L’Ammiraglio Haus aveva da tempo progettato un attacco immediato
all’Italia. Nel rapporto relativo all’attuazione di questo piano ne descrive i
termini concettuali e quindi strategici:
“Nell’intento di danneggiare di sorpresa e nel tempo più ristretto
dopo l’apertura delle ostilità il nuovo avversario e di applicare un sensibile
colpo alla sua forza morale, ho progettato una azine contro i punti militari
della costa orientale italiana coll’impiego di tutte le forze disponibili”[1]
Si osserva subito che il Comando Austriaco è stato più efficiente del
nostro. Aveva già le idee chiare su come affrontare la guerra. Mentre era stata
scelta la difensiva per il fronte terrestre, in mare si era scelta la massima
aggressività. Anche se non emerge dal rapporto di Haus, l’azione navale contro
le coste marchigiane e romagnole aveva come scopo ultimo non solo quello di
fiaccare il morale della popolazione, ma di provocare con una azione violenta
la rivolta della popolazione stessa. Erano noti a tutti gli eventi del giugno
1914, quando le due regioni si ribellarono al governo centrale e per settimane
furono in mano ai rivoluzionari di sinistra (repubblicani e socialisti); si
sperava a Vienna che questo attacco immediato e violento, sostenuto all’interno
anche da una rete di informatori e spie, avrebbero dato il via a reazioni
contro il Governo ove i neutralisti, contrari alla guerra, erano visti come la
massa di manovra insieme ai reali oppositori politici. Questa azione, che
metaforicamente si può descrivere come “il fiammifero gettato nel bidone di benzina”,
avrebbe dovuto provocare quell’incendio, quella rivoluzione che per le regioni
interessate, avrebbe paralizzato la mobilitazione Italiana e messo in gravissima
crisi il Governo. In pratica era l’ultimo tentativo di tenere fuori l’Italia
dalla guerra, che sarebbe stata onerosa e forse decisiva per la sua
sopravvivenza per la duplice monarchia. Il “bidone di benzina” era visto a
Vienna come i neutralisti, i giolittiani, la frattura tra Roma ed il Vaticano,
la questione romana, il “parecchio” che politicamente era stato rifiutato, e,
in ultima considerazione, la concezione che gli Italiani non si sarebbero
sacrificati più di tanto in una guerra, considerati di scarse virtù guerriere e
civiche. Questo “bidone di benzina” doveva incendiarsi il primo giorno di guerra, e il fiammifero
doveva essere l’attacco di tutta la flotta conto “i punti militari della
costa orientale italiana” [2] Più avanti si faranno ulteriori ed altre
considerazioni sulle origini e motivazioni del piano austriaco; qui occorre
rilevare che le navi austriache attaccarono punti “indifesi” della costa
orientale italiana. Peraltro per tutta la durata della guerra mai nave battente
austriaca osò attaccare “punti militari” difesi. Tutte le località bombardate
erano notoriamente indifese; a cominciare da Ancona di cui era stato comunicato
per via diplomatica il disarmo al Governo Austriaco, così come Senigallia; Potenza
Picena, Rimini, Fano e Pesaro. L’unico punto difeso era Porto Corsini, ma, come
afferma il contrammiraglio Fausto Leva[3], da informazioni successive si ebbe la
conferma che gli Austriaci ignoravano che esistessero a Porto Corsini delle
batterie, le quali erano state installate pochi giorni prima della apertura
delle ostilità.
La relazione dell’ammiraglio Haus prosegue indicando scopo e compiti
delle unità impiegate:
“A tale scopo, come già
informai col mio telegramma Ris.N.221/=.P. del 22 corr. Mese la linea Gargano-Pelagosa dall’Helgoland,
Csepel, Tatra, Lika, Orien e quella Pelagosa-Lagosta dall’Adimiral Spaun,
Wildfan, Streiter, Uskohe e Ulan per escludere una sorpresa durante le nostre
operazioni, divise in azioni separate. Inoltre con voli di ricognizione sui
punti principali della costa italiana furono verificate le notizie a me note
sulla dislocazione delle forze navali nemiche. Feci accertare specialmente
l’esistenza o meno di sbarramenti nei pressi di Ancona prima da un gruppo di
torpediniere ed un’altra volta da n sommergibile; le esplorazioni ebbero sempre
esito negativo.”[4]
L’ammiraglio Haus, a scopo difensivo, aveva dislocato due sommergibili
a Trieste per contrastare un eventuale attacco italiano contro quel porto, ed
un altro sommergibile nelle acque di Lissa con la motivazione “…che per
l’Italia ha una certa importanza”[5] un terzo sommergibile nelle acque
montenegrine per operazioni contro quella costa.
Haus era convinto di ottenere il successo sperato. Scrive nella
relazione :
“L’azione premeditata contro
la costa italiana prometteva successo purchè essa si fosse svolta
immediatamente dopo l’inizio delle ostilità, per cui, nell’intelligenza delle
probabilità dello scoppio della guerra, già fin dal 23 c.m. tenni pronta la
flotta a partire da Pola all’imbrunire. Le disposizioni emanate tendevano a far
entrare in vigore ad un tempo, all’alba, tutte le azioni isolate contro vari
punti della costa”[6]
[1] Leva F., La
Marina Italiana nella Grande Guerra. L’intervento dell’Italia a fianco
dell’Intesa e la lotta in Adriatico. Dal 24 maggio 1915 al salvataggio
dell’esercito Serbo., Firenze, Vallecchi Editore per conto dell’Ufficio
Storico della Regia Marina, 1936. Pag. 8
[2] Per ulteriori
considerazioni su questo aspetto vds. Coltrinari M, Il significato del bombardamento di Ancona il 24 maggio 1915, in
Lucifero, Anno CXLV n. 1 aprile 2015
[3] Leva F., La
Marina Italiana nella Grande Guerra. L’intervento dell’Italia a fianco
dell’Intesa e la lotta in Adriatico. Dal 24 maggio 1915 al salvataggio
dell’esercito Serbo.,cit., pag.9
[4] Ibidem
[5] Ibidem
[6] Ibidem
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