massimo coltrinari
Notizie,documenti, contributi,riguardanti la Storia di Ancona e delle Marche.Inoltre contributi e note alla Storia Militare delle Marche sotto l'egida del Comitato Scientifico del Club Ufficiali Marchigiani. E' spazio esterno del CESVAM - Istituto del Nastro Azzurro per la collaborazione il CUM. (Info: centrostudicesvam@istitutonastroazzurro.org)
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venerdì 15 dicembre 2017
Un Bell'Incontro all'UNUCI
Augusto Staccioli martedi 12 dicembre 2017 alla sede dell'Unuci di Ancona, Via Cialdini 1, ha presentato il volume di Massimo Coltrinari dedicato alla Grande Guerra (1915). (Indicazioni sul volume in www.storiainlaboratorio.blogspot.com).
L'incontro ha avuto successo: oltre agli ufficizali in concedo vi erano soci della Associazione marinai e sopratutto della Associazione paracadutisti, di cui Staccioli, generale che ha passato la sua vita militare come paracadutista, è Presidente.
Presente l'autore, i prossimi incontri saranno dedicati alle ricerche in corso sulla Grande Guerra, sopratutto a particolari settori come la prigionia di guerra, il serizio di spionaggio, la propaganda, le attività dietro alle linee nemiche ed alle truppe speciali, come i raparti d'assalto e a quello particlare denominato "caimani del Piave", di cui nel primo dopo guerra fu fatto un film interessante.
L'Accademia di Oplologia e Militaria, attraverso il suo Presidente Ossidi ha ringraziato tutti per la partecipazione e per l'interessante dibattito che ne è seguito.
domenica 5 novembre 2017
lunedì 23 ottobre 2017
lunedì 2 ottobre 2017
martedì 19 settembre 2017
Lo Scontro di Castelfidardo Anniversario
Alla presenza di autorità civili e militari, si è svolta a Castelfidardo (AN) nel piazzale antistante il sacrario-ossario dedicato ai caduti della battaglia del 18 settembre 1860, la celebrazione del 157° anniversario della battaglia.
A ricordare gli oltre seicento decorati della battaglia di Castelfidardo, in prima fila era presente una delegazione del Nastro Azzurro Provinciale con il Presidente Mondaini.
Dopo l'alzabandiera, l'inno nazionale e quello della regione Marche, sono intervenuti il Sindaco e la rappresentante del Prefetto D.ssa Calcagnini, il Commissario dell'Istituto di Storia del Risorgimento Italiano Dott.Tronca e l'Assessore Pieroni dell'Ente Regione per rimarcare l'alto significato della ricorrenza e ricordando che il Museo Risorgimentale di Castelfidardo è attualmente l'unico attivo nelle Marche.
Massimo Ossidi
lunedì 18 settembre 2017
mercoledì 12 luglio 2017
domenica 9 luglio 2017
martedì 23 maggio 2017
Ancona, 11 Giugno 2017 ore 17,30
L'Accademia di Oplologia e MIlitaria,
presenta, in occasione dei 90 anni di Padre Girolamo,
Servo di Maria educatore, e assistente scout, di generazioni di anconetani
in suo omaggio
presenta il volume di
Felice Signoretti,
Scritti ed Interventi
Le esperienze di una vita dedicata alla educazione dei giovani attraverso la testimonianza di un vecchio scout
Ancona,
Museo della Città, Piazza del Plebiscito 1
Domenica 11 giugno 2017 ore 17,30
venerdì 5 maggio 2017
venerdì 21 aprile 2017
Comprendere la Grande Guerra
ISTITUTO
DEL NASTRO AZZURRO
FRA
COMBATTENTI DECORATI AL V.M.
Presidenza
Nazionale
Centro
Studi sul Valore Militare
INVITO
Giovedì 27 aprile
2017 ore 17
In occasione della Giornata del
Decorato che si terrà ad Arezzo il 28-30 aprile 2017
Il Presidente Nazionale
Gen. Carlo Maria Magnani
Ha l’onore di invitare la S.V.
AL V
INCONTRO CON L’AUTORE
Tommaso
Gramiccia
Che presenterà il Volume
Comprendere la Grande Guerra
Dal Primo al Secondo anno di
guerra 1915-1916
Atti del convegno in occasione della Giornata del Decorato
Salò 23-24 aprile 2016
Saranno presenti i
Curatori, Massimo Coltrinari e Giancarlo
Ramaccia
ROMA
Presidenza Nazionale Nastro Azzurro Sala
Maggiore
Piazza Galeno 1 . V.le
Regina Margherita
centrostudicesvam@istitutonastroazzurro.org
giovedì 20 aprile 2017
Saluto alla Reclute.
DISTRETTO DI RECLUTAMENTO DI ANCONA
La Nostra Grande Guerra 1915-1918.
