. La fuga delle autorità della Repubblica Sociale
Italiana.
La caduta del fronte di Cassino e la
conquista di Roma, il 4 giugno 1944, mettono in movimento tutto il fronte
italiano. Gli Alleati, che la popolazione comune chiama “I Liberatori”,
risalgono, seppure molto lentamente la penisola. Il 6 giugno, con lo sbarco in
Normandia, si apre il tanto atteso secondo fronte in Francia[1]: per
la Germania le prospettive di vincere la guerra incomincia anche palesemente a
farsi molto scarse. In Osimo la situazione generale comincia a farsi
preoccupante: prima la guerra la si era seguita solo sui giornali ed alla
radio, ora ci sono concrete possibilità che possa arrivare direttamente. Le
varie ristrettezze della vita quotidiana vengono viste, oramai, come cose sopportabili:
quello che preoccupa è l’incerto futuro. Il primo dato allarmate è la fuga di
tutte le autorità della Repubblica Sociale Italiana, il “nuovo fascio”
repubblichino si mette in salvo, abbandonando la provincia in mano tedesche.[2]
L’autorità massima italiana è Don Iginio Ciavattini, un sacerdote, che ha dalla
sua solo l’autorità morale. Tale è stato il degrado morale della Repubblica
Sociale Italiana che, all’avvicinarsi del pericolo, i suoi esponenti non hanno
pensato ad altro che a mettersi in salvo, abbandonando la popolazione alla
mercé dell’occupatore tedesco, loro alleato. Altro che difensori della
italianità, morale e materiale, come si vuole oggi far passare la Repubblica Sociale
ed i loro esponenti nei confronti dell’occupatore tedesco, come si dirà più
avanti.
E proprio il comportamento tedesco è
uno dei tratti salienti del fatto che la guerra ormai è arrivata: ad Osimo
prima vengono fatti saltar in aria i Molini, poi si inizia con le filande,
mentre tutto quello che ha un valore militare, viene minato, per distruggerlo
al momento della ritirata. Le perquisizioni delle case alla ricerca di elementi
ostili, non sono altro che il pretesto per delle razzie sistematiche, a cui si
aggiungono le prime esecuzioni di inermi cittadini, uccisi per futili motivi, a
corredo di rappresaglie che già dal 1941 l’intera Europa sotto dominio tedesco
conosce.
Il Corpo di Liberazione Italiano era
attestato nella prima decade di giugno al di qua del fiume Pescara, in Abruzzo.
Venivano raccolte le notizie sul nemico tedesco che si sarebbe incontrato nel
settore Adriatico. Si trattava della 278° Divisione di fanteria composta dal
992°, 993° e 994° reggimento di
fanteria, dal 278 battaglione da ricognizione e di artiglierie in numero che il
Comando del Corpo Italiano di Liberazione non sapeva quantitizzare più i
servizi divisionali. Disertori e prigionieri concordavano tutti che i Tedeschi erano in fase generale di
ripiegamento generale verso nord. Giungono le prime notizie di “una nuova linea lontana”, organizzata tra
Pisa e Rimini, che sembra di chiami “Linea
dei Goti”. Tutta la situazione era in movimento nell’Italia centrale.
[1] Per
primo fronte si intendeva il fronte Russo-tedesco ad Oriente. Per tutto il
1943-1944 Stalin chiese con insistenza l’apertura del “Secondo Fronte”, per
evidenti ragioni.
[2] Il
fenomeno non è solo nella provincia di Ancona, ma anche in quella di Pesaro.
Vale la pena di vedere come questa fuga si sia attuata attraverso i documenti
di fonte fascista, dai rapporti del colonnello della G.N.R. Marino Fattori, il
quale scrive: “purtroppo si sono
lamentate numerose defezioni di legionari:gli ex carabinieri,
ufficiali,sottufficiali e truppe, hanno, tranne singole eccezioni, defezionato
in massa. Pertanto si deve ritenere per certo che essi siano rimasti sino ad
ora in servizio unicamente per ragioni di contingente opportunismo economico..”
Per un più ampio approfondimento cfr. Bertolo G., L’ora della Liberazione, in Pesaro contro il fascismo, Urbino,
Argalia, 1972, pagg. 171 e segg.
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