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sabato 1 aprile 2017

La Grande Guerra in Provincia di Ancona 1915




Nella provincia di Ancona[1] la guerra si presentò senza alcun ritardo, immediatamente , con il bombardamento  che la Flotta austriaca effettuò all’alba del primo giorno di guerra, il 24 maggio 1915[2]. I Centri colpiti della provincia furono, oltre Ancona, Senigallia e Porto Potenza Picena, e fu attaccato da idrovolanti l’aeroscalo di Jesi. Ancona subì i danni maggiori. L’attacco austriaco, eseguito senza preavviso o segni premonitori e con straordinaria tempestività, colsi di sorpresa la città in moto totale, anche perché era stata dichiarata “città indifesa” in base alla Convenzione dell’Aja del 1907. Anche per questo Ancona la notte dell’attacco aveva tutte le luci accese e non vi era alcuna disposizione per l’oscuramento, cosa che diede adito ad equivoci ed isterie, come vedremo più avanti.

Un attacco che fu portato al cuore della Regione con il preciso intento di provocare una rivolta della popolazione contro le autorità sia locali che nazionali, rivolta che avrebbe ostacolato e non poco la mobilitazione in atto e che poteva estendersi in modo incontrollato mettendo l’Italia in gravissima difficoltà fin dai primi momenti di guerra. Un attacco contro una popolazione che ancora ignorava compiutamente la nuova situazione di guerra, ma che il nemico sapeva nei dettagli che in gran parte era ostile alla Monarchia, al Governo alle Istituzioni, come gli eventi della “settimana rossa” dell’anno precedente facevano ben comprendere. Un attacco le cui conseguenze furono di notevole portata, poche materiali, morali e psicologiche in una popolazione impreparata alla guerra, ma non tali da tradursi in aperta e palese ribellione armata.
La popolazione marchigiana, ed in particolare quella di Ancona, fu scioccata e sgomenta da tanta inaspettata violenza e questo senso di sgomento perdurò molto nel tempo; fu una brutale doccia fredda, una brusca e concreta presa di coscienza ella nuova realtà della guerra, che nessuno immaginava così reale e repentina, dopo tante esaltanti parole ed entusiasmi collettivi. Gli effetti non materiali del bombardamento li si ebbero anche nei paesi dell’immediato retroterra e nell’area collinare e montana. A Jesi, al centro della provincia, l’azione degli idrovolanti austriaci nella stessa mattina del 24 maggio, che avevano come obiettivo l’aeroscalo dei dirigibili, produsse nella popolazione jesina gli stessi effetti di quella di Ancona, così come quella di Senigallia  e Porto Potenza Picena, colpite da fuoco nemico.
La reazione all’attacco andò nella direzione opposta a quella che si aspettavano gli Austriaci. In Ancona la sera stessa del 24 maggio si diede vita ad una partecipata manifestazione patriottica a cui parteciparono migliaia di persone che diedero vita ad un lungo corteo che si sviluppò tra l’Albergo della Vittoria, che ospitava il comando militare distrettuale e le sedi consolari. Può essere considerata questa manifestazione la risposta all’azione nemica, ed anche il punto di partenza di quella mobilitazione civile, sostenuta in prima fila dai repubblicani, che nella città e nella provincia fu particolarmente ampia e le donne si segnalarono per la partecipazione in massa al confezionamento degli indumenti militari al punto che la provincia di Ancona risultò negli anni di guerra la terza provincia d’Italia per numero di capi confezionati.

A Falconara, dieci chilometri a nord di Ancona, all’alba del 24 maggio si udirono sordi rumori provenienti da Ancona. Subito la popolazione capì che Ancona era sotto attacco, ed alcuni avevano scorto torpediniere appostate proprio al largo di Falconara. La reazione della popolazione fu improntata alla paura: i giovani e gli anziani si radunarono nel prado dove oggigiorno si trova il cosiddetto Balcone del Golfo, mentre i padri di famiglia e le donne con i figli più piccoli fuggirono verso le campagne. Immaginavano quello che stava accadendo senza il riscontro di una comunicazione ufficiale di qualsiasi tipo. “Sarà Masseria, il fattore, a dare la notizia della dichiarazione di guerra fra l’Italia e l’Austria, per mezzo di un cartello affisso al portone della propria abitazione, sita in via Leopardi 6, oggi via Pier Battista Farinelli.”[3]
Come prima reazione a questa situazione, il Comune decise di colorare di blu tutte le lampadine dell’illuminazione pubblica, per favorire l’oscuramento nel timore di nuovi attacchi nemici.