Il saluto augurale del Comandante del Distretto alle Reclute partenti
Ancona Museo Civico Comunale
COL NOME FATIDICO D'ITALIA E DI ANCONA SULLE LABBRA E NEL CUORE,
LA VITTORIA SARA' CON VOI E PER VOI
CON QUESTO AUGURIO, PARTITE!
COL.........
Paritoclare. La folla delle reclute ascolta il discorso del
Colonnello Comandante il Distretto Militare di Ancona
Cimelio esposto alla mostra
"Ancona nella Grande Guerra"
Polveriera del Cardeto
2015-2016
mercoledì 5 aprile 2017
La Grande Guerra in provincia di Macerata. Il 1915
di massimo coltrinari*
La
provincia di Macerata, nel 1915, presenta suoi caratteri particolari nel
contesto della Grande Guerra. La provincia si presenta molto chiusa in se
stessa, con una popolazione dedita principalmente alle sue occupazioni, con una
visione che non va oltre la stretta cerchia del luogo in cui si vive, con
sporadici contatti con quelli limitrofi. La struttura economico-sociale è una
buona chiave d lettura per comprendere come questa provincia, sostanzialmente
amorfa rispetto ai grandi temi che agitavano il 1915, abbia poi partecipato
senza battere ciglio ed in massa alla Guerra, ai suoi sacrifici, alle sue
privazioni. L’economia della provincia era prevalentemente agricola di tipo
mezzadrile, con artigianato diffuso e piccola impresa, segnata da un fortissimo
radicamento alle tradizioni, al ritmo di vita sempre uguale, ove ancora sono
presenti i segni di oltre quattro secoli di dominio pontificio; una economia
che si appoggiava ai piccoli borghi, chiusi in se stessi, protetti e molto
lontano da ogni vicenda politica di interesse nazionale. In pratica la
provincia era ferma ad una realtà ottocentesca, gelosa delle proprie
tradizioni, fiera custode del rispetto delle gerarchie sociali, fortemente
rispettosa del nobilato locale, con il “Patrone” nella sua più ampia eccezione che era la centro di ogni relazione, molto
restia da ogni cambiamento. E pur vero che il capoluogo, Macerata, e qualche centro
sul litorale erano animati da fermenti alimentati dalle forze politiche,
cattoliche, repubblicane, socialiste, radicali che riflettevano i temi del
momento, ma nella sostanza tutto era ovattato, marginalizzato, in un
immobilismo ancorché fatalista apprezzato ed accettato. Iniziative non
mancavano, la presenza di associazioni cooperative e società di mutuo soccorso
movimentavano un quadro sociale che prometteva bene, ma la realtà
socioeconomica alla dichiarazione di guerra era sostanzialmente ferma ai canoni
sopra detti. Una provincia controllata ed ubbidiente, che rispetto alle altre
della regione non preoccupava soverchiamente le Autorità.
Emerge
in questo contesto il carattere peculiare della provincia: l’adesione totale
alla guerra, una volta dichiarata e accettazione della guerra per tutta la
durata della medesima. Furono richiamati, in linea con il dato regionale, oltre
il 90% dei maschi in età militare, un dato che ha inciso profondamente nella
realtà socio-economica. Ci si sarebbe aspettato una qualche forma di
opposizione consistente, in una situazione che toglieva tutta la forza lavoro
su cui si basava l’economia della provincia: invece l’adesione fu totale. Se si
considera che la zona costiera era stata dichiarata zona di operazioni e quindi
interdetta a tutte le attività non compatibili con le operazioni belliche ha
visto il territorio della provincia spegnere diverse attività nella zona del
litorale, mentre all’interno si diffondeva squallore, desolazione e miseria,
depauperato come era dalla forza lavorativa principale. Una comunità fortemente
rurale, la più mezzadrile d’Italia, che viveva in un isolamento fisico e
culturale con il concetto di Patria e di nazione limitato alla propria
collettività, che in pochi mesi vide cambiamenti radicali, diede una risposta
univoca, di partecipazione ed adesione alla guerra in modo integrale. Il
richiamo delle classi di leva, maggiormente quelle dal 1889 al 1897, si svolse
in modo disciplinato e senza opposizioni di sorta. Non vi furono conseguenze ne
contraccolpi durante tutta la guerra; li si ebbero nel primo dopoguerra, in cui
questa società ribollì di aspettative deluse e di rancori, fino a sfociare nel
fascismo che tutto incanalò nei suoi dettami per la presa del potere.
Questo
dato positivo di totale adesione alla guerra è ancora più interessante se si
prende in considerazione il fatto che questa popolazione nei mesi precedenti la
dichiarazione di guerra era, nella sua stragrande maggioranza, neutralista,
indifferente se non ostile nei confronti di un conflitto come quello europeo
che non si sentiva proprio, distante dai propri interessi. Lo scontro tra
neutralisti ed interventisti si svolse per lo più nel capoluogo e nei
principali centri, mentre le campagne erano intente alle loro occupazioni.
