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sabato 28 gennaio 2017

Le Marche e la Grande Guerra. III Volume

LE MARCHE E LA PRIMA GUERRA MONDIALE. 1915  vol. II

I primi sei mesi di guerra. Dall'euforia interventista all realtà della trincea

Fanti della brigata "Marche"
Bozza delle note conclusive

L’entrata in guerra nel maggio del 1915 fu una decisione avventata. L’Italia, che nel 1914, era stata estromessa dalle decisioni strategiche dai suoi alleati della Triplice Alleanza, Germania ed Austria-Ungheria, si trovò senza alleati e senza amici. Si dovette inventare una politica estera dalle fondamenta, essendo palesemente fallita quella triplicista iniziata nel 1882. Per tutto il  1914 vi fu un grave momento di incertezza ed indecisione; si barcollava nel buio, mentre nel Paese la situazione sociale ed economica diventava sempre più difficile come i fatti della Settimana Rossa nelle Marche e enlle Romagne stavano ad indicare.

Una minoranza, capeggiata da Salandra e Sonnino, che aveva contro Giolitti ed i centristi/trasformisti, il Vaticano e tutti i cattolici, i socialisti ed i sindacalisti antimilitaristi e rivoluzionari, si incamminarono sulla strada dell’avvicinamento e dell’intesa con Gran Bretagna e Francia, che voleva significare l’entrata in guerra. La primavera el 1915 vide lo scontro di queste due opposte fazioni: gli interventisti e i neutralisti che si risolse quasi a furore di popolo, con le piazze mobilitate e con la convizione che la guerra sarebbe stata breve e vittoriosa.
L’Esercito non era pronto; sarebbe stato necessario un lasso di tempo più lungo, per una entrata efficace dell’Italia in guerra. Nella realtà si ottenne il solo scopo strategico di richiamare forze austroungariche dal fronte orientale, nulla di più. Sia l’iniziale sbalzo offensivo, sia le quattro battaglie dell’Isonzo combattute nel 1915 non diedero i risultati sperati. L’incertezza dei Comandi e la scarsa preparazione favorirono l’Austria-Ungheria, nella sua scelta strategica di porsi sulla difensiva.


Interventisti e volontari ebbero dubbi sulle scelte fatte una volta presa coscienza ella realtà della guerra.
Nella foto i volontari di guerra tra cui, forse, Filippo Tommaso Marinetti, in una foto dell'Album di Guerra della Famiglia Bonacini,


Di tutto questo ne è riverbero oggettivo le vicende delle Brigate che si sono prese in considerazione, a simbolo di tutta la situazione operativa. La Brigata “Marche”, la Brigata “Ancona”, la Brigata “Alpi” sul fronte dolomitico, la Brigata” Macerata”, la brigata ”Messina” e la Brigata “Acqui” sul fronte dell’Isonzo lanciano ripetuti attacchi alle difese avversarie nell’intendo di raggiungere quegli obiettivi strategici che il Piano Cadorna aveva fissato come propedeutici per lo sbocco nelle pianure d’oltralpe per raggiungere Trieste,  Lubiana e la Carinzia, ma sono tutte respinte con gravi perdite.

E’ la fine delle illusioni. Il “Maggio radioso” delle iconografia interventista evapora nella realtà delle trincee; gli interventisti, ed in particolare i futuristi e in generale i volontari di guerra, a contatto con il combattimento e lo scontro, cominciano a nutrire i primi dubbi sulle scelte fatte. Chi, come i sindacalisti rivoluzionari, come Filippo Corridoni ed i suoi volontari, credevano che attraverso la guerra e la conseguente vittoria si sarebbero create le condizioni per migli9orare le condizioni della classe operaia, se non addirittura porre le premesse per sostanziali innovazioni istituzionali, ebbero la certezza che, almeno nel breve periodo, questo non si sarebbe realizzato.

Le Marche, regione sempre ai margini della vita nazionale, in questi frangenti erano in prima fila nelle decisioni nazionali e, nello sviluppo delle operazioni, assunsero un ruolo fondamentale. Se per le operazioni terrestri, divennero retrovia e regione “a rincalzo” del fronte, per le operazioni marittime, divennero parte centrale di quella “trincea marittima” che andava dalle foci dell’Isonzo e, con i punti forti di Venezia, Ancona, Brindisi, Valona, si saldava con l’Armata d’Oriente che operava nei Balcani. Una trincea che vedrà lo sviluppo delle operazioni navali non secondo i termini classici della guerra sul mare, ma nei termini rivoluzionari pensati ed attuati dall’Ammiraglio Thaon di Revel, dopo una grave crisi ai vertici operativi della Regia Marina e a dolorose perdite di navi ed equipaggi.

Ancona, in questo contesto, recupera quel ruolo primario di piazzaforte offensiva marittima, che aveva avuto dal 1860 al 1866 incidendo fortemente nella vita sociale ed economica non solo della città, ma della regione tutta. La progettata impresa di d’Annunzio su Zara, in quel contesto di “guerriglia marittima” che Thaon di Revel propugnava per difendere la trincea marittima, sta a testimoniare questo ruolo strategico di Ancona e delle Marche che sarà il segno distintivo della partecipazione alla Grande guerra della Regione.

 
Pezzo da fortezza a Belgrado. L'obsolescenza di questo cannone è evidente
La piazzaforte di Ancona, dichiarata città indifesa, nel 1915 non aveva nemmeno residui e pezzi antiquati di nessuna  arma 

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