Osimo negli anni
trenta. Comune rurale.
Osimo al 31 dicembre 1928, come visto nel precedente
articolo, aveva una popolazione che ammontava a 20448 abitanti, di cui 1/3
entro le mura, in quello che oggi definiremo il centro storico, e a ridosso
delle mura con il suo borgo, una parte sparsa nella campagna, in abitazioni
poderali, e il rimanente agglomerata in sei piccoli centri campagnoli, la cui
popolazione era per lo più composta da artigiani, piccoli proprietari terrieri
non autonomi che integrano le loro rendite o con il pascolo abusivo, integrato
anche con la raccolta abusiva di legna o concedendo i propri servizi alla
popolazione rurale; assenti, se non
sporadicamente, operai nel tradizionale senso della parola.
Filippo Scarponi, da cui traiamo dalla sua tesi di Laurea queste
note, da una interessante valutazione sulla indole di questa popolazione, molto
accademica e di maniera, come si conveniva nel mondo accademico di allora.
Viene detto che le vicende politiche del passato, riferito questo passato al
biennio rosso 1919-1921e nei anni immediatamente successivi “se pure non hanno trovato nel Comune degli
attori ferventi”[1]
non si notato retaggi di sorta e tracce profonde. Un effimero modo accademico per
indicare mesi ed anni di profondo contrasto, risolto nel modo che tutti
sappiamo e che negli anni trenta ancora non era stato completamente assorbito.
Un contrasto che apparentemente si era risolto, ma sotto la cenere il fuoco
covava, che riprese con vigore all’indomani della crisi armistiziale e nella
lotta di liberazione, punteggiata da episodi alcuni anche tragici. Negli anni
trenta la rassegnazione aveva preso il sopravvento. “ Si lavora la terra, in silenzio, si attendono i suoi frutti, nulla si
chiede e si cerca di raggiungere il risultato massimo con i propri mezzi”. Ci
si trova di fronte, secondo Filippo Scarponi, innanzi “ ad una delle schiette espressioni del popolo Piceno, di questo popolo
sobrio e laborioso che rimane, molte volte per incoscienza, chiuso nella sua
potenzialità, attendendo che altri pensano innanzi a lui e lo lasciano
costantemente nell’ombra.” Una interessante osservazione se si pensa che
Ancona è dorica, con un confine etnico ben marcato, tutta protesa verso il mare
ed i suoi commerci, con a nord oltre Agugliano il confine con popolazioni di
influenza gallica, con riferimento Senigallia, tutti abitanti che negli anni
trenta mostrarono più irrequietezza politica e meno acquiescenza. Non vi è lo
spazio per altre considerazioni, ma si comprende come Osimo abbia sempre
guardato più verso l’interno, verso Roma, che verso il capoluogo che rimaneva,
ieri come oggi, distante ed in tante componenti, estraneo.
“Il carattere di Osimo
negli anni trenta è essenzialmente agrario, in esso si vive per l’agricoltura,
per esso si lavora, da essa si mangia. Definisco in tal modo il Comune, poiché
pur essendovi delle industrie queste sono strettamente legate alla campagna,
che fornisce loro la materia prima da trasformare- Tale industrie, però,
interessano solamente la popolazione paesana che vi trova lavoro fatta
eccezione di una concessione di tabacco ove si manipola il prodotto ed in cui,
stagionalmente vengono impiegate numerose donne, nella maggioranza appartenenti
a famiglia contadine. Parecchie altre piccole industrie vivono nel Comune, ma
rasentano l’artigianato e tutte hanno come compito di fornire i materiali più
svariati ai contadini.”
Le sedi di queste piccole industrie artigianali degli anni
trenta oggi o sono state trasformate oppure, purtroppo lasciate a se stesse e
deturpano l’arredo urbano. Basta guardare anche dall’alto quella che è l’area
dell’ex lavatoio o sotto le mura di Via Cinque Torri per avere una qualche
riferimento. Un tubo di stufa che ancora rimane ed esce solitario di quel
tratto di archi di mura è struggente, quasi un invito a rivitalizzare e
riutilizzare questi spazi. In molti
paesi dell’Umbria, in simili contesti, queste sedi sono state trasformate in
bar, punti di ritrovo, luoghi per mostre e intrattenimento che arricchiscono
l’offerta turistico-culturale ma soprattutto danno all’arredo urbano un livello
più accettabile. Osimo, come comune rurale, sapeva trovare soluzioni che oggi
rimangono solo auspicabili.
[1] Il corsivo è tratto da Filippo Scarponi, Il colono mezzadro ed il piccolo
proprietario coltivatore in un comune
rurale di una provincia marchigiana, Tesi di Laurea, Anno Accademico 1929
-1930
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