fronte bastionato, con rivellino; era rivestita nelle facce da una muratura alla Carnot e chiusa, a partire dagli angoli alle spalle andando fino alla mezza luna, da una solida palizzata; aveva azione diretta sulla piana degli Orti e sulle alture di Santo Stefano e monte Pulito; il suo mezzo bastione di sinistra poteva fiancheggiare la scogliera, quello di destra, mediante una strada coperta, faceva sistema con la cinta della piazza sotto il cavaliere dei Cappuccini[7]

Il bastione di San Pietro era la naturale prosecuzione dei bastioni del Forte dei Cappuccini e dava sostegno e protezione alla porta Farina.[8]

Il collegamento tra il sistema dei Capuccini e la Fortezza sull’Astagno era assicurato, come detto, da una cinta muraria su cui si aprivano le Porte Farina[9] e Calamo[10] e si collegava  al complesso di San Francesco ad Alto[11], munita di torri del XV secolo.

Secondo settore. (terrestre)   

Era composto dalla Cittadella e dal Campo Trincerato.[12] La Cittadella[13]  era il grande ridotto della Fortezza e constata di quattro fronti irregolari, bastionate e, spalleggiando la destra della cinta, collegava le difese terresti del primo e del secondo settore con quelle del terzo, ovvero le difese marittime mediante il tratto di mura che arrivava fino a Porta Pia.

A rinforzare la Cittadella vi era il Campo Trincerato[14], che era una grossa opera a corno composta di tre fronti di buona muratura. Per meglio adattarsi al terreno, il Campo Trincerato si avanzava verso la campagna anche in modo consistente, con saliente assai acuto. Fiancheggiava, da occidente, le difese della cinta incrociando i tiri delle sue artigliere con quelli dei Cardetto; batteva frontalmente l’altura di monte Marino e la strada che procede dal solco della Baracola; s’appoggia a destra alla strada coperta della cortina ovest della Cittadella, in modo tale da poter battere con il suo fuoco le pendici di monte Scrima, la strada per Osimo e il borgo Pio.

 

Terzo settore (marittimo)

La fronte a mare della piazzaforte presentava notevoli debolezze; la componevano alcuni parapetti di pietra dei bastioni pressoché scoperti fino al piede sbrecciati per gli ordinari usi dei servizi del porto. Tale fronte era appoggiato, guardando dal mare, sulla destra al complesso Porta Pia,  bastione Santa Lucia, Lazzaretto; questo complesso era collegato tramite la cinta muraria con la porta di Capodimonte[15] la spianata di Capodimonte e la Fortezza. Porta Pia, e il punto forte centrale era rappresentato dal Lazzaretto[16], specie di grosso ridotto in muratura, isolato dalle acque, pentagonale e solo collegato alla terra ferma mediante un ponte di legno. Il Lazzaretto era battuto dal fronte di Porta Pia[17] dalla spianata di Capodimonte, nonché dal bastione maestrale della Cittadella; tre pezzi armavano il Lazzaretto per battere l’ingresso della rada.

Nella cinta muraria a mare due erano i punti forti: il bastione di Santa Lucia, che faceva sistema con Porta Pia ed il Lazzaretto, e il bastione di Sant’Agostino; il primo era armato da tre pezzi da 18 ed il secondo da un solo pezzo dello stesso calibro.[18]

 

Quarto settore (marittimo)

Appoggiato sulla sinistra, da chi guarda la città dal mare, il fronte di difesa della piazzaforte si appoggiava al molo[19] nord dove, come punto forte, vi era il Forte della Lanterna[20] e la Lanterna[21]; il forte era a tre facce e a due piani, l’uno in barbetta armato di 4 pezzi, l’altro casamattato con 8 pezzi. Più arretrata al porto, sul molo, trovavasi la batteria della Sanità[22], armata da 3 pezzi, che fiancheggiava le difese interne del molo ed il rovescio della batteria della Lanterna sull’ingresso del porto. Verso nord, alla punta e sul rialto di monte Marano vi era una batteria protetta dall’alta scogliera destinata a battere gli accessi marittimi, a difendere l’Arsenale, ed a collegare da quella parte le difese della fronte a mare con quelle delle fronte a terra, ovvero collegare dal lato mare le difese del  IV settore marittimo con quelle del I settore terrestre.

Qui era situato l’Arsenale, uno dei punti di forza dell’importanza di Ancona. Agli anni precedenti il 1860  l’attività cantieristica è notevole. Quando Pio IX visita Ancona nel 1857 si ha in suo onore il varo di due bastimenti (l’Elvezia e l’Adria Dorica) e già sono stati varati una venti a di bastimenti, da quanto l’Arsenale era stato completamente ristrutturato  (1846).[23] Esisteva anche il complesso di edifici del Bagno Penale[24], demoliti nel 1880. Anche se non direttamente interessati alle opere della Piazzaforte, sul molo Nord vi erano due simboli di Ancona, l’Arco di Traiano[25] e l’arco Clementino.[26] Nel 1860 esisteva ancora la Barriera gregoriana, che interessava il Baluardo di San Primiano, costruita a partire dal 1847 su progetto di Michele Bevilacqua, che in caso si sbarco sul molo rappresentava un ottimo appiglio di difesa.[27]

La difesa a mare era completata dallo sbarramento del porto attuato con una grossa catena, tesa fra i due moli, e la sua difesa era affidata a due pontoni convertiti in batterie galleggianti ed a quattro paranze ancorate ed armate di un pezzo ciascuna.

 

Questa cinta difendeva, che si può anche definire cinta interna, che delimitava Ancona, era protetta con opere esterne, che consistevano nella cinta esterna di difesa. La cinta esterna di difesa consisteva in quattro lunette, tre delle quali in terra ed indifese alla gola che erano la lunetta Scrima, la lunetta di monte Pulito, la lunetta di Monte Pelago; la quarta era la lunetta di Santo Stefano, che consisteva in due scarpate  in muratura  ed un piccolo ridotto interno.

Tre di queste lunette guardavano i punti tattici più salienti della linea di rilievo mediana: più avanzata delle altre quella di Monte Pelago, intermedia e meno dominante quella di monte Pulito, più arretrata di tutte quella di Santo Stefano. Era stato anche attivato il posto di osservazione di Altavilla, a ridosso del villaggio di Pietra La croce, in cui era stata elevata una trincea campale in funzione di avamposto, osservazione ed allarme. L’opera di monte Scrima, verso la litoranea, davanti al II settore terrestre di difesa, volte alle alture del Pedocchio[28] e del Montagnolo, era piuttosto debole e battuta da più punti, specie dal Montagnolo stesso.



