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giovedì 30 marzo 2017

La Grade Guerra a Pesaro e provincia 1915-1916

 di Massimo Coltrinari
Università La Sapienza - Scienze Politiche
(studentiecultori2009@libero.it)

La provincia di Pesaro, e Pesaro in particolare, vissero l’anno della neutralità, il 1914, in un clima di contrapposizione ed in mezzo ad aspri dissidi tra le componenti politiche locali, apertamente in contrasto su posizioni rigide e inconciliabili. Coerenti con le contrapposizioni di scala nazionale, da una parte vi erano repubblicani e socialisti, convinti antimilitaristi e antimonarchici, dall’altra liberal-democratici, cattolici e conservatori in genere. I giornali locali riflettevano questa divisione e questa impostazione politica, ed alimentavano polemiche e divisioni, il più delle volte anche inconsistenti, scivolando spesso su particolarismi e minuzie di campanile.[1] Nelle elezioni amministrative, dopo amministrazioni comunali che avevano lasciato strascichi e molta insoddisfazione, nel marzo 1915 fu eletto il sindaco Recchi, sostenuto da una coalizione di liberali, socialisti e nazionalisti, i cosiddetti partiti “costituzionali”, amministrazione che avrebbe dovuto affrontare i duri anni di guerra. Già in quella primavera del 1915 erano affiorati i sintomi negativi della guerra europea, quali il crescente carovita, il rientro degli emigrati, per lo più diseredati e disoccupati, il blocco delle locazioni, che poi verranno definitivamente congelati il 24 maggio alla dichiarazione di guerra, ed altre turbative socio economiche. La giunta Recchi doveva anche misurarsi con lo scontro tra neutralisti ed interventisti che si andava via via sempre più rafforzando dall’inizio dell’anno; in particolare a Pesaro, i Repubblicani, che avevano il loro leader in Giuseppe Ranganeschi, erano in apertissima polemica, come su scala nazionale, con i socialisti, i cattolici ed i conservatori liberali. La polemica era di altissimo tono e Ranganeschi la alimentava di giorno in giorno, facendo leva anche sull’interventismo garibaldino in Francia giungendo a dichiarare apertamente che i repubblicani avrebbero rinunciato alla pregiudiziale antimonarchica a favore della guerra e si dichiararono pronti a prestare giuramento al re e a combattere sotto le sue bandiere pur di     combattere il nemico ereditario, l’Austria. Una dichiarazione che impressionò molto la cittadinanza in genere in quando andava contro a decenni di contrapposizione e di lotte. Era l’interventismo risorgimentale che collegava i temi dell’Unità nazionale del Risorgimento con la politica attuale e che sparigliava tutte le carte. I socialisti erano in difficoltà persistendo ancora nei temi della difesa delle classi più deboli e del proletariato, mentre i cattolici erano molto più prudenti e con posizioni alquanto defilate.
Nel maggio 1915 una serie di manifestazioni a favore della guerra segnarono al vita cittadina. Alla Pallacorda, mentre si teneva una conferenza su Aurelio Saffi, l’oratore, Giuseppe Meoni, fu interrotto da ovazioni ad ogni accenno alla Francia ed alla guerra all’Austria. Il 13 maggio 1915, nel clima generale che si era andato instaurando nel paese, una grossa manifestazione percorse le vie cittadine, al grido di “Abbasso l’Austria!” “Abbasso gli assassini del Belgio!” “Abbasso Giolitti!” “Viva Trento e Trieste.” “ La Sveglia Democratica” nel riportare la cronaca della manifestazione ne esaltava i termini ed i contenuti scrivendo “Ecco la voce entusiastica e concorde d’una fiumana di popolo reclamante dei supremi poteri dello Stato una politica veramente nazionale”….Quanti si sentono Italiani nella mente, nel cuore, nel braccio non disertino le piazze. La protesta deve essere immanente. O Guerra allo straniero o rivoluzione”[2]
La versione del “Il Progresso”, naturalmente era di opposto segno: la manifestazione fu insignificante, con qualche centinaio di repubblicani, studenti e scalmanati, intenti solo a fare chiasso e confusione per le vie della città, provocando alterchi ed incidenti con i cittadini e con qualche soldato richiamato.
 Una manifestazione indettata dai neutralisti qualche giorno dopo, non ebbe successo.  I cattolici, come detto erano più defilati e prudenti, con un occhio al futuro. Al momento della dichiarazione di guerra il messaggio che si fece passare era chiaro: i cattolici avrebbero fatto il loro dovere, fino in fondo, ma nessuno poteva accusarli di aver voluto, provocato o desiderato la guerra e di aver trascinato l’Italia in un flagello di cui non si sapeva ancora le proporzioni; era la premessa alla frase del papa, due anni dopo, della “inutile strage”, che contraddistingue il modo cattolico, incapace di fermare le violenze umane, per denunciandole e condannandole.

