Sempre dal Prof. Pierluigi Roesle Franz riceviamo e volentieri mettiamo a disposizione di tutti questa lettera:
Oggetto: Il 5 gennaio 2015 ricorre il 1° Centenario della morte di Lamberto Duranti di Ancona, il primo giornalista italiano Caduto eroicamente nella Grande Guerra.
Roma, 27 dicembre 2014
Egregio Professore,
come Le ho anticipato poco fa, Le invio il materiale da me raccolto in anni di ricerche sugli altri 7 giornalisti nati o vissuti nelle Marche e Caduti nella Grande Guerra.
Oltre a Lamberto Duranti di Ancona, il primo giornalista italiano Caduto eroicamente nella Grande Guerra del quale - come illustrato ampiamente nella mia e mail odierna - il 5 gennaio prossimo ricorre il 1° Centenario della sua morte in combattimento con la Legione Garibaldina nelle Argonne contro i tedeschi (fu poi sepolto con gli onori militari nel cimitero di Tavernelle. Nell'occasione la città di Ancona proclamò il lutto cittadino) si tratta di altri 4 giornalisti marchigiani di nascita (Augusto Agabiti di Pesaro, Filippo Corridoni di Pausula poi Corridonia - proprio in suo onore, Amilcare Mazzini di Mondolfo e Gaetano Serrani di Tolentino), e di altri 3, nati invece in altre Regioni, ma che hanno vissuto anche nelle Marche (il toscano Giuliano Bonacci di Firenze, inviato di guerra del Corriere della Sera e figlio di Teodorico, ex Ministro della Giustizia e Vice Presidente della Camera, ma che apparteneva ad una famiglia di Jesi) o hanno lavorato per giornali marchigiani (l'umbro Gaspare Bianconi di Norcia e il campano Arturo Caruso di Acerra).
A mio parere oltre a Lamberto Duranti sarebbe quindi opportuno onorare anche la loro memoria e il loro eroico sacrificio.
A mio parere oltre a Lamberto Duranti sarebbe quindi opportuno onorare anche la loro memoria e il loro eroico sacrificio.
Con i miei più cordiali saluti e i migliori auguri di Buon Anno!
Consigliere nazionale dell'Ordine dei Giornalisti e Presidente del Gruppo Romano Giornalisti Pensionati presso l'Associazione Stampa Romana
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CHI ERANO GLI ALTRI 4 GIORNALISTI MARCHIGIANI AGABITI, CORRIDONI, MAZZINI e SERRANI, CADUTI NELLA GRANDE GUERRA
CHI ERA IL GIORNALISTA MARCHIGIANO AUGUSTO AGABITI, CADUTO NELLA GRANDE GUERRA
Il marchigiano Augusto Agabiti fu Direttore dal 1914 della rivista teosofica “ULTRA” di cui era stato collaboratore sin dal 1907. Scrittore e critico letterario. Interventista e repubblicano. Teosofo come Giovanni Amendola (cui fu poi intitolato l’I.N.P.G. I. - Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani). Fu anche Vicebibliotecario della Camera dei Deputati.
Era nato a PESARO il 7/1/1879, figlio di Francesco (garibaldino che combatté a Bezzecca e Mentana) e Vincenza Barugi. Sua sorella Celestina divenne madre del critico letterario Walter Binni.
Morì a ROMA (dove era tornato per una breve licenza) il 5/10/1918 a seguito della "spagnola", malattia contratta dopo aver combattuto al fronte nella Grande Guerra dal 1915 al 1917 come TENENTE del 1° REGGIMENTO GENIO.
Studiò a Pesaro, poi si laureò in legge a Roma nel 1901. Sollecitò leggi sull'alcoolismo e per limitare la vivisezione, attaccando il dannunzianesimo. Copiosa la sua produzione letteraria. Nel 1903 analizzò dal punto di vista storico-giuridico "la Raccolta del cardinale Fulvio Astalli delle costituzioni del Ducato di Urbino del 1696. Un anno dopo "Libri politici recenti: appunti critici" e "La sovranità della società: studio critico" e il saggio giuridico “La sovranità della società”, quindi "Verso l'occultismo".
Tenne conferenze a Roma per incarico della società teosofica: nel 1905 "I nostri intenti: chi siamo, che cosa vogliamo", e il 21 giugno 1906 "La teosofia come scienza e la società teosofica come accademia".