[1] Costantini E., Il decennio di occupazione austriaca di Ancona (1848-1859), Ancona, 1916

[2] Oggi con la dizione di Comando Esercito Marche.

[3] Polverari M. (a  cura di), Ancona Pontifica. L’ottocento. Un inventario urbano. Ancona, Comune di Ancona, Assessorato ai Beni ed alle Attività Culturali, Pinacoteca Comunale “Francesco Podesti”, 1994, pag. 27-30. Vds inoltre: Enea d’Anchise (E. Costantini), Una pianta di Ancona del secolo XVI, Ancona, 1884; Santini G., Una pianta di Ancona di Giovanni Bleau del 1663 in “Atti e memorie della deputazione di Storia Patria per le Marche”, s. VII, vol. X., Polverari M., Ancona nel XVI secolo. L’urbanistica, in AA.VV., Ancona e le Marche nel Cinquecento, Recanati, 1982; Pirani V., Una pianta di Ancona del 1745, Ancona, Comune di Ancona, 1991; Mariano F., Architettura militare del Cinquecento in Ancona, Urbino, 1990

[4] Tutta l’area era di pertinenza dell’ordine del Capuccini. Poco prima che questi venissero ad Ancona erano iniziati i lavori, nel 1547 per la costruzione del baluardo del Cassero, detto poi, baluardo dei Capuccini, eretto a difesa del colle dove ancora nel 1547 erano presenti vestigia della Rocca papale di San Cataldo, eretta nel 1536 e rasa al suolo cinque lustri dopo durante l’assedio

La Rocca di San Cataldo (descrizione del Santini)

 

 I Capuccini ad Ancona giunsero nel 1554. Il Comune consegnò ai Frati l’area di interesse ed anche alcuni locali sorti sulle rovine della Rocca di San Cataldo, che, adattati ed ampliati con opere successive, costituirono il complesso conventuale. Nell’ambito del complesso erano comprese la chiesa di San Paolo, completata nel 1560 e quella di Santa Caterina, costruita nel 1539 dagli eremiti di Santa Maria Gonzaga, che qui si erano trasferiti dalla omonima chiesa demolita nel 1532 sull’Astagno per la costruzione della Fortezza. Durante l’assedio del 1799 i frati Capuccini furono espulsi e tutta l’area, di evidente interesse tattico per la difesa di Ancona, subì notevoli trasformazioni con la demolizione di vari edifici. Nel 1858 il canonico Birarelli istituiva presso il Convegno un Istituto per il recupero e la rieducazione dei minorenni, che dopo il 1860 fu trasferito al convento degli Scolopi, ove rimase fino al 1972. Dopo l’unificazione sia la chiesa che il convento furono destinati a caserma, subendo pesanti rifacimenti.

 

Sul Monte dei Capuccini, al suo apice, esisteva nel 1860 un camposanto, proprio dove sorgeva la Rocca di San Cataldo. Era stato costruito dal Comune nel 1819 attuando i principi nelle nuove norme igieniche, emanate nel periodo napoleonico. Vi si arrivava attraverso un tracciato, detto appunto la Via del Camposanto, che raggiungeva il colle partendo dal convento di S. Sebastiano. Si ha notizia,inoltre che sempre sul Monte dei Capuccini vi erano altri due cimiteri, diversi da quello cattolico: il Cimitero dei Greci e il Cimitero degli Inglesi, quest’ultimo all’interno del baluardo dei Capuccini (o del Cassero). A seguito dell’epidemia di colera del 1836 che colpì Ancona, venne costruito un altro Cimitero nei pressi della Lunetta di Santo Stefano. Le aree cimiteriali sopra dette furono definitivamente abbandonate dopo l’unificazione con la destinazione a zona militare di tutta l’area.

 A ridosso della rupe a strapiombo sul mare e di fronte al baluardo dei Capuccini in collegamento con il Cardeto vi era un altro cimitero, quello israelitico. Risalente al 1428 e successivamente ampliato fu oggetto di forte contese tra la Comunità Ebraica e l’autorità militare Francese dal 1798 al 1815 per l’alto valore tattico che l’area presentava. Con la restaurazione pontificia del 1815 ogni contesa finì e la Comunità gestì in pieno il Cimitero. Nel 1859, essendo oggetto di profanazioni, l’Autorità Militare Pontificia nel 1859 decretò l’erezione di un muro di cinta di protezione. Nel 1863 il Cimitero, comunemente chiamato Campo degli Ebrei, non ha più inumazioni ed inizia il degrado dell’area, parzialmente contenuto negli ultimi anni. Cfr. le schede di A. G. (Anna Giovannini) in Polverari M. (a  cura di), Ancona Pontifica. L’ottocento. Un inventario urbano. cit., pag. 312  Vds. inoltre Natalucci  M., Ancona attraverso i secoli, Città di Castelli, Ed. Libreria Canonici, 1960 3 Voll., Sori E., Pavia R., L’area di Monte Cardeto, Ancona, Comune di Ancona, 1993. Leoni A., Ancona Illustrata, Ancona, Libreria Canonici, 1832; Pirani V., Ancona dentro le mura, Ancona, ::::::::::::::::::1979. Santini G., Una pianta di Ancona di Giovanni Blaeu del 1663, in “Atti e Memorie della deputazione di Storia Patria per le Marche” S. VII, Vol. X.

 

 

[5] Il bastione di San Pietro

[6] Cfr. la scheda di A. G. (Anna Giovannini) in Polverari M. (a  cura di), Ancona Pontifica. L’ottocento. Un inventario urbano. cit., pag. 310 Vds. inoltre Natalucci  M., Ancona attraverso i secoli, Città di Castelli, Ed. Libreria Canonici, 1960 3 Voll., Sori E., Pavia R., L’area di Monte Cardeto, Ancona, Comune di Ancona, 1993.