L’attacco dell’Austria alla Serbia, anche nella provincia innescò tensioni e
confronti che erano allo stato latente, iniziando a spostare gli equilibri politici
locali. Scrive Irene Massi:
“In parziale antitesi con quanto emerso nel
resto della regione, l’area maceratese vide l’emergere di tendenze nazionaliste
ed irredentiste che finirono per avvicinare sia la parte liberale
tendenzialmente filo-giolittiana, con una tendenza anomala rispetto al resto
del territorio regionale, che quella radical-democratica, che vedeva nel
conflitto l’occasione per abbattere il deprecato sistema giolittiano, unendo
quindi, al suo interno, soggetti portatori di visione politiche differenti e
sostanzialmente contrapposte, unite da una comune febbre bellica. Posizioni a
cui si contrapponeva il neutralismo del movimento cattolico, che preferì nel
tempo accostarsi alla linea politica del governo, e da una parte i socialisti, divisi,
a Macerata, tra la componente riformista di Lamberto Antolisei, che aderì al
fascio interventista e divenne in seguito presidente del locale Comitato di
Mobilitazione civile, e quella massimalista di Concetto Machella, ancorata su
rigide posizioni pacifiste.”[1]
Queste
contrapposizioni si evidenziarono in vari eventi e manifestazioni pubbliche,
come quella del dicembre 1914 in cui a Macerata fu fortemente contestato Cesare
Battisti. Mentre a Roma, i rappresentanti maceratesi si adeguavano alla politica
del governo senza se e senza ma, a livello locale emersero figure interessanti,
in quella meta del 1915, che danno un po’ di colore alla vita politica
maceratese. Figure che ebbero modo di
esprimersi attraverso i giornali locali[2], che in
gran parte crearono il clima favorevole per giustificare ed allo stesso tempo
motivare il superamento della neutralità,
come quella di Arturo Mugnoz e Vincenzo Cento.[3]
Arturo
Mugnoz è il prototipo di giovani borghesi, intellettuali, che volevano la
guerra per risolvere i problemi del momento. Lasciate le posizioni neutraliste,
era giunto a criticare fortemente il sistema politico giolittiano; la guerra,
secondo la sua idea, era lo strumento idoneo per il superamento della crisi
politico-istituzionale che paralizzava la politica italiana; strumento che
avrebbe permesso di completare il processo risorgimentale e la attuazione di
quelle idealità che erano alla base. Un impegno che combatteva il sistema
trasformista che impediva all’Italia una reale crescita politica e culturale.
La sua attività fu emblematica per avere una idea del clima che si era andato
formando nella primavera del 1915 nella provincia.
Alla
immediata vigilia del conflitto si era costituto a Macerata, e subito se ne
costituì un altro a Pollenza, Il Comitato di mobilitazione civile, che avevano
come attività principale la promozione dell’arruolamento volontario, l’attività
a prevenire l’azione di spie e collaboratori nemici, i primi passi per
l’assistenza ai militari al fronte. Grazie anche a questi Comitati che la
notizia della dichiarazione di guerra fu accolta con entusiasmo. I giornali
riportano, nei giorni successivi alla dichiarazione di guerra, le cronache
delle manifestazioni popolari che si svolsero, oltre che nel capoluogo, anche
nei centri della provincia, promosse dai Comitati di mobilitazione civile.
Queste manifestazioni si ebbero, oltre che a Macerata, a San Ginesio,
Tolentino, Treia, Porto Recanati, Caldarola, Civitanova Marche, San Severino,
Monte San Giusto. Manifestazioni che oltre ad esaltare le virtù patrie
promuovevano raccolta fondi per i combattenti, serate di beneficenza, attività
varie tutte volte a dare una immagine di una comunità che accettava la guerra e
credeva nella sua breve e trionfale vittoria.
La
notizia del bombardamento di Porto Potenza Picena, quindi nel territorio della
provincia, fu accolta con ferma virilità, non produsse, insieme a quelle del bombardamento
delle altre città delle Marche, gli effetti che gli Austriaci si aspettavano,
ovvero di rivolta e contrapposizione tra popolazione ed autorità, ma
suscitarono l’effetto contrario, ovvero determinazione per arrivare ad una
vittoria che in molti credevano imminente.
Sui
muri delle varie cittadine comparvero, oltre ai manifesti di mobilitazione, anche
quelli inneggianti ai valori patri, alla sicura certezza della vittoria,
all’unità ed alla concordia, oltre che a riferimenti ben chiari al Risorgimento
nazionale, che si doveva completare con la guerra appena dichiarata.