Nel 1907 scrisse "Lo spiritualismo esoterico dell'Islam", mentre nel 1909 una monografia su "Pesaro". Un anno dopo a Bruxelles pubblicò "La criminalité et les sciences psychiques". Poi si dedicò a combattere la vivisezione: nel 1910 "La vivisezione: tortura di animali e scempio di coscienze", nel 1911 "Vivisezione omicida" e "Il problema della vivisezione: testi delle principali leggi vigenti negli Stati moderni" con prefazione dell'on. Romolo Murri, e nel 1912 "L'umanità in solitudine, per la protezione degli animali" con prefazione del prof. Luigi Luzzatti.
Nel 1912 pubblicò "L'emblema della lega teosofica indipendente". Ed ancora: "La musica e l'occultismo", "Per la Tripolitania : la religione e la teosofia degli arabi", "I dati dell'ipnotismo al problema dell'anima", "La chiaroveggenza" e "Il buddismo esoterico".
La sua opera più nota é "Ipazia: la prima martire della libertà di pensiero" del 1914 come "La salvezza d'Europa e l'intervento italiano", precedute nel 1910 da "Ipazia la filosofa, 370-415 d. G. C.". Prima della guerra scrisse nel 1912 "La riforma moderna dei cimiteri: l'apparecchio Karnice per il salvataggio degl'inumati vivi" e nel 1913 "La tortura sepolcrale: (il nostro pericolo piu spaventoso)" con prefazione del conte Michel di Karnice-Karnicky, Ciambellano dell'Imperatore di Russia e ricco filantropo, che dedicò la sua vita alla morte (apparente), fabbricando da sé i modelli del suo apparecchio in legno e in cartone.
Come ricorda il poeta-scrittore Guido Ceronetti in un articolo pubblicato su "La Stampa" il 15/1/1974 a pag. 3, nel libro di Agabiti "La tortura sepolcrale" -Il nostro pericolo più spaventoso") del 1913 si racconta in dettaglio come funzionava il Karnice. L'apparecchio, costruito nelle officine meccaniche Lindner di Berlino, si applicava sulla tomba ed era in comunicazione con il defunto per mezzo di un tubo terminante in una palla di vetro sospesa sullo sterno immobile e chiuso all'esterno da un otturatore. Verificandosi un movimento all'interno della cassa una potente suoneria echeggiava nel cimitero mentre aria fresca entrava velocemente dal tubo sturato e gli accorsi, applicando l'orecchio ne ascoltavano le impressioni. Il Karnice fu in voga nei migliori cimiteri. In Italia costava 300 lire.
Uscirono postume nel 1919 le sue note di taccuino al fronte: "Sulla fronte giulia". Il suo nome non compare sulla lapide con i nomi di 83 giornalisti Caduti in guerra tra il 1915 e il 1918, inaugurata da Mussolini il 24 maggio 1934 al Circolo della Stampa di Roma e casualmente ritrovata a Roma nel maggio 2011 in una cantina dell'INPGI.
Figura nell'Albo d'Oro dei Caduti, cliccare su: http://www.cadutigrandeguerra.it/Albo_Oro/Archivi/13/3.jpg
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CHI ERA IL GIORNALISTA MARCHIGIANO FILIPPO CORRIDONI, CADUTO NELLA GRANDE GUERRA E MEDAGLIA D’ORO AL VALOR MILITARE ALLA MEMORIA
Il marchigiano Filippo (detto Pippo) Corridoni come giornalista collaborò con "LA CONQUISTA", "ROMPETE LE FILE", "BANDIERA ROSSA", "BANDIERA PROLETARIA", "BANDIERA DEL POPOLO" e "DEMOLIZIONE". Nazionalista e interventista, si era arruolato volontario per la guerra, nonostante fosse inabile a sopportarne le fatiche. Fu uno dei più infaticabili educatori sindacali delle masse lavoratrici di inizio Novecento e uno degli Eroi della Grande Guerra più cari al popolo.
Era nato il 19/8/1887 (nell'Enciclopedia Teccani, edizione 1950, è erroneamente indicata la data del 23/10/1888) a PAUSULA (MACERATA), città che successivamente cambiò nome in CORRIDONIA proprio in suo onore.
Era figlio di Enrico (operaio di una fornace) e di Enrichetta Paccazzocchi. Altri due suoi fratelli morirono per la Patria: Ubaldo, detto Baldino, in un assalto in trincea il 2/11/1915 e Giuseppe Luigi, detto Peppino, che restò ferito e morì un anno e mezzo dopo la fine della guerra l'8/6/1920.