[7] In questo settore vi sono i principali monumenti, opere e palazzi di Ancona, ad iniziare dalla Cattedrale di San Ciriaco. Esisteva sin dal secolo IV, dedicata a San Lorenzo, compresa nel sistema fortificatorio che coronava il colle, come chiesa palatina. Era sorta nell’area di un tempio greco del secolo IV, identificato con quello di cui parlano Catullo e Giovenale. Nel secolo X la chiesa, prima donata a S. Liberio per deporvi i suoi resti, fu scelta per trasferivi la sede della cattedrale vescovile, traslandola dalla chiesa di S. Stefano che era fuori le mura.  Domina Ancona ed è il simbolo di Ancona. Durante l’assedio del 1860 non subì danni; sulla spianata di fronte a San Ciriaco vi è il campanile, una torre che non sembra nata per questa destinazione e molto presumibilmente doveva appartenere al sistema difensivo che coronava la sommità del colle. Per una conoscenza più dettagliata, vds la scheda di  Vincenzo Pirani in Polverari M. (a  cura di), Ancona Pontifica. L’ottocento. Un inventario urbano. cit., pag. 144 e segg.

[8] Ad Ancona, fino al 1221 esisteva la Via di S. Pietro, oggi via Fanti, era fuori dalle mura. Vi fu compresa dopo la costruzione della cinta e della porta, chiamata anche qusta col titolo della Chiesa, eretta appunto in quell’anno ed assunta a dignità di porta principale della città. Oltre alla presenza della Chiesa di San Pietro, di cui oggi sono rimasti pochi resti dell’abside, la strada era qualificata da palazzi settecenteschi, resistenze di famiglie nobili cittadine. Palazzo Polidori, Palazzo Camerata necessitano interventi per ridare l’antico splendore. Questo settore prese il nome di San Pietro. Cfr la scheda di Vincenzo Pirani in Polverari M. (a  cura di), Ancona Pontifica. L’ottocento. Un inventario urbano. cit., pag. 368

[9] Fu eretta nel 1221 da Mastro Filippo. Robusta costruzione in pietra facente parte della cinta che scendeva dal Colle del castello, oggi detto Forte dei Cappuccini, e che piegava, proprio vicino alla porta, lungo il pendio del colle, verso il mare, fino dietro la chiesa di S. Maria della Piazza, allora detta del mercato. La soglia della porta è ora abbassata di circa un metro rispetto a quella originaria; ne fanno fede i resti degli anelli dove giravano i perni delle porte. Nel muro di sopraelevazione del prospetto sono infissi due leopardi romanici, scolpiti in pietra. Lungo la strada fuori porta Farina si trovavano la Chiesetta s. Eligio dell’Università dei Ferrari, detta di S. Alò, in essere ancora nel 1823 e l’Abbazia di Cosma e Damiano, eretta prima del Mille e demolita dopo il 1835 con la costruzione della nuova chiesa verso valle. La strada serviva il “Campo della Mostra” che si trovava tra S. Alò e l’Abbazia, ma sul lato del monte. Entrò nell’ambito delle mura dopo il 1810, quando cioè fu costruita la Lunetta di S. Stefano ed il collegamento tra questa ed il Forte del Cardeto, realizzato con una robusta muratura di notevole spessore, sulla quale si apriva una sola porta, quella che all’incirca doveva trovarsi nella zona delle aiuole fuori del quadrato di Piazza Cavour.  Cfr Polverari M. (a  cura di), Ancona Pontifica. L’ottocento. Un inventario urbano. Cit., pag. 374 Vds. inoltre D’Anchise E., (Costantini E.) Una pianta di Ancona del Secolo XVI, Ancona, 1884; AA.VV., Elenco degli edifici monumentali XL. Provincia di Ancona,Ancona, 1932; Sovrintendenza per le antichità delle Marche e dell’Umbria, per le Gallerie delle Marche, per i monumenti delle Marche, Danni di guerra e provvidenze per le antichità, i monumenti e l’arte , Ancona, 1946; Natalucci  M., Ancona attraverso i secoli, Città di Castelli, Ed. Libreria Canonici, 1960 3 Voll.,.

[10] Porta Calamo era stata costruita nel 1329 da Michele Fagnone e dava direttamente alla pianura della Penocchiara ed alla via del Conero e di Numana. Era costituita da due Archi divisi da u cortile e da due torrioni. Fu ristrutturata    da Filippo Marchionni nel 1789 ed il Pirani, per questi lavori, scrive, “era sparita l’arcata, sostituita da un architrave e la merlatura era stata eliminata ed al suo posto era stato realizzato un timpano curvilineo”  era uno dei punti più deboli del primo settore di difesa. Cfr. Pirani V., Ancona dentro le mura, Ancona, ::::::::::::::::::1979.

[11] La chiesa di San Francesco ad Alto fu la prima chiesa francescana di Ancona e secondo la tradizione fu fondata dallo stesso San Francesco con il titolo di Santa Maria ad Alto attorno al 1220 su un area offertagli dal Comune quando si portò in città per imbarcarsi per l’Egitto. In corrispondenza con la chiesa e del convento di San Francesco alle Scale  ebbe inizio il decadimento del romitorio sul colle Astagno. Negli anni 1385-1390 il convento di San Francesco era stato definitivamente abbandonato dai religiosi. Il recupero si deve all’opera di Gabriele Ferretti, nobile anconitano, intorno al 1425  e grazie alla sua notorietà il convento rifiorì. Nel 1588 furono svolti lavori di ampio respiro. Una pianta del 1652 evidenzia chiaramente i quattordici altari laterali che la chiesa manterrà anche dopo il vasto rinnovamento settecentesco. Con la soppressione degli ordini religiosi del 1798, il convento è occupato, ma la chiesa continua ad essere officiata; il primo sarà restituito nel 1814; la chiesa nel 1812 divenne parrocchiale, trasportatovi il titolo di San Giacomo, già Santa Maria in Valverde. Dopo l’unità il complesso divine Ospedale militare fino alla metà degli anni sessanta; ancora oggi è occupato dall’Autorità Militare. Cfr la scheda di Vincenzo Pirani in Polverari M. (a  cura di), Ancona Pontifica. L’ottocento. Un inventario urbano. cit., pag. 556 Vds. inoltre Natalucci  M., Ancona attraverso i secoli, Città di Castelli, Ed. Libreria Canonici, 1960 3 Voll., Talamonti A., Cronistoria dei Frati Monori della provincia lauretana delle Marche, Sassoferrato, 1939, 4 Voll.; 

