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sabato 9 luglio 2016

Gabriele d'Annunzio. Volo Su Zara 23 dicembre 1915.


Si riporta, di seguito, il messaggio autografo, che fu donato dal Comandante d’Annunzio all’Ammiraglio Paolo Thaon di Revel riprodotto in Ministero della Marina, Ufficio del Capo di Stato Maggiore, Ufficio Storico, Gabriele D’Annunzio. Combattente al servizio della Regia Marina, Roma, Società Anonima Poligrafica Italiana, 1931.ivi pubblicato per gentile concessione della figlia, duchessa Clorinda Imperiali Thaon di Revel, la cui famiglia custodisce l’originale.

La nota che lo accompagna nel sopra citato volume è la seguente:

“Il volo su Zara doveva partire da Venezia, il 23 dicembre 19115, puntare su Ancona, raggiungere il cielo di Zara. Sulla città il Comandante d’Annunzio avrebbe lanciato, in sacchetti dai lunghi nastri tricolori il suo messaggio.
Due giorni prima della partenza, il tenente di vascello Giuseppe Miraglia, pilota dell’apparecchio di d’Annunzio, provando uno degli apparecchi destinato all’impresa, perdette la vita. Il volo su zara non venne più effettuato."

Il documento sarà riportato sul volume in preparazione
Le Marche e la Prima Guerra Mondiale. Il 1915. I primi sei mesi di guerra, 
Roma, Editrice Nuova Cultura, Università la Sapienza, 2016

Nella parte conclusiva del capitolo 4 si ricostruisce nei minuti dettagli l'impresa progettata di un volo Venezia Ancona Zara, che d'Annunzio voleva compiere dopo i voli si Trieste e su Trento, che sono ugualmente ricostruiti nel citato paragrafo.
Questa impresa sottolinea l'accresciuta importanza di Ancona sotto il profilo strategico dopo i primi sei mesi di guerra, che avviò il processo di trasformazione da città indifesa, come era al momento della entrata in guerra a piazzaforte marittima.
massimo coltrinari
(coltrinari2011@libero.it)

Gabriele d'Annunzio e il Volo su Zara, 23 dicembre 1915. Testo del volantino

Zara, Zara la santa, Zara l’invitta, questo è un messaggio d’Italia avvolto nel tricolore.
Eccoti la buona novella due aspetti, eccoti la parola invocata dalla tua passione.
E’ la prima volta che su te volano ali italiane, ali armate in guerra, ali della nostra guerra, partite dall’altra sponda, venute a te di sopra l’Adriatico, di sopra le tue isole ed i tuoi canali, per portati il conforto della Patria, per dirti che oggi non sei più sola, che più non sei abbandonata, che come Trento e Trieste sei tutta viva nel cuore nuovo d’Italia.

Siamo apparsi nel tuo cielo per annunziarti che il giorno primo di dicembre, in Roma, nelle solenne assemblea nazionale, fu dichiarato il proposito fermo di riscattare “tutte le genti di nostra razza da da lunghi anni sostengono una lotta disuguale contro la subdola e pervicare opera di opposizione e di oppressione proseguita dal Governo austriaco”.

Chi più di te fu coraggiosa e costante fidente e disperata, nella lotta d’ogni giorno? Noi lo sappiamo, Noi ce né ricordiamo. Il popolo di Zara, solo contro tutti, negletto dalla Madre e senza lamento contro la madre, ha salvato il comune italiano, ha preservato la figura della nostra più antica dignità. Nella Dalmazia latina da schiatte barbariche iniquamente invasa e usurpata col favore imperiale, il popolo di Zara ha salvato e confermato il glorioso comune italiano, ha mantenuto nel suo pugno il fermento della nostra più antica libertà.

Non v’è per te lode assai alta, non v’è corona assai chiara per te, per il premio dei tuoi fatti. Queste parole che ti gettiamo dovrebbero essere un canto, perche solo il canto è degno di avvicinarsi alla tua virtù ed al tuo martirio. Nel giorno dei morti, in quella grande Acquleia piena di Roma e di Cristo, donde venne a te traslatato il corpo di Crisogono tuo patrono antichissimo, taluno taluno dichiarò ai soldati in ginocchio i versetti di un nuovo salmo. Diceva nel salmo la voce dell’Italia potente:

“Mie tutte le città del mio linguaggio, tutte le rive delle mie vestigia.
 Mando segni e possenti in mezzo ad esse.
Ma in Zara è la forza del mio cuore; su la Porta Marina sta la mia fede,
ed in Sant’Annunziata onde il mio voto
Grida, o Porta!
Ruggi, o Città coi tuoi Leoni!
A te darò la stella mattutina
A te verrò, e di sotto alla tavola del tuo altare trarrò i tuoi stendardi
Li spiegherò nel vento di levante.
 O mare, non mi rendere i miei morti, né le mie navi.
Rendimi la gloria.
E allora invita fu dall’alto una voce senza carne che diceva:
- Beati i morti –
Fu intesa una voce annunziare:
-          Beati quelli che per te morranno-
I soldati piangevano, inginocchiati tra le fresche tombe più venerande delle arche romane. E Trieste era prossima, così che ci pareva di sentire il suo soffio doloroso passare sul Golfo e alitare nel nostro sepolcreto di zolle. Ma in quel punto tu, sorella Leonina, tu eri anche più presso, tu che non udivi il tuono dei nostri morti, tu che non vedevi nella notte le nostre lunghe barre di fuoco spinte sempre più avanti, né forse indovinavi di sotto alle menzogne croate l’imposto della nostra conquista.

Ora sai che per te si combatte e per te si vince. L’Isonzo è ridiventato un bel fiume d’Italia. Gorizia è già perduta per nemico. Il Carso è per nemico u infermo senza scampo. Il tuo popolo vecchio “santa intrada”chiamò l’ingresso dei magistrati veneziani. Ora attendi con certezza una entrata più santa: quella del nostro Re, vero tra i re soldato e tra i soldati primissimo. Le tue donne possono cucire in segreto il tricolore, come fecero alla vigilia della giornata di Lissa. Altra forza, altra volontà, altro destino. Quel tricolore ondeggiare al vento della primavera ventura, insieme con gli stendardi di San Marco dissepolti.

Noi veniamo da Venezia. Siamo partiti all’alba da quella Venezia che ti assomigli. Mentre a volo noi respiriamo la tua anima stessa che inarcata fu sopra le tue mura il tuo cielo veneziano, mentre scendiamo verso di te per meglio guardarti, per meglio riconoscere nel tuo viso il viso materno, i nostri compagni portano ghirlande votive alla tua immagine di pietra scolpita nella base di Santa Maria del Giglio, dove dorme quel Duodo che comandò le sei galeazze vittoriose accanto alle tue quattordici nelle acque di Lepanto. Ed altri nostri compagni nell’ora medesima sospendono una corona di bronzo al sepolcro di un tuo figlio morto d’ambascia per i tuoi dolori, alla tomba romana di Arturo Corautti “ Vate e martire della gente dalmatica imperterrito incorrotto” promettendoti “la tua traslazione prossima dell’esule corpo alla spiaggia natale restituita nella grazia di Roma”

Se quel corpo che tanto soffrì ti fosse conservato per virtù di miracolo, tu che riconosceresti le cicatrici lasciategli dalle sciabole austriache che lo tagliarono all’improvviso in un agguato notturno, sette contro uno, per punirlo di aver iposto il marchio potente del suo dispregio sul ceffo dei vigliacchi.

O Zara, che sei tutt’ora quali lo fosti per Antonio Barbaro scolpita nel basso rilievo di Santa Maria del Giglio, simile ad un ala con la sua giuntura forte, simile ad una lunga ala di guerra come la nostra, ad un ala d’Italia sul Mare, o Zara di Nicola Trigari, Zara di Luigi Ziliotto, rocca di fede, per gli stendardi sepolti nel tuo Duomo consacrato sotto il vocabolo della Resurrezione, per l’arco romano che abbozza la tua Porta Marina, per le tre absidi del tuo San Crisogono che sembra da angeli toscani alla tua Riva Vecchia trasportato di Lucchesia, per le vere dei tuoi cinque pozzi dove l’ombra di Alvise Grimani ancor beve, per l’arca regale del tuo San Simeone battuta in argento dal maestro lombardo, per tutta la tua grazia veneta, per tutta la tua bellezza italiana, credi nella promessa, credi nella gioia della seconda primavera quando fiorirà l’acanto corintio della tua colonna latina ed i tuoi Leoni di sopra le tue porte fremeranno alla “santa entrata”

Vivere vorrebbe fino a quel giorno ed esser degno di cantare la tua coronazione che oggi dall’alto ha sentito battere più forte del rombo il tuo gran cuore d’eroina.

Dal cielo della Patria, dicembre 1915

Gabriele d’Annunzio.