Ad Osimo, venticinque chilometri all’interno, il bombardamento di Ancona fu accolto con sgomento e costernazione in quanto nessuno aveva mai sentito in vita sua il tuono di un cannone nemico. Osimo aveva visto militari durante la “settimana rossa dell’anno precedente, quando una compagnia di alpini arrivò da Bologna e piazzò mitragliatrici nei punti nodali di Osimo. Ben presto la situazione torno alla calma e dopo una quarantina di giorni gli alpini rientrarono nella loro sede, ma la cittadina visse giorni inquieti a seguito di denunce, arresti ed imputazioni a carico di 11 indiziati. Gli echi di quegli avvenimenti non si era ancora spenta che anche in Osimo si accende sempre più lo scontro tra neutralisti ed interventisti. Il prof. Romiti lascia la direzione della “Sentinella delle marche”, il giornale di Osimo, che passa sotto il controllo degli interventisti, mantenendo la sua linea anticlericale a sfondo massonico. Nonostante tutto, la censura colpisce il giornale in vari momenti e spesso esce con ampi spazi bianchi. Secondo Mons. Grillantini, storico osimano,

l’aria, sino dagli inizi dell’anno, si fa greve: le grida di “Abbasso l’Austria” e di “Viva la Francia” si fanno sentire anche nell’aula delle sedute consigliari…. Nelle piazze le manifestazioni si svolgono anche di sorpresa, purché se ne presenti l’occasione. Ricordiamo noi di esserci trovati presenti ad una di queste, durante un servizio bandistico per la festa della Pietà e di aver visto degenerare le cose in un tafferuglio, nel quale intervenne la forza pubblica, che arrestò alcuni tra i più scalmanati e tra essi il geom. Mario Ionna, ufficiale di complemento.”[4]

Questa situazione, che è comune nella gran parte dei centri della provincia, non è la migliore per affrontare la realtà della guerra. Ed Osimo né un esempio lampante.  Apprese sommarie notizie, a sera si diffonde per tutta la cittadina un senso di euforia collettiva, per essere stata diffusa la voce che la squadra austriaca che aveva attaccato Ancona era stata attaccata, battuta e mal ridotta da unità della nostra Flotta, che l’aveva attesa in alto mare. Grillanti così riporta quella sera del 24 maggio ad Osimo:

Fuori le bandiere! Fu un grifo solo. Suono di campane, corteo, grida, discorsi da trionfatori. Il rettore del “Campana” (noto collegio di studio di Osimo, n.d.a) prof. Fenici che è restio ad esporre la bandiera, osservando che sarebbe opportuno aspettare la conferma ufficiale, è obbligato a piegarsi alle non garbate imposizioni. Il mutismo dei giornali del mattino seguente gli diede ragione. Ma, come da un lato si iniziò quella nuova aura di accuse di neutralismo, o peggio di austriacantismo, così dall’altra si cercò di minare la posizione del Fenici, accusato di intesa con i tedeschi. Il Fenici domandò un’inchiesta; e, per quanto il Comune ed il Provveditore ne lo sconsigliassero, insiste presso il Ministero. Risultò che il Fenici aveva tenuto corrispondenza con qualche letterato tedesco solo per ragioni di studio; e si trattava di corrispondenza di vecchia data, e nient’altro. Avuta la sua soddisfazione e garantita la sua onorabilità, il Rettore, che altra volta aveva avuto offerte dal Collegio Nolfi di Fano, e ora le aveva sollecitate, piantò in asso Collegio e Osimani, e dopo un Rettorato provvisorio del Collegio Nazionale di terni, andò ad assumere il rettorato del Nofi, né più lo vedemmo”[5]
Gli effetti del bombardamento radicalizzarono tante situazioni che la vita civile e sociale ne fu segnata per tutta la durata della guerra.
A Senigallia, l’attacco austriaco[6]  inflisse un duro colpo alla indifesa popolazione: morirono 21 persone di cui 12 militari del 135° Battaglione della Milizia territoriale in movimento su una tradotta militare diretta a Chieti colpito poco prima che entrasse nella stazione senigalliese. LA reazione a questo attacco fu incontrollata e numerosi contadini iniziarono a sfollare verso l’interno ritenuto più sicuro ed anche in località extraregionali[7] , con alcuni episodi di panico collettivo, sintono evidente della paura e dell’angoscia  che attanagliava la popolazione. Il 26 maggio  1915, la situazione era così grave a Senigallia, il sindaco, il repubblicano Aroldo Belardi, faceva predisporre ed affiggere  il seguente manifesto:

Cittadini,
Una voce strana e maligna, non si sa come diffusa, va serpeggiando per la città, recando l’annuncio che l’acqua dell’acquedotto delle Selve sia stata avvelenata. Questa notizia, malamente escogita allo scopo di diffondere l’allarme nella popolazione, è assolutamente falsa e insussistente. Bastano a provarlo due fatti di evidenza palmare: il primo, che una quantità rilevantissima di persone ha bevuto da ieri sera, (25 maggio 1915 , n.d.a.) , a stamane quell’acqua senza risentirne il menomo disturbo; il secondo, che le chiusure tanto da presa alla sorgente, quanto del Serbatoio di S. Gaudenzio sono state verificate completamente intatte, in guisa da rendere impossibile qualsiasi attentato criminoso.”  

