di Massimo Coltrinari
Università La Sapienza - Scienze Politiche
(studentiecultori2009@libero.it)
La
provincia di Pesaro, e Pesaro in particolare, vissero l’anno della neutralità,
il 1914, in un clima di contrapposizione ed in mezzo ad aspri dissidi tra le
componenti politiche locali, apertamente in contrasto su posizioni rigide e
inconciliabili. Coerenti con le contrapposizioni di scala nazionale, da una
parte vi erano repubblicani e socialisti, convinti antimilitaristi e
antimonarchici, dall’altra liberal-democratici, cattolici e conservatori in
genere. I giornali locali riflettevano questa divisione e questa impostazione
politica, ed alimentavano polemiche e divisioni, il più delle volte anche
inconsistenti, scivolando spesso su particolarismi e minuzie di campanile.[1] Nelle
elezioni amministrative, dopo amministrazioni comunali che avevano lasciato
strascichi e molta insoddisfazione, nel marzo 1915 fu eletto il sindaco Recchi,
sostenuto da una coalizione di liberali, socialisti e nazionalisti, i cosiddetti
partiti “costituzionali”, amministrazione che avrebbe dovuto affrontare i duri
anni di guerra. Già in quella primavera del 1915 erano affiorati i sintomi negativi
della guerra europea, quali il crescente carovita, il rientro degli emigrati,
per lo più diseredati e disoccupati, il blocco delle locazioni, che poi
verranno definitivamente congelati il 24 maggio alla dichiarazione di guerra,
ed altre turbative socio economiche. La giunta Recchi doveva anche misurarsi
con lo scontro tra neutralisti ed interventisti che si andava via via sempre
più rafforzando dall’inizio dell’anno; in particolare a Pesaro, i Repubblicani,
che avevano il loro leader in Giuseppe Ranganeschi, erano in apertissima
polemica, come su scala nazionale, con i socialisti, i cattolici ed i
conservatori liberali. La polemica era di altissimo tono e Ranganeschi la
alimentava di giorno in giorno, facendo leva anche sull’interventismo garibaldino
in Francia giungendo a dichiarare apertamente che i repubblicani avrebbero
rinunciato alla pregiudiziale antimonarchica a favore della guerra e si
dichiararono pronti a prestare giuramento al re e a combattere sotto le sue
bandiere pur di combattere il nemico
ereditario, l’Austria. Una dichiarazione che impressionò molto la cittadinanza
in genere in quando andava contro a decenni di contrapposizione e di lotte. Era
l’interventismo risorgimentale che collegava i temi dell’Unità nazionale del
Risorgimento con la politica attuale e che sparigliava tutte le carte. I socialisti
erano in difficoltà persistendo ancora nei temi della difesa delle classi più deboli
e del proletariato, mentre i cattolici erano molto più prudenti e con posizioni
alquanto defilate.
Nel
maggio 1915 una serie di manifestazioni a favore della guerra segnarono al vita
cittadina. Alla Pallacorda, mentre si teneva una conferenza su Aurelio Saffi,
l’oratore, Giuseppe Meoni, fu interrotto da ovazioni ad ogni accenno alla
Francia ed alla guerra all’Austria. Il 13 maggio 1915, nel clima generale che
si era andato instaurando nel paese, una grossa manifestazione percorse le vie
cittadine, al grido di “Abbasso
l’Austria!” “Abbasso gli assassini del Belgio!” “Abbasso Giolitti!” “Viva
Trento e Trieste.” “ La Sveglia Democratica” nel riportare la cronaca della
manifestazione ne esaltava i termini ed i contenuti scrivendo “Ecco la voce entusiastica e concorde d’una
fiumana di popolo reclamante dei supremi poteri dello Stato una politica veramente
nazionale”….Quanti si sentono Italiani nella mente, nel cuore, nel braccio non
disertino le piazze. La protesta deve essere immanente. O Guerra allo straniero
o rivoluzione”[2]
La
versione del “Il Progresso”, naturalmente era di opposto segno: la manifestazione
fu insignificante, con qualche centinaio di repubblicani, studenti e scalmanati,
intenti solo a fare chiasso e confusione per le vie della città, provocando
alterchi ed incidenti con i cittadini e con qualche soldato richiamato.