I
Consiglio Comunali divennero le tribune di questo desiderio di unità. Il
Sindaco di Macerata, nella prima seduta dopo la dichiarazione di guerra non
esitò a proclamare che si doveva accettare ogni cosa, anche quelle che non si
comprendevano; si sarebbe discusso a guerra terminata e vittoria conseguita. La
deputazione Provinciale.
Arturo
Mugnoz, non poteva non essere coerente con se stesso, arruolatosi volontario,
al momento di andare al fronte, in un
editoriale di commiato, pubblicato su “La Preparazione” del 6 giugno 1915 dal
titolo “Dalla penna al fucile”
scrisse “ “Avremo fatto il nostro dovere
se fra qualche mese potremo die di aver saputo usare il fucile così bene come
la penna.”
Il
clima creato dagli interventisti non poteva, come nelle altre provincie delle
Marche, avere dei rivolti contro i nemici interni, alle presunte spie ai
disfattisti. “La Preparazione” si lancio nei mesi successivi alla dichiarazione
di guerra, in una campagna veramente violenta contro tutto quello che si
riferiva all’Austria ed alla Germania. Si arrivò anche a forme che sfioravano
il razzismo, come la proposta di rispedire in Germania ed in Austria i
professori che insegnavano lingua tedesca. Accanto a queste forme i sospetti
erano alimentati nei confronti dei sacerdoti, in genere accusati di neutralità
e di aderenza alle idee vaticane favorevoli alla cattolica Austria.
Il
clima di euforia ed esaltazione patriottica non poteva però in quei mesi del
1915 nascondere la realtà. I primi sintomi della crisi dell’agricoltura dovuta
alla partenza dei contadini richiamati già si fece sentire con la vendemmia del
1915; la sospensione della pesca in Adriatico mise in crisi San Benedetto del
Tronto.
*centrostudicesvam@istitutonastroazzurro.org
[1]
Manzi I., Il Maceratese, in Piccinini
G. (a cura di), Le Marche e la Grande
Guerra. 1915-1918, Ancona, Assemblea Legislativa delle Marche, Istituto per
la Storia del Risorgimento Italiano. Comitato Provinciale di Ancona, 2008, pag.
159.
[2] Qui si possono citare “La
Partecipazione”, interventista e “L’Energia”, pur interventista, “L’Unione”
espressione dei liberali locali, “Il Cittadino”, di tendenze conservatrici ed
ispirazione cattolica. Accanto a questi periodici, come fonte per avere dato
riguardanti questo periodo vi sono gli
“Atti del Comitato di Mobilitazione Civile di macerata”, atti custoditi presso
l’Archivio di Stato di Macerata.
[3] Interessante notare che in vari
giornali, ma soprattutto su “la Preparazione” apparvero scritti di epoca
risorgimentale contestualizzati alla realtà contingente. Lettere di Giuseppe
Verdi scritte al tempo della guerra franco-prussiana furono utilizzate per
creare odio verso l’Austria e la Germania; il Centenaro ella battaglia di
Tolentino, che cadeva nel 1915, ed i moti del 1817, furono utilizzati per
giustificare una scelta, quella interventista ritenuta non solo utile ma
necessaria.
martedì 4 aprile 2017
93° Reggimento fanteria: la partenza da Ancona per il fronte
Alberto
Recanatini riguardo la partenza da Ancona del 93° Reggimento fanteria così scrive:
“Molti giovani della provincia ( di Ancona,
n.d.a) e sopratutto i paesi limitrofi della città, ricevuta la cartolina di
mobilitazione, furono avviati alla caserma del 93° (Reggimento fanteria) e
cucirono sulla loro giubba la mostrina del Reggimento che era gialla con due
righe rose. Qualche giorno prima della dichiarazione di guerra, una mattina
presto del maggio 1915, i tre battaglioni del 93°, completi nei ranghi,
uscirono, una compagnia dietro l’altra, dalla porta principale della caserma
Villarey e dal passo carraio verso via Cardeto; poi percorrendo via
Indipendenza, attraversarono la città addormentata e si avviarono verso la
stazione. Il quartiere era ormai abituato al passo cadenzato dei soldati, ma
quella mattina, sotto il peso dello zaino affardellato e con l’equipaggiamento
di guerra, esso era particolarmente greve. Quelli che ancora dormivano si
svegliarono e corsero alle finestre per guardare quel fiume interminabile di
gioventù che andava a morire.
Molti
hanno raccontato che si commossero per il silenzio grave che c’era
in quel corteo, interrotto solo dai comandi secchi degli ufficiali che
camminavano a lato delle compagnie e dei plotoni. Sembrava che andassero ad una
parata militare, come tante altre volte; sembravano i preparativi per la
sfilata della prossima festa dello Statuto che ricorreva il due giugno, ma
tutti capirono che non era una parata dal tascapane gonfio di bombe, dalle
giberne straboccanti di caricatori, dalle vanghette di traverso degli zaini per
scavare le trincee, dagli occhi smarriti delle reclute. Portavano la morte
negli zaini. Portavano la morte nel
cuore e “nella gola il pianto dell’ultimo addio”.