[12] La costruzione di queste due entità di difesa fortificatoria impegnò i migliori ingegneri militari del tempo, a dimostrazione della importanza che la piazzaforte aveva. Questi erano Antonio da Sangallo il Giovane, coadiuvato da Bartolomeo de Rocchi, ed Antonio Labacco, che operarono dal 1532 a 1538, il viterbese Pierfrancesco Fiorenzuoli che nel 1534 fornisce i disegni generali; il bolognese Girolamo Marini che operò el biennio 1538-40; il senese Giovambattista Pelori dal 1540, Francesco Paciotto tra il 1550 ed il 1555 e poi dal 1571; Pellegrino Tibaldi introno al 1570, Francesco Lavarelli introno al 1562, Giacomo Fontana dal 1567. In ogni caso i principali artefici di questi fortilizi furono il Sangallo ed il Paciotto.  Cfr. la scheda di  Massimo Di Matteo in Polverari M. (a  cura di), Ancona Pontifica. L’ottocento. Un inventario urbano. cit., pag. 577. Vds., inoltre, Vasari G., Le vite de’ più eccellenti architetti pittori e scultori .., Firenze, Edizioni Einaudi, Torino, 1986; Rinaldini C., Intorno al libro “Gli Ingegneri militari della Marca,che operarono e scrissero dall’anno 1558 al 1860”, Ancona, per Carlo Promis, 1865.

[13] La costruzione della Cittadella fu iniziata nel gennaio 1532, per volere di Clemente VII su progetto di Antonio da Sangallo il giovane per difendersi dalla minaccia ottomana. Nel settembre dello stesso anno, Ancona perdette la sua autonomia e passò definitivamente sotto il controllo e potere dei Papi, che durò fino al 1860, proprio nel mese di settembre. Ancona divenne via via una fortezza per arginare la minaccia turca, e la Cittadella ne divenne il nucleo centrale; questa prima funzione fu affiancata dall’altra funzione, che era quella, esercitata attraverso il possesso della Cittadella, di controllo della città e del porto, e che rimase in essere fino al 1860. Ancona, urbanisticamente pagò un ulteriore prezzo, oltre a quello della perdita della autonomia: furono distrutti, per fare posto alla Cittadella, quattro complessi monastici, oltre a numerosi edifici, orti e campi coltivati. Nel XVI secolo il complesso Cittadella-Campo Trincerato, con tutte le loro pertinenze occupava un area pari al 30 % dell’intera area urbana, dando definitivamente l’immagine si di un “gomito”, ma proteso più che sul mare, sul territorio retrostante.

Per tutto il cinquecento la Cittadella, che per la sua costruzione richiese ingenti risorse finanziarie ed umane, subì dei miglioramenti insieme a tutto il resto del sistema difensivo della città. Ancona vide impegnati i migliori ingegneri militari (vds nota precedente). Il concetto basse della costruzione della Cittadella è quello di adattarsi alle condizioni orografiche e logistiche dell’Astagno, sempre vincolati a precisi  rapporti metrici e spaziali tra le sue varie componenti. Dal poligono fortificato escono cinque bastioni:

. della Gran Guardia,

. della Campana, entrambi rivolti verso la città e posti a rinserrare l’ingresso della fortezza;

. del Cavaliere a basso, sopra la via d’accesso alla porta di Capodimonte;

. del Giardino, il più lungo di tutti i bastioni, proiettato verso l’entroterra;

. della Punta, verso la città, collegato alla cinta muraria orientale.

Il Mastio era stato pensato come un alto nucleo centrale poligonale, circondato da cortine e torrioni circolari, tale da controbilanciare nell’immagine urbana San Ciriaco e le altre emergenze simboliche del libero Comune. Ritenuto non più funzionale, in sostituzione, come una seconda e più elevata linea difensiva, il Sangallo progetta un basso edificio posto alla gola del bastione del Giardino, concluso da merloni e cannoniere, e una torre-bastione sul versante sud-ovest (l’attuale Torraccia o Belvedere) unita al primo da un’alta cortina marciaronda. La cortina contiene una rampa di collegamento con la piazza d’arme, sostenuta da archi ora tamponati. A Francesco Paciotto da Urbino si deve probabilmente una messa a punto di tutte le opere.

Nel seicento vengono eseguiti da maestri scalpellini senesi i parapetti ed i marciapiani in pietra e, sotto Urbano VIII, viene raddoppiato il bastione della Punta che si chiamerà Barberino e poi di Sant’Andrea.

Nel XVIII secolo cedimenti delle cortine portano a continui lavori di manutenzione. Filippo Marchionni propone lo spostamento nel Campo Trincerato della polveriera situata tra il bastione della Campana ed il cavaliere alto di Santa Barbara, perché insicura e suggerisce la costruzione di tre corpi di fabbrica distinti (1789). Durante il periodo Napoleonico la Fortezza diviene terreno di scontro tra truppe francesi ed austriache e le diverse occupazioni portano diversi rifacimenti. Caduto Napoleone, al momento del ritorno con Gregorio XVI della Fortezza sotto il dominio pontificio  si intraprende un restauro massiccio della Cittadella che si protrarrà per un decennio: viene riedificato dalle fondamenta, con maggiori dimensioni il bastione del Cavaliere a basso, che riceverà il nome di Gregoriano (1841); viene costruita la grande polveriera  e riadattato e ampliato il complesso dei cunicoli  e delle casematte; la cappella de forte è posta in un nuovo edifici a due piani di pianta circolare, poi destinato completamente a magazzino, che viene costruito parzialmente interrato alle spalle del Cavaliere di Santa Barbara, nei pressi della cisterna ed in luogo del settecentesco “quartiere del signor tenente” ; viene poi ripristinato ed alzato parzialmente il mastio (1850-51). Saranno queste, nelle linee essenziali, le strutture, con i miglioramenti dell’ultima ora, che costituiranno la Cittadella come elemento di difesa della piazzaforte di Ancona nel 1860. Cfr. la scheda di  Massimo Di Matteo in Polverari M. (a  cura di), Ancona Pontifica. L’ottocento. Un inventario urbano. Cit., pag. 578 e segg.       

