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venerdì 30 ottobre 2020

Ancona, Repubblica Marinara

 


Ogni occasione appare opportuna per sollevare questioni che si possono poi rivolgere a favore di Ancona. Ponendo subito sul tappeto il motivo del cotendere, ci si chiede perché Ancona, nella Storia Italiana, non sia considerata una delle sue repubbliche marinare, al pari di Venezia, Genova, Pisa ed Amalfi e quando sia ingiusto escluderla dal novero di queste repubbliche. Si legge sul Rizzoli-Larousse “Se si vuole parlare di Repubblicheper i Comuni medievali bisogna però vederle come Repubbliche oligarchiche; e spressioni di determinate classi politiche feudali o economiche e mercantili, come avvenne per alcune città marinare; ma anche per queste il termine di Repubblica nell’attuale accezione si può applica, forse, solo per Pisa, giacchè Venezia e Genova eran vere signorie ed Amalfi stava sotto il dominio del vescovo locale.” [1]

Non si può non concordare con il Baldoni quando asserisce che  Ancona, repubblica marinara “è una realtà (e) dobbiamo resuscitarla dinanzi ad un Italia a volte disattenta sui valori storici attendibili. La città di Ancona è stata una Repubblica marinara. Ne fanno fede storici autorevoli. Le galee della Repubblica marinara anconitana. Sempre si legge nel Rizzoli Larousse “contendevano ai Saraceni, ai Normanni ed a Venezia il commercio adriatico. Compresa poi nella Marca, dal 1177 godette delle libertà comunali”[2]

Spazio non vi è in questo lavoro per approfondire questo interessantissimo argomento, che però diamo per scontato. Lo stesso Santini non sembra avere subbi in proposito. Scrive, ad introduzione del suo volume[3] “Emul e rivale della Repubblica veneziane, Ancona, nel secolo VIV si era affermata in potenza nell’Adriatico ed in Oriente, ove ambasciatori, consoli e mercanti avevano attenuto privilegi ed accumulate ricchezze. Accordi, alleanze ed aicizie garantivano il benessere acquistato; milizie di terra e di mare, flotta munita ed armi in gran copia ne tutelavano la libertà ed il prestigio. Prospera e fiorente, la città di accrebbe in tale periodo, si rafforzò e si abbellì e, pur rivolgendo le sue migliori attività ai commerci ed alle industrie, seppe concedere adeguato impulso alle arti, ed alle scienze ed agli studi; sicchè cittadini di ingegno e di dottrina poterono affermarsi, in varia misura, nel campo della politica, nel campo religioso, scientifico, letterario, guerresco. Periodo questo ascensionale, cui succede, nella seconda metà del secolo XIV un ciclo di avversità e di lotte, culminato nel 1383 nella vittoria che concederà ad Ancona la libertà già menomata da un trentennale e più soggezione. Delle vicende tumultuose ed irrequiete che inquadrano questo periodo storico, ne sarà fatto cenno narrando degli avvenimenti anconitani ma solo sinteticamente, che una trattazione adeguata ci condurrebbe assai lungi dal nostro proposito”.[4]

La prosperità di Ancona come repubblica marinara iniziò ad essere compromessa per dissidi interni. Nle 1342 ad Ancona scoppiò una rivolta delle classi meno abbianti contro le classi nobili e le arti maggiori. A differenza delle altre città della Marca che avevano una economia prevalentemente agricola, Acona aveva una economia diversificata ove le classi meno abbienti avevano conquistato posizioni di rileivo nel campo dei commerci e della navigazione. La vecchia nobiltà che teneva da lungo tempo il monopolio degli affari e che basava la sua ricchezza sulle proprietà terriera nel contado, aveva da sempre occupato i posti di prestigio e di dominio nella amministrazione della libera Repubblica. Di fronte a questa situazione, in cui l’inevitabile evoluzione dei ceti inferiori iniziava a minare il potere, mettava in atto tutte quelle misure atte a soffocare le aspirazioni delle clasi popolari che ormai si setniva parte integrante e necessaria ed inostituibile della vita politica ed economica di Ancona. Inevitabile lo scontro. La rivolta scoppioò inevitabilmente ed i popolo prese il potere, uccise una parte dei nobile e molti di questi furogo costretti alla fuga, con l’inevitabile corollario di violenze e saccheggi delle case dei fuoriusciti.