Da questo si riconosce un reggimento che va
in guerra più che dai trepiedi della mitraglia sopra gli zaini dei puniti. E
portavano la loro bandiera di guerra in testa al corteo. Quella che di solito
sta nella stanza del Colonnello Comandante il quale la custodisce come il
vestito per un giorno di festa per poi tornare a riporta tutta sgualcita e
strappata.
Tra questi soldati che marciavano zaino in
spallate taluni con il fucile più lungo
di loro, tanti ce n’erano di Camerano. C’era Spadari Mario che morirà il 30
giugno alla Rocca di Monfalcone, c’era Simonetti Clemente che cadrà il 4
agosto, c’era Scandali Ciriaco che morirà appena rientrato dalla prigionia,
c’era Lucesole Amedeo che morirà all’Ospedale Militare di Verona il 3 gennaio
1916.
E c’era Recanatini Raimondo, col destino della sua “prima pallottola”, un
destino che si sarebbe compiuto il 10 giugno 1915 tra pochi giorni appena.
Alcuni di quelli di Ancona, che passavano
presso le loro case guardavano per l’ultima volta verso le finestre: il viso
delle madri teso a cercare tra i tanti, tutti uguali, il figlio suo. Il volto
serio e composto del padre. La gabbiola del canarino attaccata alla persiana. I
panni stesi ad asciugare, il vaso dei gerani pericolosamente in bilico sul
davanzale. La finestra chiusa della ragazza del cuore. (Accidenti se glielo
avessi detto che l’amavo adesso avrei meno tristezza. Le scriverò). Qualche
passante si ferma in istrada a guardare. Passa il Novantreesimo. Parte il
Novantatreesimo con in gola il piano dell’ultimo addio.
Raggiunge la stazione dove si sta formando
la tradotta. Una locomotiva ansimante in testa ad un lungo interminabile treno
di vagoni. La voce che il reggimento parte si è sparsa per la città e molti
familiari corrono alla stazione. Alcuni soldati che sono già sul treno saltano
giù per l’ultimo abbraccio, questa volta senza armi e senza zaino, ma nella
stretta dei corpi le giberne piene di caricatori fanno dolore. Alcuni sergenti
gridano di risalire sui vagoni; altri fanno finta di non vedere e con gli occhi
cercano anche loro qualcuno tra la gente. I reali carabinieri cercano di
impedire che la folla si avvicini al treno, ma più ci riescono i mucchi di
materiale di guerra del reggimento ammassati sul marciapiede pronti da caricare
sui vagoni di coda. I preparativi per la partenza sono lunghi ed estenuanti,
poi con un acuto fischio e getti di vapore della locomotiva il treno si muove
con sussulti che sembrano scrollare dall’anima ogni malinconia. Molti salutano
dai finestrini, ma i più preferiscono non guardare fuori e ricacciano in gola la tristezza dell’addio.
Altri ostentano indifferenza, giocando a carte. Il treno lasciò la stazione pesante
ed ansimante. La gente, non più trattenuta dai carabinieri, irruppe sul
marciapiede e lo guardava allontanarsi lento lungo il binario: si augurava che
non arrivasse mai alla frontiera e che
almeno fosse finita la guerra prima che vi arrivasse. Poi lentamente tornò in
città. In fondo a via Indipendenza il portone della caserma era rimasto
spalancato sul cortile vuoto. Come la casa di un morto per chi ritorna dal
camposanto dopo l’accompagno”[1]
[1]
Recanatini A., Di che brigata sei? La mia
ha i colori di Camerano. Storie e racconti di soldati cameranesi nella Prima
Guerra Mondiale. 1914-1918, Camerano, Comune di camerano Biblioteca di
Camerano, 1994.
sabato 1 aprile 2017
La Grande Guerra in Provincia di Ancona 1915
Nella
provincia di Ancona[1] la
guerra si presentò senza alcun ritardo, immediatamente , con il bombardamento che la Flotta austriaca effettuò all’alba del
primo giorno di guerra, il 24 maggio 1915[2]. I
Centri colpiti della provincia furono, oltre Ancona, Senigallia e Porto Potenza
Picena, e fu attaccato da idrovolanti l’aeroscalo di Jesi. Ancona subì i danni
maggiori. L’attacco austriaco, eseguito senza preavviso o segni premonitori e
con straordinaria tempestività, colsi di sorpresa la città in moto totale,
anche perché era stata dichiarata “città indifesa” in base alla Convenzione
dell’Aja del 1907. Anche per questo Ancona la notte dell’attacco aveva tutte le
luci accese e non vi era alcuna disposizione per l’oscuramento, cosa che diede
adito ad equivoci ed isterie, come vedremo più avanti.
