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venerdì 10 giugno 2022

Osimo e la Questione Agraria 1.

 


 Osimo e la Questione Agraria. /1

Il Milite Ignoto vincitore della Grande Guerra. Il significato Politico

 

Le Celebrazioni per il 1° centenario della traslazione del Milite Ignoto hanno portato alla luce uno degli snodi più importanti e difficili della Storia d’’Italia: la soluzione della questione agraria. Sembra un paradosso, ma in una analisi anche superficiale questo collegamento è lapalissiano.

Nel momento più tragico delle giornate seguite a Caporetto, il Re in un proclama all’Esercito ed alla Nazione in toni chiari e precisi prometteva che, se si fosse resistito, e l’Italia fosse uscita ancora unita dalla guerra in corso e vittoriosa, avrebbe affrontato la questione agraria. Ovvero avrebbe dato la terra a chi la coltivava, sconfiggendo una volta per tutte il latifondo, la mezzadria ed ogni altro sfruttamento di altri del lavoro agricolo prestato.

La promessa fu creduta da un esercito che oltre il 70% era composto da contadini. Il ragionamento del soldato-contadino era semplice: se sopravvivo a questa guerra, ho un futuro sulla mia terra; se muoio questa andrà ai miei figli. Gli Austriaci furono fermati, e poi sconfitti. La Guerra fu vinta. Nel 1919 Giulio Douhet, uno dei pensatori più insigni del novecento italiano, propone una idea che era rivoluzionaria. Tutte le guerre hanno un vincitore e dall’antichità questo vincitore era il Generale, il Dux, che ha diritto al bottino. I Romani gli decretavano il trionfo in Campidoglio e tutte le ricchezze che aveva conquistato. Douhet propone che il vero vincitore della Grande Guerra  sia l’umile soldato, per giunta ignoto, che ha dato tutto e in cambio non ebbe nemmeno una croce. Nasce l’Idea del Milite Ignoto. Ognuno di noi conosce i dettagli di questa proposta che si realizza dal 28 ottobre al 4 novembre 1921.

Il Soldato è scelto fra undici soldati ignoti e, con tutto il popolo che partecipa,  viene accompagnato a Roma e sepolto ai piedi del padre della Patria, Vittorio Emanuele II.  IL Risorgimento era compiuto. Il Padre aveva fatto l’Italia, il figlio aveva fatto gli Italiani.

 All’indomani delle celebrazioni bisognava passare ai fatti. Il Re doveva mantenere la sua promessa. Gli anni violenti del primo dopoguerra si inaspriscono. Le classi agiate non accettano che i profitti di guerra siano divisi fra tutte le classi; gli agrari e i latifondisti si mobilitano. I partiti di sinistra rispondono con la medesima violenza.

 In pratica si doveva affrontare il nodo agrario, in una Italia sostanzialmente agricola e pre-industriiale. La questione era sul tappeto dall’Unità d’Italia. Brixio a Bronte da una dimostrazione di come la borghesia intende mantenere i suoi privilegi, viene poi Andrea Costa ed il socialismo in Romagna e la tassa del macinato, a cui si risponde nel 1996 con i cannoni di Bava Beccaris. La settimana rossa ha, soprattutto in Romagna, una base di rivendicazione contadina, anche se i comunisti di oggi la rivendicano in quel solco di interpretazioni della storia già scelto dai fascisti di appropriarsi di valori e meriti altrui.

La terra deve rimanere ai padroni e i contadini devono solo lavorare. Una delle cause per cui esponenti della sinistra progressista vogliono la guerra, tra cui Filippo Corridoni, è la speranza che con la guerra si riesca lì dove gli scioperi di oltra un decennio avevano fallito.

Ora il tempo era arrivato: il Re aveva promesso l’8 novembre 1917 e doveva mantenere la sua parola, in quanto la guerra era stata vinta, e vinta dal soldato ignoto, espressione delle classi inferiori, soprattutto quella contadina

Il nodo da sciogliere era la mezzadria, uno strumento in cui, come vedremo in note successive, portando esempi di famiglie contadine di Osimo sia il mezzadro che il piccolo proprietario terriero, nonostante durissimo lavoro che impegnava la sua famiglia allargata, non riusciva a trova un benchè minimo reddito per se, dovendo daer la metà dei profitti  al “padrone” che forniva “il capitale” ovvero la terra e che si sottraeva il più delle volte ad uno dei suoi obblighi più importanti, quello di apportare miglioramenti e strumenti innovativi. IL risultato era una sostanziale povertà generale, sia degli uni che, relativamente, degli altri.

Le famiglie cosiddette benestanti di Osimo basavano tutta la loro ricchezza sulla agricoltura, non essendo possibile considerale le oltre 35 filande che erano presenti sul territorio osimano una attività industriale vera e propria. In quel 1921 le speranze, attraverso le cerimonie del Milite Ignoto, in cui da una parte si vedeva che i sacrifici fatti avevano dato i suoi frutti come costruzione della Unità Nazionale, ma ora era arrivato il momento di affrontare le questioni economiche e quindi dare un senso a questi sacrifici, dall’altra, inorgogliti dannunzianamente nella vittoria, ferreamente e graniticamente si voleva mantenere lo “status quo”.

La partecipazione alle cerimonie in Osimo del Milite Ignoto, come nel resto delle Marche e del Paese,  fu massiccia, ognuno in cuor suo allevando la speranza che il futuro fosse migliore degli anni appena passati.

 

 

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