Nella prima giovinezza fu mazziniano. Uscito dalla scuola superiore di Fermo e trasferitosi a Milano si impiegò nel 1905 come disegnatore presso la Miani-Silvestri e si gettò nella lotta sociale dichiarandosi sovversivo-marxista e iscrivendosi alla Scuola sindacalista rivoluzionaria. Intervenne sulla "DEMOLIZIONE" in un dibattito sulla costituzione di un partito insurrezionista. Fu amico del giornalista irredento Giuseppe Vidali di Istria (anch’egli Caduto poi nella Grande Guerra).
Propagandista e volontarista, insieme con la rivolta delle masse operaie, predicò la rivolta della borghesia per l'avvento di una classe dirigente più consapevole e atta ad affrontare una lotta decisiva. Dal 1907 condusse un'aspra lotta contro la Confederazione generale del lavoro. Nel 1908 organizzò a Parma con Alceste De Ambris il più lungo, drammatico e imponente sciopero agrario del sindacalismo rivoluzionario italiano.
Fece sua la formula: "L'emancipazione dei lavoratori deve essere opera dei lavoratori stessi". Ritenne che il sindacalismo operaio potrà creare un Stato nello Stato e successivamente procedere alla conquista violenta del potere. Quando scoppiò la Grande guerra si schierò per l’intervento a fianco di Benito Mussolini, dichiarando di trovarsi di fronte all’immaturità proletaria e a moltissimi problemi da risolvere in comune con le altre classi sociali. Con lo pseudonimo di Leo CELVISIO fondò con Maria Rygier il giornaletto antimilitarista "Rompete le file!". Fu condannato a 5 anni di carcere ed esiliato.
Scrisse: "Sindacalismo e Repubblica", uscito postumo nel 1921, in cui ben illustra la sua concezione del sindacalismo.
Filippo Corridoni combattè nella Grande Guerra come SOLDATO DISEGNATORE DI MACCHINE del 32° REGGIMENTO FANTERIA Brigata SIENA, 3^ compagnia. Al fronte soleva ripetere una frase abituale: "Dobbiamo assolutamente vincere ad ogni costo. Il nemico deve essere schiacciato!"
Morì nella Trincea delle Frasche nei pressi di San Martino sul Carso (Sagrado) il 23/10/1915. Cadde durante la Terza Battaglia dell'Isonzo assieme ad un suo caro amico, il sindacalista Vincenzo Rabolini. Nello stesso combattimento rimase, invece, gravemente ferito l'avv. Frorelli di Mondolfo appartenente anch’egli al partito Nazionalista.
Il suo corpo andò disperso.
Dettero notizia della sua morte il 29/10/1915 Il Popolo, fondato da Benito Mussolini, che gli dedicò l'intera 1^ pagina con foto, La Stampa a pag. 1 e Il Resto del Carlino a pag. 6.
Il 30/4/1925 gli fu conferita la MEDAGLIA D'ORO ALLA MEMORIA per commutazione della MEDAGLIA D'ARGENTO ALLA MEMORIA con questa motivazione: "Soldato volontario e patriota instancabile, col braccio e la parola tutto se stesso diede alla Patria con entusiasmo indomabile. Fervente interventista per la grande guerra, anelante alla vittoria, seppe diffondere la sua tenace fede fra tutti i compagni, sempre di esempio per coraggio e valore. In testa alla propria compagnia, al canto di inni patriottici, muoveva fra i primi e con sereno ardimento all’attacco di difficilissima posizione e tra i primi l’occupava. Ritto, con suprema audacia sulla conquistata trincea, al grido di “Vittoria! Viva l’Italia!” incitava i compagni che lo seguivano a raggiungere la meta, flnchè cadeva fulminato da piombo nemico. Trincea delle Frasche (Carso), 23 ottobre 1915".
Fra le prime sue biografie si segnalano quelle del Masotti nel 1926, del Barni nel 1929 e del Malusardi nel 1930.
Gli é stato dedicato un grande monumento a Parma nell'omonima piazza Corridoni e un busto in piazza dei Martiri a Roma. Nel 1933 nella Trincea delle Frasche, luogo della sua morte, Benito Mussolini, per ricordare il suo vecchio buon amico che non aveva mai avuto degna sepoltura, fece erigere in memoria il Cippo Corridoni, un possente monumento alto 23 metri e ben visibile anche da lontano. Il progetto fu dello scultore latisanese Francesco Ellero.
Figura nell'Albo d'Oro dei Caduti, cliccare su: http://www.cadutigrandeguerra.it/Albo_Oro/Archivi/13/903.jpg
Il suo nome non compare, invece, sulla lapide con i nomi di 83 giornalisti Caduti in guerra tra il 1915 e il 1918, inaugurata da Mussolini il 24 maggio 1934 al Circolo della Stampa di Roma e casualmente ritrovata a Roma nel maggio 2011 in una cantina dell'INPGI.
