Quando uno Stato rinuncia alle sue Forze Armate e si affida alla protezione di altri Stati o ad Alleanze, è destinato a subire le decisioni altrui. Si presentano alcune note sullo Stato Pontificio nel 1860 a indicazione e studio.
La Riflessione parte dalla constazione che oggi l'Italia è nella Nato, che la Superpotenza USA ha deciso di trasferire il centro dei suoi interessi in Asia.
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1. Una serie
di errori imperdonabili
La difesa di Ancona, seconda piazzaforte dello Stato e
la città più viva ed attiva, dopo Roma, di tutte le provincie pontificie, fu
l’ultimo atto della volontà di arrestare il progressivo sgretolamento della
integrità territoriale iniziata l’anno precedente con la perdita di Bologna e
delle Legazioni.
Ancona fu definitivamente persa, perché la Diplomazia,
in particolare, e il Governo Pontificio, in generale, non compresero e non
penetrarono nella loro esatta realtà e consistenza l’atteggiamento e gli interessi
delle Grandi Potenze, in particolare quelli dell’Austria e, soprattutto, della
Francia.
Dopo gli eventi del 1859[1],
nonostante l’armistizio di Villafranca, non vi poteva essere intesa ed azione
comune in Italia delle due Potenze Cattoliche, la Francia e l’Austria. E senza
l’accordo diretto e fattivo tra Parigi e Vienna, tutto era possibile nella
penisola, in quanto l’una ostacolava l’altra a favore di quello che a Roma
veniva chiamato, “tout court”, “la rivoluzione”
.
In tutti gli avvenimenti del 1860, il governo Pontificio
credette che esistesse una intesa tra Francia ed Austria, e su questa base si
contrastasse la “rivoluzione” a favore dello Stato Pontificio, a difesa del
Santo Padre e a salvaguardia del suo potere temporale, in nome della
universalità della religione di Cristo. E questo fu il primo errore commesso.
Nel discorso della Corona del Gennaio 1860, la Regina
Vittoria, sottolineando l’atteggiamento inglese, ebbe a sottolineare “….che appoggerebbe il principio di libertà
negli Italiani di governarsi da loro” a cui era seguito, a metà dell’anno, un altro
significativo intervento, in cui si precisava che “…se niuna potenza straniera interverrà in Italia, la tranquillità degli
altri Stati non correrà alcun pericolo di sorta”[2]
Parole dirette soprattutto a Vienna, la quale, a più
riprese, aveva dichiarato a Parigi e a Londra, che non sarebbe intervenuta in
Italia se le sue frontiere non fossero state minacciate. Era questa politica la
risultante della situazione della Monarchia danubiana, che non aveva più forze
per essere attiva sui suoi settori frontalieri, il nord verso la Boemia e, in
generale, la Germania, l’est verso l’Ungheria, a sud-est, verso i Balcani e
verso il sud, cioè l’Italia.[3]
Questa politica difensiva non voleva dire che, in eventuale situazione
favorevole determinatesi in Italia a fronte di smacchi o sconfitte da parte
delle forze del Regno di Sardegna, non si cogliesse l’occasione per intervenire
e ripristinare la situazione riconquistando i territori ceduti e rimettendo sul
trono i regnanti filo austriaci. La possibilità di tentare colpi di mano
reazionari era suffragata dalla ferma convinzione che si aveva a Vienna, che,
se attuati, nessuna potenza si sarebbe mossa a difesa del Regno di Sardegna.
E questo fu il secondo errore commesso dal Governo di
Roma. Sperare in un disastro delle forze nemiche, a fronte del quale si poteva
avere la possibilità che l’Austria cogliesse l’opportunità di un colpo di mano
reazionario significava veramente giocare d’azzardo, e gestire la situazione
con fughe in avanti, basate su speranze ed illusioni.[4]
La Francia non poteva dimenticare i morti di Solferino
e tutti i sacrifici fatti per estendere la propria influenza in Italia. Già
l’intervento del 1849 a sostegno del ripristino del potere temporale dei Papi,
dichiarato cessato dalla Repubblica Romana, di Armellini, Mazzini e Saffi, era
costato troppo in relazione ai risultati ottenuti.
In pratica l’Austria, con un minimo sforzo, era riuscita a mantenere la sua influenza su
tutta l’Italia centro-settentrionale. Avergli strappato, nel 1859, la Lombardia
e sottratto le Romagne alla sua influenza era già un gran passo. Ora occorreva
gestire la situazione che si era determinata in modo che tutto questo si
consolidasse. Ma, contemporaneamente, non si poteva vedere di cattivo occhio,
il sorgere di eventi che limitassero
ulteriormente l’influenza austriaca in Italia.
Questo fu il terzo errore commesso dal Governo di
Roma. La Francia non avrebbe preso nessuna iniziativa se azioni
“rivoluzionarie” avessero sottratto ulteriori provincie allo Stato Pontificio.
L’unica condizione che poneva era quella che al Papa non si doveva sottrarre il
cosiddetto “Patrimonio di San Pietro”, ovvero l’odierno Lazio, territorio
ritenuto necessario per esercitare liberamente il proprio potere di Capo della
Chiesa Cattolica.