Scrive il Leoni

avidi della vendetta quei nobili macchinarono contro la  Patria (Ancona) ed unitesi al capitan Simone di Corrado il quale era a capo di 300 cavalieri, oltre a molti riminesi e lombardi, per tradimento di acuni dei nostri loro adrent entrarono in città in tempo di notte. Accortesi appena gli Anconitani del tradimento, illuminarono subitamente tuta la città, ed armatesi vennero a zuffa con quei ribaldi. Fu un sanguinoso ed ostinato azzuffamento, ma ventuo giorno furon costrtti i traditori a darsi alla fuga, lasciando 200 morti, in fa li quali ancora il loro capitano Simone.”[5]

Ma la questione non sembra essere finita qui. Nonostante che il Senato di Ancona cercasse di riportare ordne e calma, cercando di superare gli odi, i nobili fuoriusciti  trovarono accoglienza e rifugio presso Maniotto di Messer Thoma di Jesi, tiranno di Rosora.

Irritati gli Anconetani spedirono colà delle truppe e preso d’assalt Rosora a ferro e fuoco andò in ruina, trasportando in Ancona le porte e le campane di quell’odiato castello.”[6]

Ritronata la pace sociale Ancona andò incontro a giorni tristi perdendo per tutto il cinquantennio successivo la propria libertà che conquisto proprio con la distruzione della Rocca di San Cataldo nel 1583.

Il testo che si può prendere a riferimento per questo periodo è quello di Oddo di Biagio, che il Baldini descrive come testimone diretto e parte attiva dei fatti stessi, mentre  Gualteiro Santini lo cita in bibliografia, anche in modo indiretto.[7]

La debolezza di Ancona, che cadde in mano straniere nei decenni successivi, è da imputarsi inizialmente  a calamità naturale. La pestilenza che aveva colpito l’Italia centro-settentrionale non risparmiò Ancona, pestilenza che uccise i  nove decimi della popolazione di Ancona. A tale disastro si aggiunse, il 13 luglio del 1348, un incendio di vastissime dimensioni che distrusse Ancona[8] per la maggior parte.[9] Venne in soccorso Giovanni de Messer Pagnone de Cunis con 300 uomini, da Congoli, che per questa sua benemerenza fu eletto Podestà, che in que clima di disastri, morì dopo tre mesi e fu sepolto nella cattedrale di San Ciriaco. Al suo posto fu eletto Messer Bortole, il figlio.

La rivolta delle classi non nobili, la peste e l’incendio, non potuto contrastare per pochezza di mezzi e eid uomini, avevano così indebolito Ancona che era alla mercè di chi avesse un minimo di potere.

La Marca settentrionale era dominata a quel tempo dal Signore di Rimini Malatesta dei Malatesti e da suo fratello Gualtiero. Questi, conosciuto lo stato di Ancona, anche per l’azione di alcuni Nobili e di alcuni fuoriusciti politici a causa dei fatti della rivolta del 1342,  ed anche grazie  ad accordi segreti ed al tradimento del Comandante della Rocca di San Cataldo, tale Vanni da Tolentino, nella notte fra il 6 ed il 7 dicembre 1848 si impadronirono della città. Alcune case furono saccheggiate, ma Malatesta fece restiture e risarcire i proprietari ed iniziarono una occupazione non tirannica e dispotica.

Fu un episodio importante perché Ancona, che fino al 1342 godeva di ricchezze ed era florida, in pochi anni perse non solo il suo potere economico ma anche le sue libertà; unica città della Marca fino a quel fatal 1348 aveva resisto ai tiranni, ma a causa della rivolta popolare dovuta alla ottusità di una nobiltà ancorata al passato e gelosa delle sue prerogative, alla pestilenza, che aveva in pratica decimato quasi totalmente la sua popolazione e a causa di un incendio che non fu possibile contenere e domare data la scarsità degli uomini rilevandosi quindi devastante,  causa anche di alcuni suoi figli non certo migliori, cadde sotto il gioco del tiranno, nella fattispecie Malatesta dei Malatesti da Rimini, il cui dominio, con la conquista di Ancona, si stendeva da Pesaro ad Ascoli occupando tutta la Marca.[10]