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CHI ERA IL GIORNALISTA MARCHIGIANO AMILCARE MAZZINI, CADUTO NELLA GRANDE GUERRA E MEDAGLIA D’ARGENTO AL VALOR MILITARE ALLA MEMORIA
Collaboratore-Corrispondente da Parigi de "L'ILLUSTRAZIONE DELLA GUERRA E LA STAMPA SPORTIVA" (con ufficio in Rue Geoffroy Marie 5), inserto de “LA STAMPA” di Torino, e collaboratore da Parigi de "LA STAMPA" di Torino, Amilcare Mazzini era Socio dell'Associazione Ligure dei Giornalisti e del Gruppo Corrispondenti Italiani di Parigi e professore di lingua francese.
Amilcare Mazzini era nato a Mondolfo (Pesaro e Urbino) alle ore 22 del 22/5/1894. Era figlio di Pietro (anch’egli giornalista e Socio dell'Associazione Ligure dei Giornalisti) e di Annita Ferretti (di Francesco fu Pietro), nata a Mondolfo il 2 Dicembre 1867 e morta a Mondolfo il 13 Maggio 1914. Pietro e Annita si erano sposati il 24 novembre 1889 e vivevano in Francia in un primo tempo a Parigi già prima della nascita del figlio, poi a Lione dove Pietro lavorava come corrispondente de "il Caffaro" di Genova.
Partì volontario per la Grande Guerra, pur non essendo costretto da alcun obbligo di servizio militare, ma animato dal più ardente amor di patria, dove combatté come ASPIRANTE UFFICIALE del 1° REGGIMENTO GRANATIERI.
Morì a TRESCHE' CONCA (ASIAGO) il 30/5/1916. Fu colpito alla testa da una pallottola di fucile austriaco. Suo fratello 18enne Aldo, partito anch'egli volontario, restò, invece, gravemente ferito in Trentino.
Dettero notizia della sua morte "La Stampa" del 1/10/1916 a pag. 4 e "L'Illustrazione della Guerra e la Stampa Sportiva" n. 41 dell'8/10/1916 a pag. 7. Il suo nome compare nel 1° Elenco dei Caduti della Federazione della Stampa del 25 settembre 1916 e sulla copertina de "La Guerra Italiana" n. 23 del 15 ottobre 1916.
Nel 1920 fu conferita alla memoria di Amilcare Mazzini la MEDAGLIA D'ARGENTO AL VALOR MILITARE con questa motivazione: "Incaricato di trattenere col proprio plotone il nemico, disimpegnava il suo mandato opponendo, con mirabile tenacia, energica ed efficace resistenza a forze molto superiori, e permettendo così al grosso della compagnia di accorrere sulla linea in tempo utile per respingerle. Poco dopo continuando a combattere, cadeva colpito a morte, da un proiettile avversario. Tresche Conca (Asiago), 30 maggio 1916". E' indicato al n. 45 tra i Caduti del Comune di Mondolfo.
Il 15 agosto 1926 furono solennemente inaugurati a Mondolfo il Parco della Rimembranza ed il Monumento ai Caduti con le aiuole ricche di fiori, ed al centro la stella simbolo dello Stato. Il Comune aveva infatti deciso di creare un Parco della Rimembranza affinché non si dimenticassero gli orrori della Grande Guerra ed il sacrificio di quanti lottarono per la libertà della Nazione.
Al centro del Parco, che é oggi uno dei soli nove Parchi della Rimembranza esistenti in tutti i 67 comuni della Provincia di Pesaro e Urbino, fu collocato il Monumento ai Caduti. Sullo sfondo, a mo’ di semicerchio, furono posti 77 alberi di leccio, uno per ogni soldato di Mondolfo morto nella guerra 1915-1918, quasi in un simbolico abbraccio verso il fante posto al centro del Monumento. Furono scelti i lecci sia per la longevità della pianta che può vivere anche 300 anni, “eternando” dunque il nome del soldato ad essa collegato, sia perché é una pianta assai diffusa nei “boschi sacri” della Roma antica, e dunque adatta per un luogo di “memoria”.
Figura inoltre sulla lapide inaugurata da Benito Mussolini al Circolo della Stampa di Roma il 24 maggio 1934 e casualmente ritrovata in una cantina dell'INPGI.