Un
attacco che fu portato al cuore della Regione con il preciso intento di
provocare una rivolta della popolazione contro le autorità sia locali che
nazionali, rivolta che avrebbe ostacolato e non poco la mobilitazione in atto e
che poteva estendersi in modo incontrollato mettendo l’Italia in gravissima
difficoltà fin dai primi momenti di guerra. Un attacco contro una popolazione
che ancora ignorava compiutamente la nuova situazione di guerra, ma che il
nemico sapeva nei dettagli che in gran parte era ostile alla Monarchia, al
Governo alle Istituzioni, come gli eventi della “settimana rossa” dell’anno
precedente facevano ben comprendere. Un attacco le cui conseguenze furono di
notevole portata, poche materiali, morali e psicologiche in una popolazione
impreparata alla guerra, ma non tali da tradursi in aperta e palese ribellione
armata.
La
popolazione marchigiana, ed in particolare quella di Ancona, fu scioccata e
sgomenta da tanta inaspettata violenza e questo senso di sgomento perdurò molto
nel tempo; fu una brutale doccia fredda, una brusca e concreta presa di
coscienza ella nuova realtà della guerra, che nessuno immaginava così reale e
repentina, dopo tante esaltanti parole ed entusiasmi collettivi. Gli effetti
non materiali del bombardamento li si ebbero anche nei paesi dell’immediato
retroterra e nell’area collinare e montana. A Jesi, al centro della provincia,
l’azione degli idrovolanti austriaci nella stessa mattina del 24 maggio, che
avevano come obiettivo l’aeroscalo dei dirigibili, produsse nella popolazione
jesina gli stessi effetti di quella di Ancona, così come quella di
Senigallia e Porto Potenza Picena,
colpite da fuoco nemico.
La
reazione all’attacco andò nella direzione opposta a quella che si aspettavano
gli Austriaci. In Ancona la sera stessa del 24 maggio si diede vita ad una
partecipata manifestazione patriottica a cui parteciparono migliaia di persone
che diedero vita ad un lungo corteo che si sviluppò tra l’Albergo della
Vittoria, che ospitava il comando militare distrettuale e le sedi consolari.
Può essere considerata questa manifestazione la risposta all’azione nemica, ed
anche il punto di partenza di quella mobilitazione civile, sostenuta in prima
fila dai repubblicani, che nella città e nella provincia fu particolarmente
ampia e le donne si segnalarono per la partecipazione in massa al
confezionamento degli indumenti militari al punto che la provincia di Ancona
risultò negli anni di guerra la terza provincia d’Italia per numero di capi
confezionati.
A
Falconara, dieci chilometri a nord di Ancona, all’alba del 24 maggio si udirono
sordi rumori provenienti da Ancona. Subito la popolazione capì che Ancona era
sotto attacco, ed alcuni avevano scorto torpediniere appostate proprio al largo
di Falconara. La reazione della popolazione fu improntata alla paura: i giovani
e gli anziani si radunarono nel prado dove
oggigiorno si trova il cosiddetto Balcone del Golfo, mentre i padri di famiglia
e le donne con i figli più piccoli fuggirono verso le campagne. Immaginavano
quello che stava accadendo senza il riscontro di una comunicazione ufficiale di
qualsiasi tipo. “Sarà Masseria, il
fattore, a dare la notizia della dichiarazione di guerra fra l’Italia e
l’Austria, per mezzo di un cartello affisso al portone della propria
abitazione, sita in via Leopardi 6, oggi via Pier Battista Farinelli.”[3]
Come prima reazione a questa
situazione, il Comune decise di colorare di blu tutte le lampadine
dell’illuminazione pubblica, per favorire l’oscuramento nel timore di nuovi
attacchi nemici.
Ad
Osimo, venticinque chilometri all’interno, il bombardamento di Ancona fu accolto
con sgomento e costernazione in quanto nessuno aveva mai sentito in vita sua il
tuono di un cannone nemico. Osimo aveva visto militari durante la “settimana
rossa dell’anno precedente, quando una compagnia di alpini arrivò da Bologna e
piazzò mitragliatrici nei punti nodali di Osimo. Ben presto la situazione torno
alla calma e dopo una quarantina di giorni gli alpini rientrarono nella loro
sede, ma la cittadina visse giorni inquieti a seguito di denunce, arresti ed
imputazioni a carico di 11 indiziati. Gli echi di quegli avvenimenti non si era
ancora spenta che anche in Osimo si accende sempre più lo scontro tra
neutralisti ed interventisti. Il prof. Romiti lascia la direzione della
“Sentinella delle marche”, il giornale di Osimo, che passa sotto il controllo
degli interventisti, mantenendo la sua linea anticlericale a sfondo massonico.