Dal 1348 al 1355 I Malatesta presero ogni misura per potenziare Ancona. Fortificarono e potenziarono la Rocca di San Cataldo, costruirono un'altra Rocca, oggi scomparsa, dove oggi è piazza del Forte, ovvero dove sorgeva Porta di Capodimonte, e, nella cintura esterna di Ancona fortificarono Paterno.[11] Nel 1349, citando il Leoni, si ha notizia della costruzione di un castello “lungo la strada maestra” denominato le Torrette da Liberio Bonarelli[12], che negli anni successivi fu distrutto dall’azione del mare; nell’area vi rimasero un gruppo di case con la chiesa parrocchiale, che conservò il nome delle Torrette.[13] Da queste brevi note sembra, quindi, che l’attuale località delle Torrette abbia questo nome, anche se nel 1860, al momento della invasione sarda la zona era denominata anche “Torretta”.

Data la scasità della popolazione, i Malatesta fecero ogni sforzo per attirare persone in Ancona e ripopolarla: furono promulgati bandi e leggi che accordavano prebende, privilegi ed ogni agevolazione a chi si fosse stabilito in Ancona. Queste predisposizioni stavano avendo successo quando, nel 1349 scoppiò di nuovo la pestilenza, portata sembra dai nuovi venuti, che però cessò quasi subito e non ebbe ulteriori conseguenze.

massimo coltrianri

 

 



[1] Baldoni C. Ancona Repubblica Marinara, in Rivista Marittima, Anno CXXVIII, Novembre 1995, pag. 85 e segg.

[2] ibidem

[3] Santini G., La Rocca Papale di San Cataldo, Ancona, S.T.A.P.A., Via Farina n. 41, Telefono 3-35, Ancona, s.d.

[4] Il testo tra “ “ si intende tratto dal volume del Santini, riportato come se il Santini stesso parlasse a noi ed ai nostri eventuali, che crediamo assai ridotti nel numero dato il tema che andiamo ad esporre, lettori, i ui di 27 di manzoniana memoria sembrano folla rispetto a quelli che noi pensiamo di avere. Questo anche perché la frequentazione dell’”anconitano” medio non lascia scampo a forme anche ristrette di ottimismo.

[5] Leoni A., Ancona Illustrata,Bologna, Arnaldo Forni Editore, 1987. Questa edizione è la copia anastatica delll’opera originale, che così si presenta: “Ancona Illustrata, opera dell’Abbate Antonio Leoni Anconitano, colle risposte ai Sigg. Peruzzi, PIghetti ecc., ed il compedio delle Memorie Storiche d’Ancona capitale della Marca Anconitana etc. dedicata e benignamente accettata fino al 9 novembre 1829, alla Maestà Cristianissima di Carlo X, Re di Francia e di Navarra, Pacificatore della Spagna, Protettore dei Greci, Conquistatore d’Algeri etc., etc, in Ancona MDCCCXXXII, dalla Tipografia Baluffi. Con Supp. Approv.”

[6] Leoni A., Ancona Illustrata, cit.

[7] Bernabei L., Croniche Anconitane, a cura di Carisio Ciavarini (contiene la cronaca dell’Oddo di Biasio (Biagio), Ancona, Tipografia del Commercio, 1870.

[8] Palermo Giangiacomi asserisce che in questo incendio andò perduto l’archivio . “Quindi la storia medioevale di Ancona ha molte lacune, che potranno empire solamente gli archivi di Venezia, Dalmazia e paesi marchigiani”. Giangiacomi P., Storia di Ancona. Dalla sua fonazione ai giorni nostri,Ancona, Libreria Editrice Giuseppe Fogola, 1923, pag 21

[9] Decidere se mettere la descrizione dell’incendio di Oddo di Biagio.

[10] Decidere se mettere la citazione del Saracini

[11] Paterno  descrizione della lovalità

[12] Questi doveva essere un “collaborazionista” dei Malatesta. Scrive Leoni “Non temerei di credere che questo Bonarelli abbia cooperato all’invasione dei Malatesti, perciocché avendo avuto la facoltà di fabbricare un castello con torri sotto gli usurpatori Malatesti, altri non poteva essere che un di lui benemerito confidente; tanto più che è cosa notoria avere i Malatesti donoato varie case a chi coopeò alla sua malvagia e perfida operazione.” Leoni A., Ancona Illustrata, cit., pag.166

[13] Leoni A., Ancona Illustrata, cit., pag.166

 

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