Compare nell'Albo d'Oro dei Caduti, cliccare su: http://www.cadutigrandeguerra.it/Albo_Oro/Archivi/13/378.jpg
Viene citato nel libro di Alessandro Berluti "Mondolfo e la 1^ Guerra Mondiale - Il Parco della Rimembranza e il Monumento ai Caduti" - Archeoclub d'Italia - Mondolfo 2001.
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CHI ERA IL GIORNALISTA MARCHIGIANO GAETANI SERRANI, CADUTO NELLA GRANDE GUERRA
Gaetano Serrani, Socio dell'Associazione Lombarda dei Giornalisti, nel 1914 gettò le basi assieme a Benito Mussolini e a Filippo Naldi per la creazione di un quotidiano interventista, "Il Popolo d'Italia", di cui fu redattore.
Figlio di Pacifico, era nato a TOLENTINO (MACERATA) il 6/11/1882.
Era sposato ed aveva 5 bambini in tenera età.
Combattè nella Grande Guerra come SOTTOTENENTE del 29° REGGIMENTO FANTERIA Brigata PISA.
Morì nell'Ospedaletto da campo n. 76 a ROMANS S. MARTINO SUL CARSO il 17/3/1916.
Dette notizia della sua morte il Bollettino della Federazione della Stampa del 25/4/1916.
Fu sepolto nel SACRARIO MILITARE DI REDIPUGLIA Tomba n. 34603.
Il suo nome compare nel 1° Elenco dei Caduti della Federazione della Stampa del 25 settembre 1916 e sulla copertina de "La Guerra Italiana" n. 23 del 15 ottobre 1916 e nell'Albo d'Oro dei Caduti, cliccare su:http://www.cadutigrandeguerra.it/Albo_Oro/Archivi/13/570.jpg
Gli è stata intitolata una via a Milano nel Villaggio dei giornalisti a Greco dietro piazza Istria (Vedere La Stampa dell'11/5/1923 a pag. 4).
Figura inoltre sulla lapide inaugurata da Benito Mussolini al Circolo della Stampa di Roma il 24 maggio 1934 e casualmente ritrovata in una cantina dell'INPGI.
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CHI ERANO CHI ERANO I 3 GIORNALISTI BIANCONI, BONACCI E CARUSO, CADUTI NELLA GRANDE GUERRA CHE AVEVANO VISSUTO NELLE MARCHE O AVEVANO COLLABORATO CON GIORNALI MARCHIGIANI, MA CHE ERANO NATI IN ALTRE REGIONI.
CHI ERA IL GIORNALISTA UMBRO GASPARE BIANCONI, CADUTO NELLA GRANDE GUERRA.
Giornalista de "L'ORDINE" di Ancona (era considerato uno dei migliori redattori), corrispondente de "LA TRIBUNA" da Norcia e Direttore della "GAZZETTA CAMERINESE" Gaspare Bianconi era di origini umbre. Avvocato, scrittore e giornalista liberale. Ingegno fervido, parlatore efficace, scrittore facile, concettoso, arguto. Cattolico dissidente si era riconvertito alla fede durante la 1^ Guerra mondiale.
Nato a NORCIA (PERUGIA) il 28/10/1889, era figlio di Giuseppe e Santina Buccolini. Aveva 6 fratelli: Luigi, Lucio, Marianna, Alina, Bianca ed Elio. Un suo antenato ha combattuto nella guerra d'indipendenza, mentre un suo nipote è stato Sindaco di Norcia dal 1964 e 1970.
A 21 anni si era laureato in Giurisprudenza a pieni voti all’Università di Camerino dove aveva iniziato a far pratica giornalistica.
Nella selezione all'Accademia di Modena per Allievi Ufficiali era risultato 24° su ben 3 mila allievi.
Combattè nella Grande Guerra come SOTTOTENENTE del 65° REGGIMENTO FANTERIA Brigata VALTELLINA.
Morì a S. Maria di Tolmino il 21/10/1915 nella 3^ Battaglia dell’Isonzo.
Tre giorni prima di morire scrisse dal fronte questa toccante lettera: “18 ottobre 1915. L'ora del cimento si avvicina. Lo preannuncia il rombo del cannone che da qualche ora echeggia cupo e minaccioso, sotto un cielo limpidamente azzurro, in una festa di sole che arride su questi monti, belli perché italiani; sacri, perché irrorati dal sangue della gente nostra. Io tranquillo attendo la mia ora. Che essa ci porti la vittoria e la gloria! A papà dico di farsi animo. Egli é un uomo che ha nutrito per la nostra Patria affetto profondo: quest'affetto mitighi in lui il dolore della mia perdita. A mamma raccomando di trovare nella fede un impulso alla rassegnazione".