Una manifestazione indettata dai neutralisti
qualche giorno dopo, non ebbe successo.
I cattolici, come detto erano più defilati e prudenti, con un occhio al
futuro. Al momento della dichiarazione di guerra il messaggio che si fece
passare era chiaro: i cattolici avrebbero fatto il loro dovere, fino in fondo,
ma nessuno poteva accusarli di aver voluto, provocato o desiderato la guerra e
di aver trascinato l’Italia in un flagello di cui non si sapeva ancora le
proporzioni; era la premessa alla frase del papa, due anni dopo, della “inutile
strage”, che contraddistingue il modo cattolico, incapace di fermare le
violenze umane, per denunciandole e condannandole.
La
notizia della dichiarazione di guerra in via ufficiosa giunse a Pesaro il 23 maggio
a sera, non confermata e subito il clima politico cambiò. Chiunque si fosse opposto
alla guerra o non vi avesse partecipato era ormai considerato un “traditore” e
si diffuse un clima di tensione e sospetto dalle conseguenze imprevedibili. Si
diffusero le notizie più inverosimili, alimentate, sotto l’etichetta del “si
dice”, dalla fantasia eccita del popolo,
. Una studentessa austriaca del conservatorio di musica “ si dice, sia stata
arrestata per spionaggio; un dirigibile austriaco aveva sorvolato la città[3] ,
ceramiche ed opere d’arte si stavano imballando presso il Museo civico per
essere trasportate in luogo sicuro, al riparo di attacchi nemici che si
credevano imminenti, agenti germanici ed austriaci stavano sabotando la linea
ferroviaria, ed altre notizie incontrollate che trovavano gran credito presso
la popolazione. Sui muri della città apparvero finalmente i manifesti che
annunciavano lo stato di guerra, finalmente una notizia ufficiale e precisa.
Così
“Il Progresso” descrive l’alba del 24 maggio a Pesaro:
“La mattina del 24 maggio, poche ore dopo la
dichiarazione di guerra, i pesaresi sono stati svegliati dal violento, se pur
lontano, rombo del cannone….Molti concittadini si precipitarono sulle vie ed
accorsero alla marina dove si sentiva più violento il cannoneggiamento dalla
parte di Senigallia ed Ancona”[4]
La popolazione vive i momenti come
festa ed eccitazione pubblica ed anziché trovare riparo o protezione, si dirige
verso dove proveniva il rombo del cannone, cioè del pericolo. Nella giornata
del 24 si sparse la voce che la Flotta austriaca aveva bombardato Ancona, ma
che i treni lungo la linea adriatica continuavano a viaggiare regolarmente; in
molti pensarono che la linea ferroviaria, che nell’area pesarese, corre
parallela e a ridosso della spiaggia, era ed è un ottimo bersaglio per il
nemico. La giornata del 24 maggio fu
passata con la popolazione in piazza e nelle vie, che formava capannelli, tutta
tesa ad avere notizie e indiscrezioni, ma soprattutto in attesa della
pubblicazione dell’ordine di mobilitazione. Il massimo dell’entusiasmo fu
raggiunto, quando fu distribuito un giornale di Ancona, probabilmente
“L’Ordine-Il Corriere delle Marche”, che lo pubblicava. A questa esaltazione
segui immediatamente la pretesa dei più eccitati di pretendere la esposizione
della bandiera nazionale in tutti i palazzi pubblici e in gran parte delle
case private.
Il
decreto di mobilitazione fu affisso con manifesto domenica 25 maggio 1915, dando
vita ad altre manifestazioni di giubilo.