[14] Il Campo Trincerato, il cui progetto definitivo lo si deve quasi sicuramente a Francesco Paciotto, era un opera, nata quasi in contemporanea con la Cittadella, in terra e muratura, quattro volte più estesa della Fortezza che, inglobando il bastione del Giardino della Cittadella si protende in avanti di ben trecento metri concludendosi con la caratteristica tenaglia. Cfr. la scheda di  Massimo Di Matteo in Polverari M. (a  cura di), Ancona Pontifica. L’ottocento. Un inventario urbano. Cit., pag. 578 e segg. Per la Cittadella ed il Campo Trincerato vds inoltre, Natalucci M.,La Cittadella di Ancona, in Bollettino ISCAG, n. 30, 1964; Pirani V., Ancona dentro le mura, Ancona, ::::::::::::::::::1979; Antonucci R., Di Matteo M., Salmini P., Sardellini A., La Cittadella di Ancona. Cronologia storica. Fonti, Documenti, Relazione allegata al Rilievo della Cittadella, Ancona, Comune di Ancona, 1981; Polverari M., Ancona nel XVI secolo. L’urbanistica, in AA.VV.,  Ancona e le Marche nel Cinquecento, Roma, 1982; Mezzetti C., Pugnaloni F., Dell’architettura militare:l’epoca del Sangallo e la Cittadella di Ancona, Ancona, 1984; Mariano F., Architettura militare del Cinquecento in Ancona, Urbino, 1990; Mariano F., La Cittadella di Ancona, AA. VV. Castelli, rocche, torri, cinte fortificate delle marce, Vol.I, Ancona, 1992., Pavia R., La Storia urbanistica, in Pavia R., Sori E., Ancona, Bari, Laterza, 1990.  

[15] Costruita  nel 1335 da Nicola Bonderuolo fu modificata nel XVIII secolo nel lato esterno cosicché a chi veniva da Piano San Lazzaro si mostrava non tanto come semplice porta di città quanto come arco celebrativo. La struttura settecentesca era stata rivestita  con un nuovo strato di muratura in cotto che formava lesene, riccioli, cornici, secondo le tipologie delle scenografie dell’epoca. Solo sul fronte della città era stato conservato a vista il grande arco a tutto sesto, più alto di quello che formava l’effettivo ingresso. Fino alla sua demolizione, avvenuta nel 1945 dopo i danni bellici, rimasero gli anelli di alloggiamento dei cardini delle porte, i fori delle travi che sorreggevano il solaio in legno per il servizio di sorveglianza e le tracce di pitture eseguite in memoria dell’assedio del 1414. Rappresentò, sino al 1789 l’ingresso principale della città; in quell’anno, con l’inaugurazione di Porta Pia, perdette questa funzione. Cfr. la scheda di  Vincenzo Pirani in Polverari M. (a  cura di), Ancona Pontifica. L’ottocento. Un inventario urbano. cit., pag. 587

[16] Il Lazzaretto fu costruito per ricoverare viaggiatori e merci sospette di essere portatori di malattie infettive. Ancona era città particolarmente esposta al contagio per la sua natura mercantile e per gli scambi con paesi dell’area mediterranea, soprattutto quella orientale. Luigi Vanvitelli ricevette nel 1732 l’incarico di studiare e progettare un opera che assolvesse a questa esigenza. Accettata l’offerta la prima pietra fu posta il 26 luglio 1733, alle ore 22 con una processione che doveva portarsi dalla chiesa di San Rocco, per giungere alla porta che dal Baluardo di Santa Lucia immetteva al ponte per il Lazzaretto. La prima pietra fu posta a lavori già iniziati; nel luglio 1733 era già stato realizzato l’interramento al centro dell’isola, ed avviato quello del perimetro pentagonale. Dai documenti dell’ Archivio di Stato di Roma si evince che nel novembre 1736 l’opera è in fase di avanzata  realizzazione, con la parte dell’impianto di smaltimento e raccolta delle acque meteoriche già completata; ma nel maggio 1738 sono proceduti di poco, forse a causa delle difficoltà incontrate dal Vanvitelli l’anno precedente durante i lavori all’altro cantiere in corso, quello per la realizzazione del Braccio nuovo, all’altra estremità del porto. I lavori saranno completati solo nel 1743, due anni dopo la morte del Papa che lo aveva voluto, Clemente XII, morto nel 1840. Ad opera finita il Lazzaretto si presenta come una sommatoria di cinque edifici bipiano aggregati tra loro secondo i cinque lati del pentagono, con all’interno un anello di modeste dimensioni , più basso del corpo principale, ma a tre piani. Il corpo principale era destinato al deposito delle merci, sia al piano accessibile dallo stradone esistente tra il muro di cinta ed il corpo di fabbrica, che nel piano superiore a cui si giungeva attraverso otto scaloni del cortile disposti o ai vertici interni del pentagono o al centro di tre lati. L’anello interno era sezionato in otto triplex per lato e destinato agli alloggi dei contumaci. Due passaggi, uno in corrispondenza della portella a mare principale sul lato nord, l’altro in corrispondenza della portella sul lato sud-ovest, mettono in comunicazione lo stradone stesso. Al centro del cortile interno , sopraelevato rispetto allo stradone stesso. Al centro del cortile è collocato un  tempietto votivo di stampo neoclassico, che in realtà costituisce la parte superiore e visibile di un sistema di raccolta di acque realizzato con cisterne sotterranee, collocate sotto il tempietto stesso. Il marciarono era collegato al rivellino esterno, posto su una piattaforma in direzione nord-ovest, a difesa del complesso dal mare aperto. Al rivellino, in realtà costituito da una piazza chiusa e murata a forma triangolare con quattro cannoniere per lato, si accede anche tramite due porte esterne all’attacco del bastione con la muratura del perimetro pentagonale.

Nel 1748 il Lazzaretto passa alla Camera Apostolica e viene usato sino alla fine del secolo per gli stessi specifici scopi per cui era stato costituito. Negli anni ottanta d fine settecento inizia ad essere usato a fini militari, come caserma e come ospedale militare. Nel 1799 è il cardine della difesa di Ancona occupata dai Francesi contro gli austriaci. Le modificazioni intervenute e quelle che interverranno in epoca successiva non hanno mai in realtà mutato in modo sostanziale la forma soprattutto in chiave strutturale. La sola aggiunta sostanziale concerne il doppio lato del corpo di fabbrica bipiano a ridosso del rivellino lato mare attuato intorno al 1850. Con questa struttura il Lazzaretto sarà  ancora uno dei cardini di difesa nel 1860. Cfr. la scheda di  Fausto Pugnaloni in Polverari M. (a  cura di), Ancona Pontifica. L’ottocento. Un inventario urbano. cit., pag. 590 e segg. Vds. Inoltre Ricci A., Memorie storiche delle arti e degli artisti della Marca d’Ancona, Macerata, 1834; Lodolini A., La mole vanvitelliana di Ancona, in Deputazione di Storia Patria delle Marche, s.VII, v. VIII (1953); Battisti E., Il Vanvitelli ed i lavori portuali di Ancona, in Atti dell’XI congresso dell’architettura, Marche, 1959, Roma 1965.; AA.VV., L’opera architettonica di Luigi Vanvitelli nelle Marche ed i suoi epigoni, Ancona 1975; AA.VV., Il Lazzaretto di Luigi Vanvitelli, Ancona, Comune di Ancona, 1980.