Prima di morire volle dare un buon conforto anche alla mamma scrivendole: "ho messo a posto la coscienza con Dio! Sì! La mattina della partenza, a Padova, nella Basilica di Sant'Antonio, dopo tanti anni, sono tornato a confessarmi e a comunicarmi".
L'episodio é ricordato nel bel testamento da lui scritto poche ore prima che il piombo austriaco lo colpisse e che il Bollettino de “Il Messaggero di S. Antonio" e "Il Resto del Carlino" del 6/11/1915 a pag. 6 pubblicarono per intero. Davanti all'Arca del Santo si era, infatti, gettato ai piedi di un vecchio sacerdote che risvegliò nel suo cuore le energie della vita cristiana e lo preparò a ricevere di nuovo l'eucarestia dopo tanto tempo trascorso nell'indifferenza.
Nel toccante documento si legge: "Uno solo, forse, é il mio rincrescimento: di non aver potuto dare alla famiglia quell'aiuto che speravo di ritrarre dalla professione già bene avviata. Suppliranno a questo vuoto i miei fratelli e le mie sorelle, ne ho fede. Faranno di tutto perché la nostra famiglia continui il suo nome onorato sotto la vigile protezione dei poveri nonni ai quali volgo il mio pensiero". Poi parole affettuose ai congiunti: "Procurate di comportarvi come la mamma che ha dato tutta se stessa alla famiglia. Abbiatela ad esempio e imitatene le virtù." E infine: "Sono tranquillo. Ho la coscienza di non aver fatto del male nella mia breve vita. E' cosa ambita morire sul campo dell'onore".
Dettero notizia della sua morte "Il Resto del Carlino" del 2/11/1915 a pag. 6, "La Stampa" del 2/11/1915 a pag. 5 e del 3/11/1915 a pag. 4, "La Tribuna" del 3/11/1915 pag. 4 e il Bollettino della Federazione della Stampa del 25/11/1915.
Per OnorCaduti il luogo della sua sepoltura è sconosciuto, ma vi sono le foto della sua prima tomba e delle onoranze funebri. Da accertare se la salma sia stata poi trasferita nel SACRARIO MILITARE di OSLAVIA.
Alcuni suoi scritti sono riportati nel volume di Alfonso Ferrandina: "Fulgori di fede e fiamme d’eroismo", Napoli, 1919, pagg. 336.
Il suo nome compare nel 1° Elenco dei Caduti reso noto dalla Federazione della Stampa del 25 settembre 1916 e da "La Guerra Italiana" nella copertina del n. 23 del 15 ottobre 1916 dove è stato erroneamente indicato come Gaspare Biancone, nonché nell'Albo d'Oro dei Caduti, cliccare su: http://www.cadutigrandeguerra.it/Albo_Oro/Archivi/25/43.jpg.
Figura inoltre sulla lapide inaugurata da Benito Mussolini al Circolo della Stampa di Roma il 24 maggio 1934 e casualmente ritrovata in una cantina dell'INPGI.
Il suo eroico sacrificio fu ricordato da Ippolita Paolucci nella mostra tenutasi al Museo Nazionale della Montagna di Torino fino al 25 novembre 2007 “Paesaggi di guerra. Sguardi dal fronte alpino” con fotografie dei luoghi del fronte della Prima Guerra Mondiale da lei scattate dal 1997 al 2002 con una vasta ricerca bibliografica, affiancate dalle lettere scritte dai soldati tra il 1915 e il 1917.
Vari articoli in ricordo di Gaspare Bianconi sono stati pubblicati nel 2012 su "La Nazione" a firma del giornalista Gianfranco Ricci.
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CHI ERA IL GIORNALISTA TOSCANO GIULIANO BONACCI, CADUTO NELLA GRANDE GUERRA E MEDAGLIA D’ARGENTO AL VALOR MILITARE ALLA MEMORIA
Il fiorentino Giuliano Bonacci, inviato di punta e corrispondente in zone di guerra del "CORRIERE DELLA SERA", redattore della "MINERVA" e del "GIORNALE d'ITALIA", ex redattore della "TRIBUNA", già inviato di guerra in Libia per "IL SECOLO" di Milano e Direttore del "FUORI I BARBARI" (pubblicato alla vigilia della dichiarazione di guerra con l'Austria), era Socio dell'Associazione Stampa Periodica Italiana di Roma. Giornalista pubblicista e avvocato, compì viaggi in Italia ed all'estero, dando sempre prova di invidiabili qualità di scrittore versatile e incisivo e di osservatore sagace. Apparteneva ad una nota famiglia di Jesi.