Il
Prefetto, conseguente alle disposizioni ricevuto, iniziò a mettere la città in
stato di guerra: ordinò, con le prime disposizioni, l’oscuramento, dal tramonto
all’alba, per contrastare attacchi nemici dal mare, vietò ogni manifestazione
pubblica, come comizi, assembramenti, processioni e privata che avessero le stesse
modalità. Iniziò a date disposizioni di carattere economico-sociale, mentre la
mobilitazione civile iniziava mettersi in moto.
La
mobilitazione militare coinvolse, naturalmente, tutta la provincia di Pesaro e
di Urbino. Tutti i Comuni ne furono coinvolti
e le classi richiamate incisero molto di più sulle comunità rurali che non nei
centri urbani, e questo impoverimento della forza lavoro in agricoltura non
poteva avere conseguente nell’immediato futuro, anche se nelle prime settimane
la partenza dei richiamati fu vista più come una festa che come un risvolto
negativo, tutti convinti che la guerra, sull’onda del “maggio radioso” si
sarebbe conclusa in poche settimane. Presente a Pesaro il fenomeno del
volontariato. Fra tutti emerse la figura dell’on. Ruggero Mariotti, notabile di
Fano, che ripetutamente chiese di partire volontario e infine la sua domanda fu
accolta ed arruolato come tenente nel 94° Reggimento fanteria, che, come detto,
aveva sede proprio a Fano.
E’ facilmente
comprensibile che le classi richiamate erano per la gran parte composte da
richiamati dalle campagne, dei contadini che, in percentuale erano la
maggioranza rispetto alle altre classi sociali. Per molti di loro era la prima
volta che lasciavano la terra che li aveva visi nasce nei due decenni ed oltre
della loro vita, al massimo avevano visto e frequentato il paese di riferimento,
qualcuno era stato, per fiere o altro, accompagnando i più anziani nel
capoluogo, ma niente di più. Era la prima volta che lasciavano la loro terra,
la lor regioni. Per molti fu anche l’ultima. Un dato è stato rilevato:[5] il
peso del dolore e della morte di giovai vite, che erano la speranza ed il
futuro, non si distribuì in modo omogeneo tra la campagna e la città, ma incise
in modo profondo e spesso crudele sulla prima, ed in misira tale della più o
meno estensione della comunità rurale. I maggiori centri urbani ebbero perdite
minori, su scala proporzionale, rispetto alle piccole comunità rurali.
L’esempio dello
studio che è stato portato a questa affermazione, avendo come riferimento il
censimento del 1911, è la provincia di Pesaro. A mano a mano che dalla costa si
risaliva verso l’entroterra vi è un aumento del peso percentuale dei caduti a
mano a mano che dalla costa si risaliva verso l’ entroterra: se Saltara,
Gradara, San Giorgio di Pesaro si mantennero intorno al 4% , alcuni dei comuni
a ridosso degli Appennini, come Maiolo, Sant’Agata Feltria, Talamello, Belforte
all’Isauro, Piandimileto e Cantiano presentano dei valori tra il 5,8 e l8.1%.
Alla fine del
conflitto, il Comune di Mombroccio ebbe 66 Caduti, tra cui molti dispersi; Il
Comune di Montecerignone ne avrebbe avuti 37; Frontino 16; Talamello 32;
Orciano ne avrebbe ricordati 38; Lunano 39; Gradara 44 ( di cui 24 “per ferite”
3 “dispersi” e 17 per malattie. Pesaro ebbe 414 Caduti.
Una
delle prime notizie che si apprese in città fu la istituzione di sei ospedali
militari di riserva, con la requisizione di scuole, e edifici pubblici. Tanto
era carente la protezione della città da offese aere, che la Società del Tiro a
Segno si offerse e predispose una
squadra di tiratori scelti, da porre su altane costruite sui tetti, per
contrastare azioni aeree nemiche; una sorta di contraerea privata, meglio di
niente data la assoluta assenza di ogni organizzazione difensiva. Si crearono
vari comitati, tutti frutto del fervore patriottico che aveva invaso la città.