Il Lazzaretto si inserì subito nella storia di Ancona. Scrive Palermo Giangiacomi: “Rappresentava una riserva idrica per Ancona: la sopra citata cisterna conteneva 30.000 barili romani d 36 boccali l’uno; la cisterna veniva ripulita ogni dieci anni; nel 1738, a motivo della siccità l’acqua fu caricata con due barche a Fiumicino (Fiumesino), ove esisteva una vena d’acqua che poi si esaurì nove anni dopo dovettero poi recarsi a Portonovo. La spesa giornaliera dell’acqua tanto da Fiumesino che da Portonovo era scudi 1 ( i guardiani erano pagati con paoli 4 al giorno, gli spurgatori 3.). A protezione di questo magnifico lazzaretto, che ospitò l’avventuriero casanova, venne costruita una scogliera sulla quale nel 1791 sorse il primo casotto da pesca (tassa annua scudi 5). Più tardi alla scogliera che era solo di protezione del Lazzaretto, fu aggiunto lo scoglio, oggi Molo Sud, a difesa delle acque del porto. Nell’estate del 1763 i contumaci erano 1234 e per 40 giorni. ………..Durante la dominazione austriaca vi subivano le legnate i patrioti. Nel 1852 i soldati del Papa vi fucilarono gli appartenenti alla cosiddetta Caurà, ossia gli omicidiari del 1848-1849 che Mazzini aveva voluto imprigionati , minacciando altrimenti le dimissioni dal Triunvirato. Anteriormente e fino al 1499 Ancona ebbe lazzaretti sotto Marano e sotto le rupi di Capodimonte   Giangiacomo P.,Storia di Ancona. Dalla sua fondazione ad oggi. Guida Artistico-commerciale illustrata, Ancona, Libreria Editrice Giuseppe Fogola, 1923.  

[17] Porta Pia fu eretta tra il 1787 ed il 1789 su disegno di Filippo Marchionni; costituiva il nuovo ingresso in città lungo la litoranea voluta da Papa Pio VI. La facciata esterna è quella più ricca ed eseguita con materiale più nobile: è eseguita con pietra d’Istria sia nella struttura che nelle decorazioni. L’arcata d’ingresso è fiancheggiata da due lesene la cui sezione si allarga salendo verso l’alto; esse sorreggono l’alto attico che recava la dedica e sorreggeva lo stemma papale, entrambi scalpellati all’epoca della occupazione francese. Il timpano che chiude la composizione è ripreso in baso, da due volute che allargano la base dell’attico sopra i muri laterali fino ad appoggiarsi, una volta a quelle delle fortificazioni. L’arcata verso la città si apre invece in un severo bugnato di blocchi di tufo sul quale spiccava un’atra lapide marmorea, e si conclude con un semplice timpano triangolare. Cfr. la scheda di  Vincenzo Pirani in Polverari M. (a  cura di), Ancona Pontifica. L’ottocento. Un inventario urbano. cit., pag. 597

[18] Ancona si diede fin dai tempi più antichi delle difese verso il mare. I Baluardi, o bastioni, del porto inizialmente avevano un profilo scarpato, con piazzole, feritoie, nicchie per il riparo dei difensori , e costituivano delle modeste piattaforme di difesa atte a controllare lo specchio di mare più vicino alla città. Sorti in periodo diversi, i baluardi costituirono , assieme tra loro e in accordo con il rivellino quattrocentesco posto sul prolungamento  del molo di Traiano, la pria reale difesa dell’intero arco portuale di Ancona; ad essi si aggiunsero nel Cinquecento, l’impianto fortificato della Cittadella e del Campo Trincerato sul colle Astagno e, nel settecento, le opere progettate dal Gavitelli, della Mole (Lazzaretto) e della Lanterna, ambedue realizzate a scopo difensivo. Localmente assolvevano a funzioni di difesa diverse: basti pensare alla vicinanza del baluardo di Santa Lucia con l’annesso rivellino, innalzato per il controllo dell’ingresso sud alla città. Dal baluardo di Santa Lucia a quello di San Primiano era innalzata una interrotta muraglia di confine della città  sul mare; fino a Sant’Agostino, costruita con un passaggio basso sull’acqua , a mo di marciapiede che dava accesso alle numerose portelle; da Sant’Agostino in poi con i muri direttamente sull’acqua. Tali opere durarono fino ai primi decenni del novecento. La forma in pianta dei tre baluardi era diversa tra loro dovendosi, come già accennato, adattare ai luoghi sui quali sorgevano, Infatti il San Primiano (di disegno triangolare) detto anche del Correggio, costruito nel 1593 interrando parzialmente il molo della Cassetta, rovinato nel 1590, sito all’attacco del molo, apportando notevoli modifiche all’opera realizzata nel 1481 da Petro Amoroso, e il Santa Lucia (pressoché rettangolo, ma precedentemente a forma pentagonale) sito all’angolo di Porta Pia costituivano in qualche modo la delimitazione del tratto  d banchina del porto, il primo dal lato nord, ed il secondo dal lato sud. Il Sant’Agostino quasi al centro dei due , ubicato allo sbocco della vallata sul mare, proponeva invece con la sua testa pentagona, ad orecchioni, un controllo di 180° sull’intero porto.

L’architetto Giacomo Fontana nel 1562 aveva iniziato il completamento della cortina a mare nel tratto Sant’Agostino- Santa Lucia costruendo la cortina e i due baluardi, il secondo detto allora del Lazzaretto, presso il Lazzaretto vecchio là collocato. Il baluardo era costruito a salienti smussati  per far fronte al mare di maestro-tramontana cui la sua faccia maggiore era esposta. Sorgeva sull’attuale banchina , piantato direttamente in mare e circondato dall’acqua sui tre lati. Era eseguito in muratura laterizia rivestita all’esterno con pietra d’Istria in conci ripianati. Sino alla metà del 700 il baluardo restava esposto direttamente alle correnti ed ai frangenti, che si riversavano per la particolare conformazione della costa, direttamente su di esso; non esistevano infatti a ripararlo dal mare e dai venti di garbino e di mezzogiorno né il Lazzaretto nel il molo sud, né il molo clementino a proteggerlo dai veti del nord.