La notizia della dichiarazione di guerra in via ufficiosa giunse a Pesaro il 23 maggio a sera, non confermata e subito il clima politico cambiò. Chiunque si fosse opposto alla guerra o non vi avesse partecipato era ormai considerato un “traditore” e si diffuse un clima di tensione e sospetto dalle conseguenze imprevedibili. Si diffusero le notizie più inverosimili, alimentate, sotto l’etichetta del “si dice”,  dalla fantasia eccita del popolo, . Una studentessa austriaca del conservatorio di musica “ si dice, sia stata arrestata per spionaggio; un dirigibile austriaco aveva sorvolato la città[3] , ceramiche ed opere d’arte si stavano imballando presso il Museo civico per essere trasportate in luogo sicuro, al riparo di attacchi nemici che si credevano imminenti, agenti germanici ed austriaci stavano sabotando la linea ferroviaria, ed altre notizie incontrollate che trovavano gran credito presso la popolazione. Sui muri della città apparvero finalmente i manifesti che annunciavano lo stato di guerra, finalmente una notizia ufficiale e precisa.

Così “Il Progresso” descrive l’alba del 24 maggio a Pesaro:

La mattina del 24 maggio, poche ore dopo la dichiarazione di guerra, i pesaresi sono stati svegliati dal violento, se pur lontano, rombo del cannone….Molti concittadini si precipitarono sulle vie ed accorsero alla marina dove si sentiva più violento il cannoneggiamento dalla parte di Senigallia ed Ancona”[4]  La popolazione vive i momenti come festa ed eccitazione pubblica ed anziché trovare riparo o protezione, si dirige verso dove proveniva il rombo del cannone, cioè del pericolo. Nella giornata del 24 si sparse la voce che la Flotta austriaca aveva bombardato Ancona, ma che i treni lungo la linea adriatica continuavano a viaggiare regolarmente; in molti pensarono che la linea ferroviaria, che nell’area pesarese, corre parallela e a ridosso della spiaggia, era ed è un ottimo bersaglio per il nemico.  La giornata del 24 maggio fu passata con la popolazione in piazza e nelle vie, che formava capannelli, tutta tesa ad avere notizie e indiscrezioni, ma soprattutto in attesa della pubblicazione dell’ordine di mobilitazione. Il massimo dell’entusiasmo fu raggiunto, quando fu distribuito un giornale di Ancona, probabilmente “L’Ordine-Il Corriere delle Marche”, che lo pubblicava. A questa esaltazione segui immediatamente la pretesa dei più eccitati di pretendere la esposizione della bandiera nazionale in tutti i palazzi pubblici e in gran parte delle case  private.
Il decreto di mobilitazione fu affisso con manifesto domenica 25 maggio 1915, dando vita ad altre manifestazioni di giubilo.
Il Prefetto, conseguente alle disposizioni ricevuto, iniziò a mettere la città in stato di guerra: ordinò, con le prime disposizioni, l’oscuramento, dal tramonto all’alba, per contrastare attacchi nemici dal mare, vietò ogni manifestazione pubblica, come comizi, assembramenti, processioni e privata che avessero le stesse modalità. Iniziò a date disposizioni di carattere economico-sociale, mentre la mobilitazione civile iniziava mettersi in moto.
La mobilitazione militare coinvolse, naturalmente, tutta la provincia di Pesaro e di Urbino. Tutti i  Comuni ne furono coinvolti e le classi richiamate incisero molto di più sulle comunità rurali che non nei centri urbani, e questo impoverimento della forza lavoro in agricoltura non poteva avere conseguente nell’immediato futuro, anche se nelle prime settimane la partenza dei richiamati fu vista più come una festa che come un risvolto negativo, tutti convinti che la guerra, sull’onda del “maggio radioso” si sarebbe conclusa in poche settimane. Presente a Pesaro il fenomeno del volontariato. Fra tutti emerse la figura dell’on. Ruggero Mariotti, notabile di Fano, che ripetutamente chiese di partire volontario e infine la sua domanda fu accolta ed arruolato come tenente nel 94° Reggimento fanteria, che, come detto, aveva sede proprio a Fano.