Si creò un comitato pesarese per la raccolta dei fondi per l’assistenza alle
famiglie dei richiamati, che il 31 dicembre 2015 aveva raccolto 37038, 20 lire,
con il corollario di iniziative di vari gruppi ed associazioni per l’invio al
fronte di pacchi contenti viveri, ed indumenti di vestiario e generi vari. Un comitato fu creato per curare la
corrispondenza tra le famiglie e di militari al fronte, tenendo presente che
nelle Marche del 1915 l’analfabetismo era sull’ordine del 50% della
popolazione, come aveva sottolineato il censimento del 1911; in pratica si
avviava la pratica di persone di buona volontà che sapevano leggere e scrivere
che si mettevano a disposizione della famiglia, analfabeta, del richiamato;
questi, a suo volta analfabeta, si avvaleva per la lettura e la risposta o di
ufficiali subalterni di buon volere, o per lo più del cappellano militare e
suoi assistenti, o, in misura minore, di commilitoni. Questo fenomeno non fu
solo presente nella provincia di Pesaro, ma in tutte le provincie italiane,
dando origine ad un fenomeno collettivo che concorse, con altri della stessa
portata, costruzione del senso di
appartenenza e di identità nazionale.[6]
La mobilitazione civile dei primi mesi di guerra
ebbe anche caratteristiche peculiari di Pesaro.
“Odoardo Giansanti, il celebre cantastorie
dialettale che con le sue strofe esprimeva i sentimenti popolari biasimando il
caroviveri e fustigando gli imboscati
( Specialment sti sbarazeren
Ch’ià fatt tante l muscarden
Pel passed a fè cagnera
Urland fort viva la guera)
Nel riutilizzare vecchie canzoni ne espunse
parole come “coscritti”, che in passato aveva impiegato nel doppio senso di
soldato di leva e di grullo. Il bagno di sangue non consentiva più facili
ironie.”[7]
Occorre
rilevare che Pesaro, nella primavera del 1915 era in piena espansione edilizia
iniziata già da qualche anno, con nuovi quartieri progettati, in parte
costruiti, che aveva superato la vecchia cinta muraria ottocentesca, in gran
parte abbattuta per avere spazio all’ampliamento progettato. Tutto questo
processo di espansione inevitabilmente ebbe a frenare e a contrarsi nel corso
della guerra ed i primi sintomi li si ebbero proprio all’indomani della
dichiarazione di guerra. Il settore edilizio entrò in crisi per la carenza di
manodopera specializzata, in grandissima parte reclutata per il fronte e quella
rimanente assorbita dalle esigenze militari. Carenze gravi via via si
produssero nel settore del legname, dei mattoni e del marmo e dei loro
derivati. Accanto a quello della edilizia, entro in crisi, comune a tutte le Marche,
il settore della pesca, per le imposizioni restrittive imposte dalle autorità
militari e dalle oggettive condizioni come la presenza di campi di mine,
sgombero per esigenze militari, fermo pesca prolungato, divieti di determinati
tipi di pesca ecc. Tutto quello che ruotava intorno al settore ittico entrò in
crisi e si fermò. Il Comando Supremo aveva dichiarato il litorale adriatico “
in stato di guerra” con le relative conseguenze.
Interessante
notare che disposizioni restrittive e
proibitive colpirono anche il settore della caccia alla vigilia della stagione
venatoria, soprattutto per il ferreo controllo che le autorità militari posero
sulle armi, sulle munizioni e sul loro impiego. Per far fronte anche alla
carenze di sostentamento, nel corso ella guerra ai cacciatori fu permesso di
cacciare con l’uso delle reti.
Il
clima di partecipazione, euforia e grande spirito patriottico che fu alla base
delle numerose iniziative che caratterizzarono la mobilitazione civile, via
via, si andò smorzando venendo ad affermarsi sempre più la realtà della guerra.