Le portelle esistenti a metà dell’ottocento a partire dal Lazzaretto fino al baluardo di San Primiano erano:

-         Per i Navigli, ubicato al lato del baluardo di Santa Lucia

-         Di Sant’Agostino, forse già portella Polini, non più esistente, si apriva a lato del baluardo di Sant’Agostino, nell’incavo del suo orecchione

-        Del macello, o della Beccheria ( o Beccarla): questa portella fu fatta demolire dal De La Moricière nella primavera del 1860 per sistemarvi una batteria a difesa diretta della entrata del porto. Oggi questo varco ha il nome di Scalo Vittorio Emanuele II, ma molti anconetani più anziani lo continuano a chiamare il “delamoriciè”.

-        Della Loggia, è quella tutt’ora visibile, in pietra d’Istria, dietro l’edificio appunto della Loggia , per via del loggiato-balcone da cui i mercanti attendevano l’arrivo in porto delle loro navi. La porta era costituita da due fornaci oggi entrambi usati per scopi religiosi e commemorativi.

-        Della dogana ( o di Santa Maria): che apre sul tratto esistente della via Sottomare; è in buone condizioni, oggi, perché è stata parzialmente ricostruita nel dopoguerra . E’ d’impronta medioevale sul lato della città, d’impronta ottocentesca sul lato mare.

-        Dei Palunci: che doveva il suo nome alla famiglia di origine il lirica appunto dei Palunci; è ancora visibile (resta una sola arcata) nel recinto dei nuovi edifici portuali della Capitaneria di porto, unitamente al tratto del vecchio Corridore.

-        Dei Toroglioni ( o dei Toroleoni): appartenente al palazzo dell’omonima famiglia, distrutto anche questo nell’ultima guerra.

-        Del Greco o della Contumacia o Porta Ultima: era ubicata immediatamente a ridosso dell’abside della Chiesa di San Primiano, collocata sulla cinta muraria a mare, come tutte le altre, ed è scomparsa con le distruzioni che il porto ha patito durante l’ultimo conflitto mondiale.

Cfr. la scheda di Fausto Pugnaloni  in Polverari M. (a  cura di), Ancona Pontifica. L’ottocento. Un inventario urbano. cit., pag. 37 Vds. inoltre Pirani V., le opere fortificate di Ancona, in AA.VV. Architetture fortificate delle Marche . Mura, torri, rocche, castelli, Milano, 1985

[19] Il Molo

[20] In testa al vecchio molo nord, quello traiano, esisteva fin dal quattrocento una costruzione a pianta ottagana collocata direttamente i mare, attrezzata per la difesa dello specchio d’acqua portuale e quindi della città. Accanto a tale rivellino vi era la torre detta del Fanò, ovvero la torre dei segnali, più alta del rivellino e piantata sul molo verso l’Arco Clementino. Tutto ciò appare chiaramente nella veduta di Ancona realizzata dal de Giardinis nel 1745 nel momento in cui sono ancora in corso i lavori progettati dal Vanvitelli del Nuovo Braccio. E proprio le costruzione preesistenti del rivellino e del Fanò sembrano essere le idee ispiratrici dell’idea vanvitelliana della testata del nuovo molo. Infatti molto chiaramente nella riproduzione  del Vasi del 1738 compare, in uno dei medaglioni, una costruzione che sa di fortezza, di torre, apparentata allo stesso Lazzaretto. Nel 1773, quasi quaranta anni dopo il loro inizio, i lavori del Braccio Nuovo sono in fase di completamento: mancano, appunto, la parte conclusiva del molo ed il forte della lanterna progettato dal Vanvitelli. In quel periodo era attivo in Ancona l’architetto Carlo Marchionni, di origine romana, che godeva della fiducia di chi rispondeva dei lavori del porto anconetano. Gia dedicatosi ai lavori di completamento del braccio dopo la scomparsa dalla scena di Luigi Vanvitelli, egli si fede promotore della prosecuzione e della realizzazione dei progetti vanvitelliani, con particolare riferimento alla batteria fortificata, che lo stesso Vanvitelli aveva mutuato dal rivellino del Lazzaretto. Il Marchionni indicava nell’allora esistente batteria dell’antico rivellino del vecchio molo il “tipo” della batteria ideale: a doppio ordine, alta e bassa sull’acqua, per poter meglio colpire le navi in avvicinamento al porto. Non così prevedeva il progetto vanvitelliano che proponeva una sola linea di difesa, né alta né bassa sull’acqua. Il Marchionni sottolineava che non si doveva commettere l’errore di porre in testa  al molo “almeno dodici cannoni per la batteria a fior d’acqua. E di non fortificare a dovere la testa del braccio, lasciando il porto più debole di quanto non fosse prima della costruzione del nuovo molo”

Nel 1774 Carlo Marchionni ed il figlio Filippo diressero i lavori del forte con sovrapposta la lanterna, in forme che non si discostavano  molto dalle linee del disegno vanvitelliano, passando attraverso idee dello stesso Carlo Marchionni e del De Blacas Carros. Infatti il Marchionni rielaborò parzialmente il progetto di Luigi Vanvitelli nel 1772, ma sembra che il De Blacas Carros redigesse il definitivo progetto. Il Marchionni aveva alzato l’antemurale  del forte e creato i due livelli di difesa auspicati, oltre a snellire la torre dei segnali nella sua parte bassa, rendendola costruzione omogenea nella sezione esagona; aveva altresì suggerito un basamento in pietra segnato da tre cannoniere per faccia, con sovrastanti spalti per una coppia di pezzi da tiro; una torre divisa in quattro porzioni da altrettanti marcapiani, che preannunciavano il lanternino cupolato dei segnali luminosi. Il progetto realizzato si discosta molto nella sua parte bassa dai due precedenti, del Vanvitelli e del Marchionni, simili tra loro; propone, infatti, un basamento irregolare (in forma e dimensioni, diviso in due parti; una aggregata alla torre nel lato interno del porto; più alta dell’altra) che circondava dal lato del mare aperto la torre stessa. La torre del faro fu realizzata a base quadrata, divisa in altezza in due parti simili: quella inferiore  a disegno tronco di piramide, quella superiore, a campanile con una sorta di coronamento a quattro falde che introducevano al lanternino cilindrico. Su ogni lato una sequenza verticale di bacature. Cfr. la scheda di Fausto Pugnaloni  in Polverari M. (a  cura di), Ancona Pontifica. L’ottocento. Un inventario urbano. cit., pag. 38