Era nato a FIRENZE il 9/12/1872, figlio di Teodorico e di Rosa Mancini.
Suo padre (Jesi 1838-Roma 1905) era all’epoca un noto giureconsulto ed autorevole uomo politico: fu ministro di Grazia e Giustizia nel I Governo Giolitti e nel V Governo Starrabba di Rudinì, poi Vicepresidente della Camera e senatore del Regno dal 1904, deputato per 8 legislature - a partire dalla 13^-, esponente della Sinistra costituzionale, Segretario generale del Ministero dell'Interno.
Come giornalista Giuliano Bonacci aveva viaggiato lungamente facendo servizio di corrispondenza nel Benadir, in Eritrea, in Somalia, poi in Libia, a Tunisi, da Pietrogrado in Russia e in Romania e infine in zona di guerra. Si occupava con grande amore di questioni coloniali ed era stato volontario garibaldino quando nel 1897 scoppiò la guerra greco-turca: partì con Ricciotti Garibaldi e si battè a Domokos nel battaglione del colonnello Mereu. Fu anche inviato di guerra nel primo conflitto dell’Italia unita, in Libia nel 1911.
Si conoscono i suoi articoli pubblicati sul "CORRIERE DELLA SERA" del 14/7/1908, 13/8/1908, 3/10/1911, 10/11/1911, 11/11/1911, 13/11/1911, 16/11/1911, 22/12/1911, 24/12/1911, 31/12/1911, 5/1/1912, 22/1/1912, 26/1/1912, 17/1/1914 e 28/1/1914.
Scrisse vari libri: “La nostra politica coloniale/dal protocollo di Londra (dicembre 1906) ai fatti di Lugh (dicembre 1907)”, 1908, pagg. 65; “Gli ultimi giorni di Bengasi turca: L'agonia del Mutessariflik della Cirenaica” (contiene anche: “La fase acuta della questione marocchina e gli interessi italiani”), 1912, pagg. 210; “Guerra italo-turca 1911-1912 – Diari e memorie”; “Gli italiani sul Gebel”, 1913, pagg. 30, estratto da “Rassegna contemporanea”, anno 6., serie 2, fasc. 11; "Il califfato, l'Islàm e la Libia”, 1913, pagg. 45; “Da Tolmetta a Marsa Susa e da Derna a Sidi Garbaa: discorso letto in Roma all'Associazione della stampa il 30 Maggio 1913”, 1913, pagg. 45 e “La seconda fase della grande guerra: nel Medio Oriente attraverso il ponte balcanico”, 1916, pagg. 45.
Partì volontario per la prima Guerra Mondiale combattendo come CAPITANO del 237° REGGIMENTO FANTERIA Brigata GROSSETO (in precedenza era stato TENENTE del 234° REGGIMENTO FANTERIA Brigata LARIO).
Morì a 45 anni il 16/7/1917 nel Vallone di DOBERDO' ai piedi dell'HERMADA, colpito da una scheggia di granata austriaca.
Dettero notizia della sua morte il Corriere della Sera del 19/7/1917 a pag. 3 e del 21/7/1917 a pag. 4, l'Adriatico del 21/7/1917 a pag. 1, il Corriere di Livorno del 22/7/1917 a pag. 2, L'Ora di Palermo del 22-23/7/1917 a pag. 1 e il Bollettino della Federazione della Stampa del 25/7/1917. Il suo nome compare nell'Albo d'Oro dei Caduti, cliccare su: http://www.cadutigrandeguerra.it/Albo_Oro/Archivi/23/126.jpg.
La sua tomba si trova nel Vallone di Doberdò di fianco a “base Ferleti” (oggi frazione del Comune di Doberdò del Lago, in provincia di Gorizia).
Nel 1921 gli venne conferita la MEDAGLIA D'ARGENTO AL VALOR MILITARE ALLA MEMORIA, in commutazione della medaglia di bronzo alla memoria, con la seguente motivazione: "Pubblicista valente ed assai noto, e volontario di guerra, non più giovanissimo, volle sempre avere comando di truppe combattenti: carattere saldo, mente acuta e colta, modestissimo come pochi, con l'esempio e con la parola, fu sempre e dovunque animatore efficacissimo dei suoi soldati, che con ferma energia ed anima calda, seppe guidare e mantenere di fronte al nemico. Tornato dalla licenza, per aver saputo il suo reggimento in azione, sotto intensissimo fuoco d'artiglieria e bombarde, sereno, cosciente, con sprezzo del pericolo, con intuito felice ed efficace risultato, compì ardita azione dimostrativa, per alleggerire altrui la pressione del nemico. Cadde con parecchi dei suoi, colpito da granata, sulla dolina che da lui prese nome. Lagazuoi-Alto Cordevole-Carso 1915 maggio-giugno 1917".