Nonostante tutto, la censura colpisce il giornale in vari momenti e spesso esce
con ampi spazi bianchi. Secondo Mons. Grillantini, storico osimano,
“l’aria, sino dagli inizi dell’anno, si fa
greve: le grida di “Abbasso l’Austria” e di “Viva la Francia” si fanno sentire
anche nell’aula delle sedute consigliari…. Nelle piazze le manifestazioni si
svolgono anche di sorpresa, purché se ne presenti l’occasione. Ricordiamo noi
di esserci trovati presenti ad una di queste, durante un servizio bandistico
per la festa della Pietà e di aver visto degenerare le cose in un tafferuglio,
nel quale intervenne la forza pubblica, che arrestò alcuni tra i più scalmanati
e tra essi il geom. Mario Ionna, ufficiale di complemento.”[4]
Questa
situazione, che è comune nella gran parte dei centri della provincia, non è la
migliore per affrontare la realtà della guerra. Ed Osimo né un esempio
lampante. Apprese sommarie notizie, a
sera si diffonde per tutta la cittadina un senso di euforia collettiva, per
essere stata diffusa la voce che la squadra austriaca che aveva attaccato
Ancona era stata attaccata, battuta e mal ridotta da unità della nostra Flotta,
che l’aveva attesa in alto mare. Grillanti così riporta quella sera del 24
maggio ad Osimo:
“Fuori le bandiere! Fu un grifo solo. Suono
di campane, corteo, grida, discorsi da trionfatori. Il rettore del “Campana” (noto
collegio di studio di Osimo, n.d.a) prof.
Fenici che è restio ad esporre la bandiera, osservando che sarebbe opportuno
aspettare la conferma ufficiale, è obbligato a piegarsi alle non garbate
imposizioni. Il mutismo dei giornali del mattino seguente gli diede ragione.
Ma, come da un lato si iniziò quella nuova aura di accuse di neutralismo, o peggio
di austriacantismo, così dall’altra si cercò di minare la posizione del Fenici,
accusato di intesa con i tedeschi. Il Fenici domandò un’inchiesta; e, per
quanto il Comune ed il Provveditore ne lo sconsigliassero, insiste presso il
Ministero. Risultò che il Fenici aveva tenuto corrispondenza con qualche
letterato tedesco solo per ragioni di studio; e si trattava di corrispondenza
di vecchia data, e nient’altro. Avuta la sua soddisfazione e garantita la sua
onorabilità, il Rettore, che altra volta aveva avuto offerte dal Collegio Nolfi
di Fano, e ora le aveva sollecitate, piantò in asso Collegio e Osimani, e dopo
un Rettorato provvisorio del Collegio Nazionale di terni, andò ad assumere il
rettorato del Nofi, né più lo vedemmo”[5]
Gli
effetti del bombardamento radicalizzarono tante situazioni che la vita civile e
sociale ne fu segnata per tutta la durata della guerra.
A
Senigallia, l’attacco austriaco[6] inflisse un duro colpo alla indifesa
popolazione: morirono 21 persone di cui 12 militari del 135° Battaglione della
Milizia territoriale in movimento su una tradotta militare diretta a Chieti
colpito poco prima che entrasse nella stazione senigalliese. LA reazione a
questo attacco fu incontrollata e numerosi contadini iniziarono a sfollare
verso l’interno ritenuto più sicuro ed anche in località extraregionali[7] , con
alcuni episodi di panico collettivo, sintono evidente della paura e
dell’angoscia che attanagliava la
popolazione. Il 26 maggio 1915, la
situazione era così grave a Senigallia, il sindaco, il repubblicano Aroldo
Belardi, faceva predisporre ed affiggere
il seguente manifesto:
Cittadini,
Una voce strana e maligna, non si sa come
diffusa, va serpeggiando per la città, recando l’annuncio che l’acqua
dell’acquedotto delle Selve sia stata avvelenata. Questa notizia, malamente
escogita allo scopo di diffondere l’allarme nella popolazione, è assolutamente
falsa e insussistente. Bastano a provarlo due fatti di evidenza palmare: il
primo, che una quantità rilevantissima di persone ha bevuto da ieri sera, (25
maggio 1915 , n.d.a.) , a stamane quell’acqua senza risentirne il menomo
disturbo; il secondo, che le chiusure tanto da presa alla sorgente, quanto del
Serbatoio di S. Gaudenzio sono state verificate completamente intatte, in guisa
da rendere impossibile qualsiasi attentato criminoso.”