La situazione nella cittadina non era tranquilla se “il giorno dopo l’affissione di questo manifesto (27 maggio 1915), il sindaco rincarava la dose e ne firmava un altro di forte intonazione patriottica con il quale ricordava che allo sfogo della “barbarie nemica” sulla “ tranquilla ed inerme” replicavano i gloriosi combattimenti dei soldati italiani sulla “ frontiera orientale”, che il “grave dovere” da compiere come cittadini in quei difficili momenti consisteva nel mantenersi “calmi e tranquilli” poiché la patria aveva bisogno non solo della “forza delle armi” e del “ coraggio dei petti”, ma anche la “forza degli animi” e della “disciplina degli spiriti”, che i cittadini dovevano riprendere “le loro occupazioni”, rientrando negli opifici, riaprendo i negozi e tornando ciascuno “in una parola al suo posto”; che era necessario placare l’esasperazione, senza raccogliere “false notizie” su pericoli e “nemici immaginari” che avrebbero solamente gettato nel panico la popolazione e che, infine, le autorità civili e militari avevano ed avrebbero disposto misure tempestive peer la tutela della “incolumità pubblica”.[8]

Anche se non direttamente minacciate nel resto della popolazione il senso di sgomento e di paura e di costernazione si radicò ben presto. In tutta la provincia, per decenni successivi, le fonti orali ricordavano il senso di sgomento e di angoscia che calò su tutti gli abitanti, indistintamente. Ognuno percepiva la paura, non si sentiva protetto abbastanza, vedeva che poco o nulla era stato fatto per contenere e respingere gli attacchi nemici e, passo molto breve, si accusavano le Autorità sia civili ma soprattutto militari di non essere state in grado di organizzare difese adeguate, dopo aver voluto la guerra a tutti i costi. L’accusa, non tanto velata, che aleggiava in ogni dove era rivolta agli interventisti, accusati di avventatezza, esaltazione e incoscienza. In parte queste accuse venivano da coloro, vicini a coloro che non volevano la guerra o veri e propri neutralisti che questa irresponsabilità, di cui si stava già cominciando a pagarne il costo, stava mettendo a repentaglio l’esistenza della stessa Nazione, solo per “liberare” Trento e Trieste.


massimo coltrinari
(centrostudicesvam@istitutonastroazzurro.org


[1]        Per un quadro generale della provincia vds. Anselmi S. (a cura di), La Provincia di Ancona. Storia di un territorio, Bari, Laterza , 1987.
[2]        Una ampia descrizione di questo evento è stata riporta nel volume precedente. Cfr. Coltrinari M., Le Marche e la Prima Guerra Mondiale. 1915.Tanto interventiste quanto indifese, Roma, Società Editrice Nuova Cultura, 2016, pag. 155 e segg.
[3]        Campana G., Marinelli G., Dal Borgo alla Marina. Settant’anni della Cassa Rurale ed Artigiana di Falconara, Falconara, Cassa Rurale ed Artigiana Falconare, Editoriale del falco, 1982, pag. 20 e segg. Vds inoltre Campana G., Marinelli L., Marinelli G., Sabbatini A., Vecchia Falconara, Falconara, Foto Club Falconarese, Comune di Falconara, 1975.
[4]        Grillantini C., Storia di Osimo. Vetus Auximon, Pinerono, Scuola Tipografica Cottolengo, 1969 Vol. II, pag. 904.
[5]        Ibidem
[6]        Ibidem
[7]        Amatori F., L’interventismo anconetano 1914-1915 in L’imperialismo italiano e la Jugoslavia, Atti del convegno italo-jugoslavo, Ancona 14-16 ottobre 1977, Anglia, Urbino, 1974, pag. 174.
[8]        Severini M., L’Anconetano,  in Piccinini G. (a cura di), Le Marche e la Grande Guerra. 1915-1918, Ancona, Assemblea Legislativa delle Marche, Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano. Comitato Provinciale di Ancona, 2008.

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