Ancona Piazzaforte Pontificia
1. La Piazzaforte di Ancona nello Stato Pontificio. La storia. 2. Le opere principali della Piazzaforte. 3. Il nemico è a conoscenza di tutti i dettagli della Piazzaforte 4. I miglioramenti della Piazzaforte del de La Moricière dall’aprile al settembre 1860. 5. I dati tattici della Piazzaforte: il terreno e le comunicazioni,i punti tatti, l’armamento. 6. La Guarnigione, la consistenza teorica e quella effettiva. 7. Le Caserme. 8. Il Vettovagliamento. 9. Il Morale
Massimo Coltrinari
2. Le opere
principali della Piazzaforte
Le opere principali della piazzaforte di Ancona ebbero
origine nella loro struttura che troveremo nel 1860 nel momento in cui Ancona
perse la sua indipendenza e divenne piazzaforte pontificia, intorno al 1530.
All’inizio del 1500 il tracciato delle mura
risaliva sostanzialmente al XIV secolo e l’impianto fortificatorio al
XIV secolo. Ancona era chiusa da queste mura e questa realtà noi la troviamo
ancora nel 1860. Una brillante descrizione delle mura è data in Ancona Pontifica. L’ottocento, un inventario
urbano, che riportiamo:
“Essa cominciava
da est col baluardo dei Cappuccini (1547) al quale faceva seguito il baluardo
di San Pietro (1542). Al di sotto di questo e rivolta in direzione dell’attuale
via Matteotti, s’apriva
La cinta
muraria che da Porta Calamo saliva verso San Francesco ad Alto (attuale sede
del Distretto Militare[2]) era munita di torri
del XV secolo, mentre sul colle di Capodimonte dominava la fortezza del
Sangallo (1532-43) col retrostante campo trincerato (seconda metà del XVI
secolo).
Sempre nel
Cinquecento risaliva la linea fortificatoria di tutta la zona a mare dell’Astagno,
sia lungo le pendici di Porta Pia (eretta nel 1789) sia nel tratto litoraneo
che da questa giunge alla chiesa di Sant’Agostino, con i baluardi di Santa
Lucia (presso l’attuale Porta Pia) e di Sant’Agostino (eretto nel 1566-
La cinta
muraria a protezione del porto, nel tratto che circa dall’attuale scalo
Vittorio Emanuele (aperto dal generale pontificio de La Moriciére) arrivava
fino all’arsenale era ancora quello sostanzialmente quella medioevale, il
baluardo di San Primiano era stato eretto nel
La cinta muraria di Ancona, che sviluppava circa
Primo settore.
(terrestre)
Il forte dei Cappuccini[4] aveva
tutte le difese, ovvero le artigliere,
rivolte verso il mare, verso levante per proteggere la linea di costa;
la sua spalla destra batteva la falda occidentale di monte Cardetto, e
fiancheggiava il bastione di San Pietro[5],
verso la regione della valle degli Orti.
Sul crinale del Monte dei Capuccini era, all’epoca
dell’assedio, posizionato un telegrafo che doveva essere del genere “ottico”
inventato dal francese Chappe, sulla fine del secolo precedente. Era costituito
da “torri dotate di bracci mobili e snodabili, la cui posizione costituisce il
codice delle lettere; vengono osservate da una torre successiva (probabilmente
su Monte Conero) e ritrasmessi in analogo modo” Nel 1859 sulla vetta del colle
si collocò la prima pietra del grande faro “alla Fresnel” che ha funzionato
fino alla costruzione dell’attuale faro.[6] Il
faro fu un elemento chiave della difesa pontificia di Ancona. Permise agi
assediati di comunicare all’esterno la loro volontà di resistere; se si voleva
aiutarli e correre loro in aiuto, Ancona era in mano pontificia.
Collegato ad esso, mezzo miglio più avanti del forte
dei Cappuccini, vi era l’opera di difesa di monte Cardetto. Constatava di un
fronte bastionato, con rivellino; era rivestita nelle facce da una muratura
alla Carnot e chiusa, a partire dagli angoli alle spalle andando fino alla
mezza luna, da una solida palizzata; aveva azione diretta sulla piana degli
Orti e sulle alture di Santo Stefano e monte Pulito; il suo mezzo bastione di
sinistra poteva fiancheggiare la scogliera, quello di destra, mediante una
strada coperta, faceva sistema con la cinta della piazza sotto il cavaliere dei
Cappuccini[7]
Il bastione di San Pietro era la naturale prosecuzione
dei bastioni del Forte dei Cappuccini e dava sostegno e protezione alla porta
Farina.[8]
Il collegamento tra il sistema dei Capuccini e la
Fortezza sull’Astagno era assicurato, come detto, da una cinta muraria su cui
si aprivano le Porte Farina[9] e
Calamo[10] e si
collegava al complesso di San Francesco
ad Alto[11],
munita di torri del XV secolo.