E’ facilmente comprensibile che le classi richiamate erano per la gran parte composte da richiamati dalle campagne, dei contadini che, in percentuale erano la maggioranza rispetto alle altre classi sociali. Per molti di loro era la prima volta che lasciavano la terra che li aveva visi nasce nei due decenni ed oltre della loro vita, al massimo avevano visto e frequentato il paese di riferimento, qualcuno era stato, per fiere o altro, accompagnando i più anziani nel capoluogo, ma niente di più. Era la prima volta che lasciavano la loro terra, la lor regioni. Per molti fu anche l’ultima. Un dato è stato rilevato:[5] il peso del dolore e della morte di giovai vite, che erano la speranza ed il futuro, non si distribuì in modo omogeneo tra la campagna e la città, ma incise in modo profondo e spesso crudele sulla prima, ed in misira tale della più o meno estensione della comunità rurale. I maggiori centri urbani ebbero perdite minori, su scala proporzionale, rispetto alle piccole comunità rurali.

L’esempio dello studio che è stato portato a questa affermazione, avendo come riferimento il censimento del 1911, è la provincia di Pesaro. A mano a mano che dalla costa si risaliva verso l’entroterra vi è un aumento del peso percentuale dei caduti a mano a mano che dalla costa si risaliva verso l’ entroterra: se Saltara, Gradara, San Giorgio di Pesaro si mantennero intorno al 4% , alcuni dei comuni a ridosso degli Appennini, come Maiolo, Sant’Agata Feltria, Talamello, Belforte all’Isauro, Piandimileto e Cantiano presentano dei valori tra il 5,8 e l8.1%.
Alla fine del conflitto, il Comune di Mombroccio ebbe 66 Caduti, tra cui molti dispersi; Il Comune di Montecerignone ne avrebbe avuti 37; Frontino 16; Talamello 32; Orciano ne avrebbe ricordati 38; Lunano 39; Gradara 44 ( di cui 24 “per ferite” 3 “dispersi” e 17 per malattie. Pesaro ebbe 414 Caduti.