Al di là degli equivoci che si manifesteranno sul
piano sia militare che diplomatico, e delle male interpretazioni di dispacci
provenienti da Parigi e dall’Imperatore, questo di non aver capito che la
Francia non si sarebbe opposta ad azioni che limitassero il predominio
austriaco in Italia, fu veramente grave da parte del Governo di Roma.
[1] Il
Regno di Sardegna, con la politica del suo primo Ministro, Cavour, che nel
1856, al Congresso di Parigi a cui aveva il diritto di presenziare a pieno
titolo in quanto aveva preso parte con un corpo di spedizione alla guerra di
Crimea combattuta, da una parte da Francia, Impero Ottomano ed Inghilterra, e
dall’altra la Russia, Congresso in cui riuscì a porre alla attenzione del
concerto europeo il problema della unità d’Italia, nonostante la forte
opposizione di Vienna. Con abilità sia politica che diplomatica nella primavera
del 1859, in virtù di un trattato difensivo, Cavour riesce a provocare
l’Austria costringendola a dichiarare guerra; ciò provoca l’intervento della
Francia di Napoleone III, decisa, dopo gli eventi del 1849, a limitare
l’influenza austriaca in Italia estendendone la propria. Scesi nella pianura lombarda i Francesi, la guerra si sviluppa attraverso
battaglie, la prima a Magenta, dopo la quale viene liberata Milano, e poi
soprattutto Solforino e San Martino, dove gli Austriaci, sconfitti, sono
costretti ritirarsi nel Veneto. In questi frangenti cadono gli Stati
filoaustriaci dell’Italia centrosettentrionale in virtù di moti popolari di
orientamento nazionale che danno vita ad una Lega dell’Italia Centrale, ma con
l’intento di unirsi il prima possibile al Regno di Sardegna. Lo Stato
Pontificio, in questi frangenti, perde le cosiddette Legazioni, le provincie
dell’Emilia e della Romagna. Napoleone III, dopo Solferino, pressato anche dal
forte partito Cattolico e soprattutto dalle elevate perdite sofferte sul campo
di battaglia e da altri motivi contingenti, improvvisamente e senza consultare né
Cavour né il Re di Sardegna, chiede all’Imperatore d’Austria un armistizio, che
fu subito accettato dagli Austriaci. Il Cavour si dimette, ma nelle successive
trattative diplomatiche scattano i patti già conclusi. In cambio di Nizza e
Savoia, la Francia, che l’aveva precedentemente avuta dall’Austria, cede la
Lombardia al Regno di Sardegna, mentre la Lega Centrale si orienta sempre più
verso Torino. Un Congresso per la pace è tenuto
nel 1859 a Zurigo per regolare ogni questione, ma tutte le parti coinvolte
in questi avvenimenti ritengono la situazione non soddisfacente e si preparano
a nuove eventi, convinti di cambiare la situazione acquisitasi per favorire i
loro interessi.
[2]
Genova di Revel A., Da Ancona a Napoli.
Miei Ricordi., Milano, Fratelli Dumolard, 1892, pag. 24
[3]
Questa debolezza si paleserà nel 1866 quanto la Germania, avviato il suo
processo di unificazione, attaccherà l’Austria e la sconfiggerà a Sedowa,
costringendola tra, l’altro, a rinunciare al Veneto a favore dell’Italia;
l’anno successivo l’Ungheria, per rimanere nell’Impero, chiederà ed otterrà di
essere un Regno con un ampia autonomia politico-amministrativa. L’Impero sarà
non più d’Austria, ma d’Austria-Ungheria.
[4]
Per fronteggiare questa situazione il Comando Sardo aveva predisposto un piano
di difesa estremamente robusto. Senza dare nell’occhio aveva schierato il I Corpo d’Armata (al
comando del De Sonnaz) ed il III Corpo d’Armata (Durando) a difesa della linea
del Po da Ferrara a Casalmaggiore, ed il II Corpo d’Armata (Lamarmora) a difesa
di quella del Mincio dal Po al Lago di Garda. Inoltre erano stati organizzati
numerosi battaglioni mobili di Guardia Nazionale, i quali erano orientati a
presidiare e mantenere l’ordine pubblico. In totale a metà del 1860 oltre
150.000 soldati erano schierati per fronteggiare l’Austria. Inoltre, tutto il
piano di invasione delle Marche e dell’Umbria era incardinato su questo piano
generale di difesa. Nel caso che l’Austria, dopo l’inizio dell’invasione avesse
mosso guerra, il IV Corpo d’Armata (Cialdini) che agiva lungo la litoranea
adriatica, ed era il più consistente, avrebbe invertito la marcia e si sarebbe
attestato a riserva e sostegno delle forze schierare da Ferrara a
Casalmaggiore, mentre il V Corpo d’Armata (Morozzo della Rocca), avrebbe, si
conquistato l’Umbria, ma avrebbe, come poi fece, anche passato gli Appennini e
posto l’assedio ad Ancona. Per questi aspetti vds. Coltrinari M., Il combattimento di Loreto, detto di Castelfidardo,
Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2009., in particolare la parte introduttiva.
Vds anche dello stesso autore, L’investimento
e la Presa di Ancona, Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2010. Con l’avvertenza
indicata nella nota 1 della Premessa.