L'intero Consiglio e molti Soci dell'Associazione della Stampa Periodica Italiana lo ricordarono a Roma all'Altare della Patria il 2 novembre 1918 assieme agli altri appartenenti all'Associazione Caduti in guerra (Mario Fiorini, Roberto Taverniti, Giuseppe Leoncelli - rectius Leonelli, ndr -, Luigi De Stasi, Renato Giovannetti e Vincenzo Picardi).
L'Associazione deliberò di affiggere subito nelle sale sociali i loro nomi insieme a quelli di coloro che combattendo meritarono la medaglia al valore" (Vedere la nota (1) in fondo a pag. 206 del XVIII capitolo "Le Associazioni della Stampa e l'opera loro" del libro " Giornalismo eroico" di Arturo Lancellotti, Edizioni Fiamma, Roma, 1924 di 264 pp. Con prefazione di Giovanni Biadene, Segretario Generale della Federazione Giornalistica Italiana).
Il suo nome figura inoltre sulla lapide inaugurata da Benito Mussolini al Circolo della Stampa di Roma il 24 maggio 1934 e casualmente ritrovata in una cantina dell'INPGI.
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CHI ERA IL GIORNALISTA CAMPANO ARTURO CARUSO, CADUTO NELLA GRANDE GUERRA E MEDAGLIA D’ARGENTO AL VALOR MILITARE ALLA MEMORIA
Ex Direttore de "L'UNIONE" di Macerata e redattore de "L'ORDINE" di Ancona, oltre che giornalista il campano Arturo Caruso era anche avvocato e cavaliere della Corona d'Italia. Di laboriosità esemplare era dotato di una specifica competenza in tema di bonifiche.
Era nato ad ACERRA (NAPOLI) il 22/9/1883. Figlio di Filippo e Concetta, si era sposato con la cesenate Tina (Concetta per l'anagrafe) Vicini da cui aveva avuto 2 maschietti ancora in tenera età.
Era Segretario al Ministero dei Lavori Pubblici e per molti anni fu inviato in missione a Venezia presso il Magistrato delle Acque. Aveva quindi vissuto a Roma, nelle Marche e a lungo anche a Venezia. Nel 1915 scrisse "Le opere di bonifica di 2^ categoria nella vigente legislazione".
Combattè nella Grande Guerra come TENENTE del 122° REGGIMENTO FANTERIA Brigata MACERATA.
Morì eroicamente a DOBERDO’ - POLAZZO sul Carso il 26/7/1915. Nonostante fosse stato già colpito poco prima al braccio volle infatti lanciarsi ugualmente all'attacco di una trincea nemica alla testa del suo plotone. Ma la mitraglia nemica gli squarciò il petto. Morì gridando "Viva l'Italia!"
Dettero notizia della sua morte "Il Cittadino" di Macerata del 7/8/1915, "Il Veneto" e "L'Adriatico" dell'8/8/1915, "La Stampa" del 12/8/1915 a pag. 4 e del 30/8/1915 a pag. 4, nonché un giornale di Cesena con la sua foto.
Fu sepolto nel SACRARIO MILITARE DI DOBERDO’ / REDIPUGLIA tomba n. 7618
Nel 1922 gli venne conferita la MEDAGLIA D'ARGENTO A VALOR MILITARE ALLA MEMORIA con la seguente motivazione: "In aspro e cruento combattimento, alla testa del suo plotone, con ammirevole sprezzo del pericolo, riuscendo di valoroso incitamento ai suoi soldati, si slanciava all'attacco di difficile posizione nemica, tenacemente contesa. Colpito in petto e in fronte cadeva da prode sul campo. Polazzo, 26 luglio 1915".
Il suo nome compare a pag. 137 della Rivista mensile della Città di Venezia n. 5 maggio 1925, contenente i nomi dei cittadini veneziani Caduti nella Grande Guerra. Fascicolo con copertina da pag. 123 a pag. 224, nonché nell'Albo d'Oro dei Caduti, cliccare su:http://www.cadutigrandeguerra.it/Albo_Oro/Archivi/5/85.jpg
Il suo nome figura inoltre sulla lapide inaugurata da Benito Mussolini al Circolo della Stampa di Roma il 24 maggio 1934 e casualmente ritrovata in una cantina dell'INPGI.
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