Zara,
Zara la santa, Zara l’invitta, questo è un messaggio d’Italia avvolto nel tricolore.
Eccoti
la buona novella due aspetti, eccoti la parola invocata dalla tua passione.
E’
la prima volta che su te volano ali italiane, ali armate in guerra, ali della
nostra guerra, partite dall’altra sponda, venute a te di sopra l’Adriatico, di
sopra le tue isole ed i tuoi canali, per portati il conforto della Patria, per
dirti che oggi non sei più sola, che più non sei abbandonata, che come Trento e
Trieste sei tutta viva nel cuore nuovo d’Italia.
Siamo
apparsi nel tuo cielo per annunziarti che il giorno primo di dicembre, in Roma,
nelle solenne assemblea nazionale, fu dichiarato il proposito fermo di riscattare
“tutte le genti di nostra razza da da lunghi anni sostengono una lotta disuguale
contro la subdola e pervicare opera di opposizione e di oppressione proseguita
dal Governo austriaco”.
Chi più di te fu coraggiosa e
costante fidente e disperata, nella lotta d’ogni giorno? Noi lo sappiamo, Noi
ce né ricordiamo. Il popolo di Zara, solo contro tutti, negletto dalla Madre e
senza lamento contro la madre, ha salvato il comune italiano, ha preservato la
figura della nostra più antica dignità. Nella Dalmazia latina da schiatte
barbariche iniquamente invasa e usurpata col favore imperiale, il popolo di
Zara ha salvato e confermato il glorioso comune italiano, ha mantenuto nel suo
pugno il fermento della nostra più antica libertà.
Non v’è per te lode assai alta,
non v’è corona assai chiara per te, per il premio dei tuoi fatti. Queste parole
che ti gettiamo dovrebbero essere un canto, perche solo il canto è degno di
avvicinarsi alla tua virtù ed al tuo martirio. Nel giorno dei morti, in quella
grande Acquleia piena di Roma e di Cristo, donde venne a te traslatato il corpo
di Crisogono tuo patrono antichissimo, taluno taluno dichiarò ai soldati in
ginocchio i versetti di un nuovo salmo. Diceva nel salmo la voce dell’Italia
potente:
“Mie
tutte le città del mio linguaggio, tutte le rive delle mie vestigia.
Mando segni e possenti in mezzo ad esse.
Ma
in Zara è la forza del mio cuore; su la Porta Marina sta la mia fede,
ed
in Sant’Annunziata onde il mio voto
Grida,
o Porta!
Ruggi,
o Città coi tuoi Leoni!
A te
darò la stella mattutina
A te
verrò, e di sotto alla tavola del tuo altare trarrò i tuoi stendardi
Li
spiegherò nel vento di levante.
O mare, non mi rendere i miei morti, né le mie
navi.
Rendimi
la gloria.
E
allora invita fu dall’alto una voce senza carne che diceva:
-
Beati i morti –
Fu
intesa una voce annunziare:
-
Beati quelli che per te morranno-
I soldati piangevano,
inginocchiati tra le fresche tombe più venerande delle arche romane. E Trieste
era prossima, così che ci pareva di sentire il suo soffio doloroso passare sul
Golfo e alitare nel nostro sepolcreto di zolle. Ma in quel punto tu, sorella
Leonina, tu eri anche più presso, tu che non udivi il tuono dei nostri morti,
tu che non vedevi nella notte le nostre lunghe barre di fuoco spinte sempre più
avanti, né forse indovinavi di sotto alle menzogne croate l’imposto della
nostra conquista.
Ora sai che per te si combatte
e per te si vince. L’Isonzo è ridiventato un bel fiume d’Italia. Gorizia è già
perduta per nemico. Il Carso è per nemico u infermo senza scampo. Il tuo popolo
vecchio “santa intrada”chiamò l’ingresso dei magistrati veneziani. Ora attendi
con certezza una entrata più santa: quella del nostro Re, vero tra i re soldato
e tra i soldati primissimo. Le tue donne possono cucire in segreto il
tricolore, come fecero alla vigilia della giornata di Lissa. Altra forza, altra
volontà, altro destino. Quel tricolore ondeggiare al vento della primavera
ventura, insieme con gli stendardi di San Marco dissepolti.
Noi veniamo da Venezia. Siamo
partiti all’alba da quella Venezia che ti assomigli. Mentre a volo noi
respiriamo la tua anima stessa che inarcata fu sopra le tue mura il tuo cielo
veneziano, mentre scendiamo verso di te per meglio guardarti, per meglio
riconoscere nel tuo viso il viso materno, i nostri compagni portano ghirlande
votive alla tua immagine di pietra scolpita nella base di Santa Maria del
Giglio, dove dorme quel Duodo che comandò le sei galeazze vittoriose accanto
alle tue quattordici nelle acque di Lepanto. Ed altri nostri compagni nell’ora
medesima sospendono una corona di bronzo al sepolcro di un tuo figlio morto
d’ambascia per i tuoi dolori, alla tomba romana di Arturo Corautti “ Vate e
martire della gente dalmatica imperterrito incorrotto” promettendoti “la tua
traslazione prossima dell’esule corpo alla spiaggia natale restituita nella
grazia di Roma”
Se quel corpo che tanto soffrì
ti fosse conservato per virtù di miracolo, tu che riconosceresti le cicatrici
lasciategli dalle sciabole austriache che lo tagliarono all’improvviso in un
agguato notturno, sette contro uno, per punirlo di aver iposto il marchio
potente del suo dispregio sul ceffo dei vigliacchi.
O Zara, che sei tutt’ora quali
lo fosti per Antonio Barbaro scolpita nel basso rilievo di Santa Maria del
Giglio, simile ad un ala con la sua giuntura forte, simile ad una lunga ala di
guerra come la nostra, ad un ala d’Italia sul Mare, o Zara di Nicola Trigari,
Zara di Luigi Ziliotto, rocca di fede, per gli stendardi sepolti nel tuo Duomo
consacrato sotto il vocabolo della Resurrezione, per l’arco romano che abbozza
la tua Porta Marina, per le tre absidi del tuo San Crisogono che sembra da angeli
toscani alla tua Riva Vecchia trasportato di Lucchesia, per le vere dei tuoi
cinque pozzi dove l’ombra di Alvise Grimani ancor beve, per l’arca regale del
tuo San Simeone battuta in argento dal maestro lombardo, per tutta la tua
grazia veneta, per tutta la tua bellezza italiana, credi nella promessa, credi
nella gioia della seconda primavera quando fiorirà l’acanto corintio della tua
colonna latina ed i tuoi Leoni di sopra le tue porte fremeranno alla “santa
entrata”
Vivere vorrebbe fino a quel
giorno ed esser degno di cantare la tua coronazione che oggi dall’alto ha
sentito battere più forte del rombo il tuo gran cuore d’eroina.
Dal cielo della Patria,
dicembre 1915
Gabriele d’Annunzio.
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