di massimo coltrinari*
La
provincia di Macerata, nel 1915, presenta suoi caratteri particolari nel
contesto della Grande Guerra. La provincia si presenta molto chiusa in se
stessa, con una popolazione dedita principalmente alle sue occupazioni, con una
visione che non va oltre la stretta cerchia del luogo in cui si vive, con
sporadici contatti con quelli limitrofi. La struttura economico-sociale è una
buona chiave d lettura per comprendere come questa provincia, sostanzialmente
amorfa rispetto ai grandi temi che agitavano il 1915, abbia poi partecipato
senza battere ciglio ed in massa alla Guerra, ai suoi sacrifici, alle sue
privazioni. L’economia della provincia era prevalentemente agricola di tipo
mezzadrile, con artigianato diffuso e piccola impresa, segnata da un fortissimo
radicamento alle tradizioni, al ritmo di vita sempre uguale, ove ancora sono
presenti i segni di oltre quattro secoli di dominio pontificio; una economia
che si appoggiava ai piccoli borghi, chiusi in se stessi, protetti e molto
lontano da ogni vicenda politica di interesse nazionale. In pratica la
provincia era ferma ad una realtà ottocentesca, gelosa delle proprie
tradizioni, fiera custode del rispetto delle gerarchie sociali, fortemente
rispettosa del nobilato locale, con il “Patrone” nella sua più ampia eccezione che era la centro di ogni relazione, molto
restia da ogni cambiamento. E pur vero che il capoluogo, Macerata, e qualche centro
sul litorale erano animati da fermenti alimentati dalle forze politiche,
cattoliche, repubblicane, socialiste, radicali che riflettevano i temi del
momento, ma nella sostanza tutto era ovattato, marginalizzato, in un
immobilismo ancorché fatalista apprezzato ed accettato. Iniziative non
mancavano, la presenza di associazioni cooperative e società di mutuo soccorso
movimentavano un quadro sociale che prometteva bene, ma la realtà
socioeconomica alla dichiarazione di guerra era sostanzialmente ferma ai canoni
sopra detti. Una provincia controllata ed ubbidiente, che rispetto alle altre
della regione non preoccupava soverchiamente le Autorità.
Emerge
in questo contesto il carattere peculiare della provincia: l’adesione totale
alla guerra, una volta dichiarata e accettazione della guerra per tutta la
durata della medesima. Furono richiamati, in linea con il dato regionale, oltre
il 90% dei maschi in età militare, un dato che ha inciso profondamente nella
realtà socio-economica. Ci si sarebbe aspettato una qualche forma di
opposizione consistente, in una situazione che toglieva tutta la forza lavoro
su cui si basava l’economia della provincia: invece l’adesione fu totale. Se si
considera che la zona costiera era stata dichiarata zona di operazioni e quindi
interdetta a tutte le attività non compatibili con le operazioni belliche ha
visto il territorio della provincia spegnere diverse attività nella zona del
litorale, mentre all’interno si diffondeva squallore, desolazione e miseria,
depauperato come era dalla forza lavorativa principale. Una comunità fortemente
rurale, la più mezzadrile d’Italia, che viveva in un isolamento fisico e
culturale con il concetto di Patria e di nazione limitato alla propria
collettività, che in pochi mesi vide cambiamenti radicali, diede una risposta
univoca, di partecipazione ed adesione alla guerra in modo integrale. Il
richiamo delle classi di leva, maggiormente quelle dal 1889 al 1897, si svolse
in modo disciplinato e senza opposizioni di sorta. Non vi furono conseguenze ne
contraccolpi durante tutta la guerra; li si ebbero nel primo dopoguerra, in cui
questa società ribollì di aspettative deluse e di rancori, fino a sfociare nel
fascismo che tutto incanalò nei suoi dettami per la presa del potere.
Questo
dato positivo di totale adesione alla guerra è ancora più interessante se si
prende in considerazione il fatto che questa popolazione nei mesi precedenti la
dichiarazione di guerra era, nella sua stragrande maggioranza, neutralista,
indifferente se non ostile nei confronti di un conflitto come quello europeo
che non si sentiva proprio, distante dai propri interessi. Lo scontro tra
neutralisti ed interventisti si svolse per lo più nel capoluogo e nei
principali centri, mentre le campagne erano intente alle loro occupazioni.
L’attacco dell’Austria alla Serbia, anche nella provincia innescò tensioni e
confronti che erano allo stato latente, iniziando a spostare gli equilibri politici
locali. Scrive Irene Massi:
“
In parziale antitesi con quanto emerso nel
resto della regione, l’area maceratese vide l’emergere di tendenze nazionaliste
ed irredentiste che finirono per avvicinare sia la parte liberale
tendenzialmente filo-giolittiana, con una tendenza anomala rispetto al resto
del territorio regionale, che quella radical-democratica, che vedeva nel
conflitto l’occasione per abbattere il deprecato sistema giolittiano, unendo
quindi, al suo interno, soggetti portatori di visione politiche differenti e
sostanzialmente contrapposte, unite da una comune febbre bellica. Posizioni a
cui si contrapponeva il neutralismo del movimento cattolico, che preferì nel
tempo accostarsi alla linea politica del governo, e da una parte i socialisti, divisi,
a Macerata, tra la componente riformista di Lamberto Antolisei, che aderì al
fascio interventista e divenne in seguito presidente del locale Comitato di
Mobilitazione civile, e quella massimalista di Concetto Machella, ancorata su
rigide posizioni pacifiste.”