Una delle prime notizie che si apprese in città fu la istituzione di sei ospedali militari di riserva, con la requisizione di scuole, e edifici pubblici. Tanto era carente la protezione della città da offese aere, che la Società del Tiro a Segno si offerse  e predispose una squadra di tiratori scelti, da porre su altane costruite sui tetti, per contrastare azioni aeree nemiche; una sorta di contraerea privata, meglio di niente data la assoluta assenza di ogni organizzazione difensiva. Si crearono vari comitati, tutti frutto del fervore patriottico che aveva invaso la città. Si creò un comitato pesarese per la raccolta dei fondi per l’assistenza alle famiglie dei richiamati, che il 31 dicembre 2015 aveva raccolto 37038, 20 lire, con il corollario di iniziative di vari gruppi ed associazioni per l’invio al fronte di pacchi contenti viveri, ed indumenti di vestiario e generi vari.  Un comitato fu creato per curare la corrispondenza tra le famiglie e di militari al fronte, tenendo presente che nelle Marche del 1915 l’analfabetismo era sull’ordine del 50% della popolazione, come aveva sottolineato il censimento del 1911; in pratica si avviava la pratica di persone di buona volontà che sapevano leggere e scrivere che si mettevano a disposizione della famiglia, analfabeta, del richiamato; questi, a suo volta analfabeta, si avvaleva per la lettura e la risposta o di ufficiali subalterni di buon volere, o per lo più del cappellano militare e suoi assistenti, o, in misura minore, di commilitoni. Questo fenomeno non fu solo presente nella provincia di Pesaro, ma in tutte le provincie italiane, dando origine ad un fenomeno collettivo che concorse, con altri della stessa portata,  costruzione del senso di appartenenza e di identità nazionale.[6]
La  mobilitazione civile dei primi mesi di guerra ebbe anche caratteristiche peculiari di Pesaro.
Odoardo Giansanti, il celebre cantastorie dialettale che con le sue strofe esprimeva i sentimenti popolari biasimando il caroviveri  e fustigando gli imboscati
( Specialment sti sbarazeren
Ch’ià fatt tante l muscarden
Pel passed a fè cagnera
Urland fort viva la guera)
Nel riutilizzare vecchie canzoni ne espunse parole come “coscritti”, che in passato aveva impiegato nel doppio senso di soldato di leva e di grullo. Il bagno di sangue non consentiva più facili ironie.”[7]  

Occorre rilevare che Pesaro, nella primavera del 1915 era in piena espansione edilizia iniziata già da qualche anno, con nuovi quartieri progettati, in parte costruiti, che aveva superato la vecchia cinta muraria ottocentesca, in gran parte abbattuta per avere spazio all’ampliamento progettato. Tutto questo processo di espansione inevitabilmente ebbe a frenare e a contrarsi nel corso della guerra ed i primi sintomi li si ebbero proprio all’indomani della dichiarazione di guerra. Il settore edilizio entrò in crisi per la carenza di manodopera specializzata, in grandissima parte reclutata per il fronte e quella rimanente assorbita dalle esigenze militari. Carenze gravi via via si produssero nel settore del legname, dei mattoni e del marmo e dei loro derivati. Accanto a quello della edilizia, entro in crisi, comune a tutte le Marche, il settore della pesca, per le imposizioni restrittive imposte dalle autorità militari e dalle oggettive condizioni come la presenza di campi di mine, sgombero per esigenze militari, fermo pesca prolungato, divieti di determinati tipi di pesca ecc. Tutto quello che ruotava intorno al settore ittico entrò in crisi e si fermò. Il Comando Supremo aveva dichiarato il litorale adriatico “ in stato di guerra” con le relative conseguenze.
Interessante notare che disposizioni restrittive  e proibitive colpirono anche il settore della caccia alla vigilia della stagione venatoria, soprattutto per il ferreo controllo che le autorità militari posero sulle armi, sulle munizioni e sul loro impiego. Per far fronte anche alla carenze di sostentamento, nel corso ella guerra ai cacciatori fu permesso di cacciare con l’uso delle reti.

