LE MARCHE E LA PRIMA GUERRA MONDIALE. 1915 vol. II
I primi sei mesi di guerra. Dall'euforia interventista all realtà della trincea
Fanti della brigata "Marche" |
Bozza delle note conclusive
L’entrata in guerra nel maggio del 1915 fu una
decisione avventata. L’Italia, che nel 1914, era stata estromessa dalle
decisioni strategiche dai suoi alleati della Triplice Alleanza, Germania ed
Austria-Ungheria, si trovò senza alleati e senza amici. Si dovette inventare
una politica estera dalle fondamenta, essendo palesemente fallita quella triplicista
iniziata nel 1882. Per tutto il 1914 vi
fu un grave momento di incertezza ed indecisione; si barcollava nel buio, mentre
nel Paese la situazione sociale ed economica diventava sempre più difficile
come i fatti della Settimana Rossa nelle Marche e enlle Romagne stavano ad
indicare.
Una minoranza, capeggiata da Salandra e Sonnino, che
aveva contro Giolitti ed i centristi/trasformisti, il Vaticano e tutti i
cattolici, i socialisti ed i sindacalisti antimilitaristi e rivoluzionari, si
incamminarono sulla strada dell’avvicinamento e dell’intesa con Gran Bretagna e
Francia, che voleva significare l’entrata in guerra. La primavera el 1915 vide
lo scontro di queste due opposte fazioni: gli interventisti e i neutralisti che
si risolse quasi a furore di popolo, con le piazze mobilitate e con la
convizione che la guerra sarebbe stata breve e vittoriosa.
L’Esercito non era pronto; sarebbe stato necessario
un lasso di tempo più lungo, per una entrata efficace dell’Italia in guerra.
Nella realtà si ottenne il solo scopo strategico di richiamare forze
austroungariche dal fronte orientale, nulla di più. Sia l’iniziale sbalzo
offensivo, sia le quattro battaglie dell’Isonzo combattute nel 1915 non diedero
i risultati sperati. L’incertezza dei Comandi e la scarsa preparazione
favorirono l’Austria-Ungheria, nella sua scelta strategica di porsi sulla
difensiva.
Interventisti e volontari ebbero dubbi sulle scelte fatte una volta presa coscienza ella realtà della guerra.
Nella foto i volontari di guerra tra cui, forse, Filippo Tommaso Marinetti, in una foto dell'Album di Guerra della Famiglia Bonacini,
Di tutto questo ne è riverbero oggettivo le vicende
delle Brigate che si sono prese in considerazione, a simbolo di tutta la
situazione operativa. La Brigata “Marche”, la Brigata “Ancona”, la Brigata “Alpi”
sul fronte dolomitico, la Brigata” Macerata”, la brigata ”Messina” e la Brigata
“Acqui” sul fronte dell’Isonzo lanciano ripetuti attacchi alle difese
avversarie nell’intendo di raggiungere quegli obiettivi strategici che il Piano
Cadorna aveva fissato come propedeutici per lo sbocco nelle pianure d’oltralpe
per raggiungere Trieste, Lubiana e la Carinzia,
ma sono tutte respinte con gravi perdite.
E’ la fine delle illusioni. Il “Maggio radioso”
delle iconografia interventista evapora nella realtà delle trincee; gli
interventisti, ed in particolare i futuristi e in generale i volontari di
guerra, a contatto con il combattimento e lo scontro, cominciano a nutrire i
primi dubbi sulle scelte fatte. Chi, come i sindacalisti rivoluzionari, come
Filippo Corridoni ed i suoi volontari, credevano che attraverso la guerra e la
conseguente vittoria si sarebbero create le condizioni per migli9orare le condizioni
della classe operaia, se non addirittura porre le premesse per sostanziali
innovazioni istituzionali, ebbero la certezza che, almeno nel breve periodo,
questo non si sarebbe realizzato.
Le Marche, regione sempre ai margini della vita
nazionale, in questi frangenti erano in prima fila nelle decisioni nazionali e,
nello sviluppo delle operazioni, assunsero un ruolo fondamentale. Se per le
operazioni terrestri, divennero retrovia e regione “a rincalzo” del fronte, per
le operazioni marittime, divennero parte centrale di quella “trincea marittima”
che andava dalle foci dell’Isonzo e, con i punti forti di Venezia, Ancona,
Brindisi, Valona, si saldava con l’Armata d’Oriente che operava nei Balcani. Una
trincea che vedrà lo sviluppo delle operazioni navali non secondo i termini
classici della guerra sul mare, ma nei termini rivoluzionari pensati ed attuati
dall’Ammiraglio Thaon di Revel, dopo una grave crisi ai vertici operativi della
Regia Marina e a dolorose perdite di navi ed equipaggi.
Ancona, in questo contesto, recupera quel ruolo
primario di piazzaforte offensiva marittima, che aveva avuto dal 1860 al 1866
incidendo fortemente nella vita sociale ed economica non solo della città, ma
della regione tutta. La progettata impresa di d’Annunzio su Zara, in quel
contesto di “guerriglia marittima” che Thaon di Revel propugnava per difendere
la trincea marittima, sta a testimoniare questo ruolo strategico di Ancona e
delle Marche che sarà il segno distintivo della partecipazione alla Grande
guerra della Regione.