La
situazione nella cittadina non era tranquilla se “il giorno dopo l’affissione di questo manifesto (27 maggio 1915), il sindaco rincarava la dose e ne firmava un
altro di forte intonazione patriottica con il quale ricordava che allo sfogo
della “barbarie nemica” sulla “ tranquilla ed inerme” replicavano i gloriosi
combattimenti dei soldati italiani sulla “ frontiera orientale”, che il “grave
dovere” da compiere come cittadini in quei difficili momenti consisteva nel
mantenersi “calmi e tranquilli” poiché la patria aveva bisogno non solo della
“forza delle armi” e del “ coraggio dei petti”, ma anche la “forza degli animi”
e della “disciplina degli spiriti”, che i cittadini dovevano riprendere “le
loro occupazioni”, rientrando negli opifici, riaprendo i negozi e tornando
ciascuno “in una parola al suo posto”; che era necessario placare
l’esasperazione, senza raccogliere “false notizie” su pericoli e “nemici
immaginari” che avrebbero solamente gettato nel panico la popolazione e che,
infine, le autorità civili e militari avevano ed avrebbero disposto misure
tempestive peer la tutela della “incolumità pubblica”.[8]
Anche
se non direttamente minacciate nel resto della popolazione il senso di sgomento
e di paura e di costernazione si radicò ben presto. In tutta la provincia, per
decenni successivi, le fonti orali ricordavano il senso di sgomento e di
angoscia che calò su tutti gli abitanti, indistintamente. Ognuno percepiva la
paura, non si sentiva protetto abbastanza, vedeva che poco o nulla era stato
fatto per contenere e respingere gli attacchi nemici e, passo molto breve, si
accusavano le Autorità sia civili ma soprattutto militari di non essere state
in grado di organizzare difese adeguate, dopo aver voluto la guerra a tutti i
costi. L’accusa, non tanto velata, che aleggiava in ogni dove era rivolta agli
interventisti, accusati di avventatezza, esaltazione e incoscienza. In parte
queste accuse venivano da coloro, vicini a coloro che non volevano la guerra o
veri e propri neutralisti che questa irresponsabilità, di cui si stava già
cominciando a pagarne il costo, stava mettendo a repentaglio l’esistenza della
stessa Nazione, solo per “liberare” Trento e Trieste.
massimo coltrinari
(centrostudicesvam@istitutonastroazzurro.org
[1] Per un quadro generale della provincia
vds. Anselmi S. (a cura di), La Provincia
di Ancona. Storia di un territorio, Bari, Laterza , 1987.
[2] Una ampia descrizione di questo evento
è stata riporta nel volume precedente. Cfr. Coltrinari M., Le Marche e la Prima Guerra Mondiale. 1915.Tanto interventiste quanto
indifese, Roma, Società Editrice Nuova Cultura, 2016, pag. 155 e segg.
[3] Campana G., Marinelli G., Dal Borgo alla Marina. Settant’anni della
Cassa Rurale ed Artigiana di Falconara, Falconara, Cassa Rurale ed
Artigiana Falconare, Editoriale del falco, 1982, pag. 20 e segg. Vds inoltre
Campana G., Marinelli L., Marinelli G., Sabbatini A., Vecchia Falconara, Falconara, Foto Club Falconarese, Comune di
Falconara, 1975.
[4] Grillantini C., Storia di Osimo. Vetus Auximon, Pinerono, Scuola Tipografica
Cottolengo, 1969 Vol. II, pag. 904.
[5] Ibidem
[6] Ibidem
[7] Amatori F., L’interventismo anconetano 1914-1915 in L’imperialismo italiano e la Jugoslavia, Atti del convegno
italo-jugoslavo, Ancona 14-16 ottobre 1977, Anglia, Urbino, 1974, pag. 174.
[8] Severini M., L’Anconetano, in Piccinini
G. (a cura di), Le Marche e la Grande
Guerra. 1915-1918, Ancona, Assemblea Legislativa delle Marche, Istituto per
la Storia del Risorgimento Italiano. Comitato Provinciale di Ancona, 2008.
venerdì 31 marzo 2017
Brigata Marche 55° e 56 Reggimento Fanteria. Estate 1915. Documentazione iconografica
Area di Operazioni della "Brigata Marche" nell'estate del 1915
I Fanti del 55° Reggimento della Brigata marche divelgono il cippo di confine
al Passo Tre Croci Cortina
Hotel Tre Croci Cortina
Ufficiali del 55° Reggimento Fanteria Marche II Battaglione
Maggio 1915
Base logistica della Brigata marche a Nord di Auronzo di Cadore Estate 1915
Monte Piana. Trincee austriache su Monte Piano
Ufficiali della Brigata Marche in Val Ansiei
Soldati del 56° Reggimento della Brigata Marche divelgono il cippo di confine alla testa della valle Ansiei
Fante del 55° Reggimento Fanteria Marche momentaneamente ai lavori agricoli
9 Agosto 1915. Funerale di un Ufficiale italiano Caduto sul Monte Piana
Reticlati austriaci a nord di Fiammes, sopra Cortina per la strada di Alemagna
info: centrostudicesvam@istituonastroazzurro. org
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