Il clima di partecipazione, euforia e grande spirito patriottico che fu alla base delle numerose iniziative che caratterizzarono la mobilitazione civile, via via, si andò smorzando venendo ad affermarsi sempre più la realtà della guerra.
Già nelle settimane di giugno iniziarono ad arrivate le notizie dei primi caduti al Fronte, tra cui il tenente colonnello Alberto Spada, decorato di medaglia d’Argento al Valor Militare, caduto il primo giorno, il 23 giugno 1915,  della I battaglia dell’Isonzo, sul Gobna.
Accanto alle notizie provenienti dal Fronte Pesaro dovette fronteggiare il 18 giugno un attacco austriaco dal mare: un incrociatore e due torpediniere austriache, da 3.000 metri dalla costa, aprirono il fuoco, dopo aver superato il campo minato frettolosamente posto,  e presero di mira la linea ferroviaria, la stazione e le  attrezzature portuali, ma i danni furono limitate, anche se la paura fu grande, anche se non ci fu l’effetto sorpresa come quelli del primo giorno di guerra. Il Comune, ancora sull’onda del fervore patriottico, intitolò una strada parallela al mare in costruzione  “Viale Trento”, dando per assicurata la vittoria finale della guerra che si stava combattendo.[8] Nel luglio successivo, anche Fano fu attaccata dal mare, anche qui con obiettivo la stazione ferroviaria; i danni furono pochi, anche se la Chiesa di san Francesco fu colpita in quanto si trovava sulla linea di tiro.
Nella provincia di Pesaro i mesi che passarono riportarono tutti alla realtà. Svanito il sogno o l’illusione che la guerra sarebbe stata guerra, mentre il Municipio si affannava a perfezionare misure per prevenire attacchi dal mane, con sempre nuove disposizioni e la difesa costiera iniziava a prendere corpo, la guerra reale si rilevò per quello che era: una realtà comune alle altre provincie marchigiane. Una guerra che era molto diversa da quella immaginata delle accese discussioni dei caffè e dei circoli, invocata nelle manifestazioni come soluzione a tutti i problemi, urlata nei comizi, con tutte le aggettivazioni iperboliche dettate dalla esaltazione sia del singolo che della collettività. I primi sei mesi di guerra anche a Pesaro e provincia ebbero questa parabola: dalla illusione alla tragica realtà.
 


[1]        Vi erano: “L’Idea”, giornale cattolico, “Il progresso”, periodico socialista, “La Sveglia Democratica”, di orientamento repubblicano con venature massoniche; a Fano si stampava “La Concordia”, di orientamento cattolico. Da ricordare che il giornale delle Marche, a livello regionale, era “L’Ordine – Il Corriere delle Marche”, che si stampava in Ancona.
[2]           “La Sveglia democratica”, 15 maggio 1915. Citato in Ugoccioni P.R., Il Pesarese, in Piccinini G. (a cura di), Le Marche e la Grande Guerra. 1915-1918, Ancona, Assemblea Legislativa delle Marche, Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano. Comitato Provinciale di Ancona, 2008.

[3]        Molto probabilmente qualcuno a Pesaro aveva scorto a cavallo della mezzanotte tra il 23 ed il 24 maggio 1915 il dirigibile italiano “Città di Ferrara” che da Jesi si era levato in volo verso Pola, in missione di guerra, ma non lo aveva riconosciuto come italiano.
[4]        “Il Progresso”, 29 maggio 1915. Citato in Ugoccioni P.R., Il Pesarese,, cit., pag. 116
[5] Ugoccioni P.R., Il Pesarese, in Piccinini G. (a cura di), Le Marche e la Grande Guerra. 1915-1918, Ancona, Assemblea Legislativa delle Marche, Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano. Comitato Provinciale di Ancona, 2008. Pag. 119

[6]        Ugoccioni P.R., Il Pesarese,cit., pag.117 e segg.
[7]        Ugoccioni P.R., Vita di Odoardo Giansanti detto “Pasqualon”, Pesaro, Nobili, 1991. Cfr. inoltre: Balducci S., ( a cura di), Orlando Giansanti. Poesie, Pesaro, Nobili & Pieraccini Ed., 1966
[8]        Un anno dopo, il 31 luglio 1916, a venti giorni dalla impiccagione nel fossato del Castello del Buon Consiglio, una strada più a monte, fu intitolata a  Cesare Battisti.

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