Osimo e la Questione Agraria. /1
Il Milite Ignoto vincitore della
Grande Guerra. Il significato Politico
Le
Celebrazioni per il 1° centenario della traslazione del Milite Ignoto hanno
portato alla luce uno degli snodi più importanti e difficili della Storia
d’’Italia: la soluzione della questione agraria. Sembra un paradosso, ma in una
analisi anche superficiale questo collegamento è lapalissiano.
Nel momento
più tragico delle giornate seguite a Caporetto, il Re in un proclama
all’Esercito ed alla Nazione in toni chiari e precisi prometteva che, se si
fosse resistito, e l’Italia fosse uscita ancora unita dalla guerra in corso e
vittoriosa, avrebbe affrontato la questione agraria. Ovvero avrebbe dato la
terra a chi la coltivava, sconfiggendo una volta per tutte il latifondo, la
mezzadria ed ogni altro sfruttamento di altri del lavoro agricolo prestato.
La promessa
fu creduta da un esercito che oltre il 70% era composto da contadini. Il
ragionamento del soldato-contadino era semplice: se sopravvivo a questa guerra,
ho un futuro sulla mia terra; se muoio questa andrà ai miei figli. Gli
Austriaci furono fermati, e poi sconfitti. La Guerra fu vinta. Nel 1919 Giulio
Douhet, uno dei pensatori più insigni del novecento italiano, propone una idea
che era rivoluzionaria. Tutte le guerre hanno un vincitore e dall’antichità
questo vincitore era il Generale, il Dux, che ha diritto al bottino. I Romani
gli decretavano il trionfo in Campidoglio e tutte le ricchezze che aveva
conquistato. Douhet propone che il vero vincitore della Grande Guerra sia l’umile soldato, per giunta ignoto, che
ha dato tutto e in cambio non ebbe nemmeno una croce. Nasce l’Idea del Milite
Ignoto. Ognuno di noi conosce i dettagli di questa proposta che si realizza dal
28 ottobre al 4 novembre 1921.
Il Soldato è
scelto fra undici soldati ignoti e, con tutto il popolo che partecipa, viene accompagnato a Roma e sepolto ai piedi
del padre della Patria, Vittorio Emanuele II.
IL Risorgimento era compiuto. Il Padre aveva fatto l’Italia, il figlio aveva
fatto gli Italiani.
All’indomani delle celebrazioni bisognava
passare ai fatti. Il Re doveva mantenere la sua promessa. Gli anni violenti del
primo dopoguerra si inaspriscono. Le classi agiate non accettano che i profitti
di guerra siano divisi fra tutte le classi; gli agrari e i latifondisti si
mobilitano. I partiti di sinistra rispondono con la medesima violenza.
In pratica si doveva affrontare il nodo
agrario, in una Italia sostanzialmente agricola e pre-industriiale. La
questione era sul tappeto dall’Unità d’Italia. Brixio a Bronte da una
dimostrazione di come la borghesia intende mantenere i suoi privilegi, viene poi
Andrea Costa ed il socialismo in Romagna e la tassa del macinato, a cui si
risponde nel 1996 con i cannoni di Bava Beccaris. La settimana rossa ha,
soprattutto in Romagna, una base di rivendicazione contadina, anche se i
comunisti di oggi la rivendicano in quel solco di interpretazioni della storia
già scelto dai fascisti di appropriarsi di valori e meriti altrui.
La terra
deve rimanere ai padroni e i contadini devono solo lavorare. Una delle cause
per cui esponenti della sinistra progressista vogliono la guerra, tra cui
Filippo Corridoni, è la speranza che con la guerra si riesca lì dove gli
scioperi di oltra un decennio avevano fallito.
Ora il tempo
era arrivato: il Re aveva promesso l’8 novembre 1917 e doveva mantenere la sua
parola, in quanto la guerra era stata vinta, e vinta dal soldato ignoto, espressione
delle classi inferiori, soprattutto quella contadina
Il nodo da
sciogliere era la mezzadria, uno strumento in cui, come vedremo in note
successive, portando esempi di famiglie contadine di Osimo sia il mezzadro che
il piccolo proprietario terriero, nonostante durissimo lavoro che impegnava la
sua famiglia allargata, non riusciva a trova un benchè minimo reddito per se,
dovendo daer la metà dei profitti al
“padrone” che forniva “il capitale” ovvero la terra e che si sottraeva il più
delle volte ad uno dei suoi obblighi più importanti, quello di apportare
miglioramenti e strumenti innovativi. IL risultato era una sostanziale povertà
generale, sia degli uni che, relativamente, degli altri.
Le famiglie
cosiddette benestanti di Osimo basavano tutta la loro ricchezza sulla
agricoltura, non essendo possibile considerale le oltre 35 filande che erano
presenti sul territorio osimano una attività industriale vera e propria. In
quel 1921 le speranze, attraverso le cerimonie del Milite Ignoto, in cui da una
parte si vedeva che i sacrifici fatti avevano dato i suoi frutti come
costruzione della Unità Nazionale, ma ora era arrivato il momento di affrontare
le questioni economiche e quindi dare un senso a questi sacrifici, dall’altra,
inorgogliti dannunzianamente nella vittoria, ferreamente e graniticamente si
voleva mantenere lo “status quo”.
La
partecipazione alle cerimonie in Osimo del Milite Ignoto, come nel resto delle
Marche e del Paese, fu massiccia, ognuno
in cuor suo allevando la speranza che il futuro fosse migliore degli anni
appena passati.
Nessun commento:
Posta un commento