[21] Vds nota precedente

[22] L’edificio della Sanità e quello della Capitaneria del porto furono costruiti sotto Pio VII nel 1821, su progetto di Giuseppe della Gatta, all’estremità del porto traiano, sulle fondamenta dell’antico rivellino quattrocentesco, che aveva accanto la torre del Fanò. Un apposito piccolo molo ne consentiva l’accesso. Cfr. Polverari M. (a  cura di), Ancona Pontifica. L’ottocento. Un inventario urbano. cit., pag. 48

[23] Il Moroni scrive “Agli inizi del XIV secolo si svolgeva già a buon livello, nell’area sede degli attuali cantieri navali l’attività del terzenale, ove si era n grado di costruire cinque navi contemporaneamente”. L’area era quella delle rupi sotto il Guasco. Dal trecento al l’ottocento i Papi hanno nell’Arsenale l’industria per avere le loro navi. Lo spazio dell’attività cantieristica rimase emarginata  nella sua area sino alla metà dell’Ottocento, in occasione della visita di Papa Gregorio XVI l’ingegnere Michele Bevilacqua , per contro della amministrazione comunale, ruppe l’isolamento dell’area abbattendo il muro di cinta dell’arsenale e il baluardo di san Primiano facendo assistere il Papa al varo di un bastimento. Allo stesso pontefice fu allora evidenziata l’esigenza di costruire un nuovo arsenale, proposta che il Pontefice accolse stanziando 80.000 scudi per la realizzazione di un progetto di ammodernamento che lo stesso  redasse. La posa della prima pietra avvenne il 12 marzo 1843, alla presenza del delegato pontificio cardinale Antonio Tosti. Dal 1853 Ancona poteva disporre di un Arsenale che era in grado di costruire sei bastimenti contemporaneamente. Cfr. la scheda di Fausto Pugnaloni  in Polverari M. (a  cura di), Ancona Pontifica. L’ottocento. Un inventario urbano. cit., pag. 37 Vds. inoltre Bevilacqua G., Gli allargamenti di Ancona dall’origine fino a noi (1869), in AA. VV., Guida d Ancona, 1884; Moroni M., L’arsenale di Ancona. Reminiscenze storiche, Fano, 1901.

 Nella difesa della Piazzaforte i Comandanti pontifici hanno trascurato l’Arsenale, considerando la sua difesa ininfluente sull’evolversi strategico degli avvenimenti, affidando la sua difesa alla a zione della batteria di monte Marano.

[24] Il Bagno Penale era stato realizzato intorno alla metà del settecento nella darsena, in un area di pertinenza dell’Arsenale e nella quale erano stati realizzati un lazzaretto (secolo XI)  ed il teatro “La Fenice” (aperto nel 1664 funzionerà fino al 1818). Scrive il Pirani.“La vicinanza dei galeotti a Cantiere era motivata dal fatto che  essi prestavano la loro opera nell’arsenale e nei lavori portuali. Secondo una antica tradizione, i galeotti addetti alle operazioni del varo, e soprattutto quelli incaricati di togliere i puntelli per permettere lo scivolamento  in mare del natante, incarico che normalmente si concludeva con la morte di qualcuno di essi per la pericolosità della manovra, venivano graziati  quando riuscivano a salvarsi senza compromettere la regolarità del varo.” Il Santini aggiunge: recintato da alte mura “il Bagno Penale era costituito da fabbricati di uno ed anche di due piani, con pianterreno e sotterranei. Agli inizi del secondo cinquantenario dell’ottocento, circa una metà dei locali  era riservata alla direzione, al personale di custodia, ai magazzini, ai lavoratori, all’infermeria, alla chiesa, cappella di san Giuseppe; la metà residua era adibita alla detenzione dei forzati politici e comuni, condannati a vita e a tempo”. Cfr. Polverari M. (a  cura di), Ancona Pontifica. L’ottocento. Un inventario urbano. cit., pag. 64. Vds. inoltre Santini G., Prigioni anconetane , in Rendiconti dell’Istituto Marchigiano di Scienze, Lettere ed Arti, Ancona, Vol. XXI (1961), 1962; Pirani V., Ancona dentro le mura, cit.,

[25] L’arco di Traiano è un simbolo di Ancona e della Storia di Ancona. Fu innalzato per commemorare la ristrutturazione del porto voluta dall’imperatore Traiano nel115.d.C.; l’arco fu opera dell’architetto Apollodoro di Damasco. Cfr. la scheda di Maurizio Landolfi in Cfr. Polverari M. (a  cura di), Ancona Pontifica. L’ottocento. Un inventario urbano. cit., pag. 52. Vds. inoltre Galli E., Per la sistemazione dell’Arco di Traiano in Ancona in Bollettino d’Arte, 1937, pag. 321-336; Mercando L., in Umbria e Marche. Guide archeologiche Laterza, Bari, casa Editrice Laterza, 1980;

[26] L’Arco Clementino, nel quadro delle realizzazioni  per la costruzione del Molo Nord, fu progettato e realizzato da Luigi Vanvitelli tra il 1732 ed il 1735, oltre l’Arco di Traiano, in onore di Clemente XII, papa sensibile agli interessi di Ancona, nell’area che oggi non esiste più detta del Gran Baluardo. Cfr. la scheda di Fausto Pugnaloni in Polverari M. (a  cura di), Ancona Pontifica. L’ottocento. Un inventario urbano. cit., pag. 44.

[27] Costruita da quattro colonne in marco bianco di Carrara, alla base delle quali vi era una cancellata, e da due piccoli edifici neoclassici con portici a quattro colonne sormontate da un fronte palladiano, essa rappresentava il nuovo accesso monumentale alla città dal porto, esaltando il prospetto settecentesco della chiesa di San Primiano. Fu abbattuta nella prima meta del ‘900.  Cfr. Polverari M. (a  cura di), Ancona Pontifica. L’ottocento. Un inventario urbano. cit., pag. 67

[28] Nel 1860 questa località aveva questo nome; successivamente, venne abbellito con il nome di Pinocchio, ed una statua del celebre personaggio di Collodi abbellisce il cortile della locale scuola elementare.