Già
nelle settimane di giugno iniziarono ad arrivate le notizie dei primi caduti al
Fronte, tra cui il tenente colonnello Alberto Spada, decorato di medaglia
d’Argento al Valor Militare, caduto il primo giorno, il 23 giugno 1915, della I battaglia dell’Isonzo, sul Gobna.
Accanto
alle notizie provenienti dal Fronte Pesaro dovette fronteggiare il 18 giugno un
attacco austriaco dal mare: un incrociatore e due torpediniere austriache, da
3.000 metri dalla costa, aprirono il fuoco, dopo aver superato il campo minato
frettolosamente posto, e presero di mira
la linea ferroviaria, la stazione e le
attrezzature portuali, ma i danni furono limitate, anche se la paura fu
grande, anche se non ci fu l’effetto sorpresa come quelli del primo giorno di
guerra. Il Comune, ancora sull’onda del fervore patriottico, intitolò una
strada parallela al mare in costruzione
“Viale Trento”, dando per assicurata la vittoria finale della guerra che
si stava combattendo.[8]
Nel luglio successivo, anche Fano fu attaccata dal mare, anche qui con
obiettivo la stazione ferroviaria; i danni furono pochi, anche se la Chiesa di
san Francesco fu colpita in quanto si trovava sulla linea di tiro.
Nella
provincia di Pesaro i mesi che passarono riportarono tutti alla realtà. Svanito
il sogno o l’illusione che la guerra sarebbe stata guerra, mentre il Municipio
si affannava a perfezionare misure per prevenire attacchi dal mane, con sempre
nuove disposizioni e la difesa costiera iniziava a prendere corpo, la guerra
reale si rilevò per quello che era: una realtà comune alle altre provincie
marchigiane. Una guerra che era molto diversa da quella immaginata delle accese
discussioni dei caffè e dei circoli, invocata nelle manifestazioni come
soluzione a tutti i problemi, urlata nei comizi, con tutte le aggettivazioni
iperboliche dettate dalla esaltazione sia del singolo che della collettività. I
primi sei mesi di guerra anche a Pesaro e provincia ebbero questa parabola:
dalla illusione alla tragica realtà.
[1] Vi erano: “L’Idea”, giornale cattolico,
“Il progresso”, periodico socialista, “La Sveglia Democratica”, di orientamento
repubblicano con venature massoniche; a Fano si stampava “La Concordia”, di
orientamento cattolico. Da ricordare che il giornale delle Marche, a livello
regionale, era “L’Ordine – Il Corriere delle Marche”, che si stampava in
Ancona.
[2] “La
Sveglia democratica”, 15 maggio 1915. Citato in Ugoccioni P.R., Il Pesarese, in Piccinini G. (a cura di), Le
Marche e la Grande Guerra. 1915-1918, Ancona, Assemblea Legislativa delle
Marche, Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano. Comitato Provinciale
di Ancona, 2008.
[3] Molto probabilmente qualcuno a Pesaro
aveva scorto a cavallo della mezzanotte tra il 23 ed il 24 maggio 1915 il
dirigibile italiano “Città di Ferrara” che da Jesi si era levato in volo verso
Pola, in missione di guerra, ma non lo aveva riconosciuto come italiano.
[5] Ugoccioni P.R., Il Pesarese, in Piccinini G. (a cura di), Le Marche e la Grande Guerra. 1915-1918, Ancona,
Assemblea Legislativa delle Marche, Istituto per la Storia del Risorgimento
Italiano. Comitato Provinciale di Ancona, 2008. Pag. 119
[7] Ugoccioni P.R., Vita di Odoardo Giansanti detto “Pasqualon”, Pesaro, Nobili, 1991.
Cfr. inoltre: Balducci S., ( a cura di), Orlando
Giansanti. Poesie, Pesaro, Nobili & Pieraccini Ed., 1966
[8] Un anno dopo, il 31 luglio 1916, a
venti giorni dalla impiccagione nel fossato del Castello del Buon Consiglio,
una strada più a monte, fu intitolata a
Cesare Battisti.
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