Queste
contrapposizioni si evidenziarono in vari eventi e manifestazioni pubbliche,
come quella del dicembre 1914 in cui a Macerata fu fortemente contestato Cesare
Battisti. Mentre a Roma, i rappresentanti maceratesi si adeguavano alla politica
del governo senza se e senza ma, a livello locale emersero figure interessanti,
in quella meta del 1915, che danno un po’ di colore alla vita politica
maceratese. Figure che ebbero modo di
esprimersi attraverso i giornali locali
, che in
gran parte crearono il clima favorevole per giustificare ed allo stesso tempo
motivare il superamento della neutralità,
come quella di Arturo Mugnoz e Vincenzo Cento.
Arturo
Mugnoz è il prototipo di giovani borghesi, intellettuali, che volevano la
guerra per risolvere i problemi del momento. Lasciate le posizioni neutraliste,
era giunto a criticare fortemente il sistema politico giolittiano; la guerra,
secondo la sua idea, era lo strumento idoneo per il superamento della crisi
politico-istituzionale che paralizzava la politica italiana; strumento che
avrebbe permesso di completare il processo risorgimentale e la attuazione di
quelle idealità che erano alla base. Un impegno che combatteva il sistema
trasformista che impediva all’Italia una reale crescita politica e culturale.
La sua attività fu emblematica per avere una idea del clima che si era andato
formando nella primavera del 1915 nella provincia.
Alla
immediata vigilia del conflitto si era costituto a Macerata, e subito se ne
costituì un altro a Pollenza, Il Comitato di mobilitazione civile, che avevano
come attività principale la promozione dell’arruolamento volontario, l’attività
a prevenire l’azione di spie e collaboratori nemici, i primi passi per
l’assistenza ai militari al fronte. Grazie anche a questi Comitati che la
notizia della dichiarazione di guerra fu accolta con entusiasmo. I giornali
riportano, nei giorni successivi alla dichiarazione di guerra, le cronache
delle manifestazioni popolari che si svolsero, oltre che nel capoluogo, anche
nei centri della provincia, promosse dai Comitati di mobilitazione civile.
Queste manifestazioni si ebbero, oltre che a Macerata, a San Ginesio,
Tolentino, Treia, Porto Recanati, Caldarola, Civitanova Marche, San Severino,
Monte San Giusto. Manifestazioni che oltre ad esaltare le virtù patrie
promuovevano raccolta fondi per i combattenti, serate di beneficenza, attività
varie tutte volte a dare una immagine di una comunità che accettava la guerra e
credeva nella sua breve e trionfale vittoria.
La
notizia del bombardamento di Porto Potenza Picena, quindi nel territorio della
provincia, fu accolta con ferma virilità, non produsse, insieme a quelle del bombardamento
delle altre città delle Marche, gli effetti che gli Austriaci si aspettavano,
ovvero di rivolta e contrapposizione tra popolazione ed autorità, ma
suscitarono l’effetto contrario, ovvero determinazione per arrivare ad una
vittoria che in molti credevano imminente.
Sui
muri delle varie cittadine comparvero, oltre ai manifesti di mobilitazione, anche
quelli inneggianti ai valori patri, alla sicura certezza della vittoria,
all’unità ed alla concordia, oltre che a riferimenti ben chiari al Risorgimento
nazionale, che si doveva completare con la guerra appena dichiarata.
I
Consiglio Comunali divennero le tribune di questo desiderio di unità. Il
Sindaco di Macerata, nella prima seduta dopo la dichiarazione di guerra non
esitò a proclamare che si doveva accettare ogni cosa, anche quelle che non si
comprendevano; si sarebbe discusso a guerra terminata e vittoria conseguita. La
deputazione Provinciale.
Arturo
Mugnoz, non poteva non essere coerente con se stesso, arruolatosi volontario,
al momento di andare al fronte, in un
editoriale di commiato, pubblicato su “La Preparazione” del 6 giugno 1915 dal
titolo “Dalla penna al fucile”
scrisse “ “Avremo fatto il nostro dovere
se fra qualche mese potremo die di aver saputo usare il fucile così bene come
la penna.”
Il
clima creato dagli interventisti non poteva, come nelle altre provincie delle
Marche, avere dei rivolti contro i nemici interni, alle presunte spie ai
disfattisti. “La Preparazione” si lancio nei mesi successivi alla dichiarazione
di guerra, in una campagna veramente violenta contro tutto quello che si
riferiva all’Austria ed alla Germania. Si arrivò anche a forme che sfioravano
il razzismo, come la proposta di rispedire in Germania ed in Austria i
professori che insegnavano lingua tedesca. Accanto a queste forme i sospetti
erano alimentati nei confronti dei sacerdoti, in genere accusati di neutralità
e di aderenza alle idee vaticane favorevoli alla cattolica Austria.
Il
clima di euforia ed esaltazione patriottica non poteva però in quei mesi del
1915 nascondere la realtà. I primi sintomi della crisi dell’agricoltura dovuta
alla partenza dei contadini richiamati già si fece sentire con la vendemmia del
1915; la sospensione della pesca in Adriatico mise in crisi San Benedetto del
Tronto.
*centrostudicesvam@istitutonastroazzurro.org
[1]
Manzi I., Il Maceratese, in Piccinini
G. (a cura di), Le Marche e la Grande
Guerra. 1915-1918, Ancona, Assemblea Legislativa delle Marche, Istituto per
la Storia del Risorgimento Italiano. Comitato Provinciale di Ancona, 2008, pag.
159.