Secondo settore. (terrestre)
Era composto dalla Cittadella e dal Campo Trincerato.[12] La
Cittadella[13] era il grande ridotto della Fortezza e
constata di quattro fronti irregolari, bastionate e, spalleggiando la destra
della cinta, collegava le difese terresti del primo e del secondo settore con
quelle del terzo, ovvero le difese marittime mediante il tratto di mura che
arrivava fino a Porta Pia.
A rinforzare la Cittadella vi era il Campo Trincerato[14], che
era una grossa opera a corno composta di tre fronti di buona muratura. Per
meglio adattarsi al terreno, il Campo Trincerato si avanzava verso la campagna
anche in modo consistente, con saliente assai acuto. Fiancheggiava, da
occidente, le difese della cinta incrociando i tiri delle sue artigliere con
quelli dei Cardetto; batteva frontalmente l’altura di monte Marino e la strada
che procede dal solco della Baracola; s’appoggia a destra alla strada coperta
della cortina ovest della Cittadella, in modo tale da poter battere con il suo
fuoco le pendici di monte Scrima, la strada per Osimo e il borgo Pio.
Terzo settore
(marittimo)
La fronte a mare della piazzaforte presentava notevoli
debolezze; la componevano alcuni parapetti di pietra dei bastioni pressoché
scoperti fino al piede sbrecciati per gli ordinari usi dei servizi del porto.
Tale fronte era appoggiato, guardando dal mare, sulla destra al complesso Porta
Pia, bastione Santa Lucia, Lazzaretto;
questo complesso era collegato tramite la cinta muraria con la porta di
Capodimonte[15] la spianata di
Capodimonte e
Nella cinta muraria a mare due erano i punti forti: il
bastione di Santa Lucia, che faceva sistema con Porta Pia ed il Lazzaretto, e
il bastione di Sant’Agostino; il primo era armato da tre pezzi da 18 ed il
secondo da un solo pezzo dello stesso calibro.[18]
Quarto
settore (marittimo)
Appoggiato sulla sinistra, da chi guarda la città dal
mare, il fronte di difesa della piazzaforte si appoggiava al molo[19] nord
dove, come punto forte, vi era il Forte della Lanterna[20] e la
Lanterna[21]; il forte era a tre facce
e a due piani, l’uno in barbetta armato di 4 pezzi, l’altro casamattato con 8
pezzi. Più arretrata al porto, sul molo, trovavasi la batteria della Sanità[22],
armata da 3 pezzi, che fiancheggiava le difese interne del molo ed il rovescio
della batteria della Lanterna sull’ingresso del porto. Verso nord, alla punta e
sul rialto di monte Marano vi era una batteria protetta dall’alta scogliera
destinata a battere gli accessi marittimi, a difendere l’Arsenale, ed a
collegare da quella parte le difese della fronte a mare con quelle delle fronte
a terra, ovvero collegare dal lato mare le difese del IV settore marittimo con quelle del I settore
terrestre.
Qui era situato l’Arsenale, uno dei punti di forza dell’importanza
di Ancona. Agli anni precedenti il 1860
l’attività cantieristica è notevole. Quando Pio IX visita Ancona nel
1857 si ha in suo onore il varo di due bastimenti (l’Elvezia e l’Adria Dorica)
e già sono stati varati una venti a di bastimenti, da quanto l’Arsenale era
stato completamente ristrutturato (1846).[23]
Esisteva anche il complesso di edifici del Bagno Penale[24],
demoliti nel 1880. Anche se non direttamente interessati alle opere della
Piazzaforte, sul molo Nord vi erano due simboli di Ancona, l’Arco di Traiano[25] e
l’arco Clementino.[26] Nel
1860 esisteva ancora la Barriera gregoriana, che interessava il Baluardo di San
Primiano, costruita a partire dal 1847 su progetto di Michele Bevilacqua, che
in caso si sbarco sul molo rappresentava un ottimo appiglio di difesa.[27]
La difesa a mare era completata dallo sbarramento del
porto attuato con una grossa catena, tesa fra i due moli, e la sua difesa era
affidata a due pontoni convertiti in batterie galleggianti ed a quattro paranze
ancorate ed armate di un pezzo ciascuna.
Questa cinta difendeva, che si può anche definire
cinta interna, che delimitava Ancona, era protetta con opere esterne, che
consistevano nella cinta esterna di difesa. La cinta esterna di difesa
consisteva in quattro lunette, tre delle quali in terra ed indifese alla gola
che erano
Tre di queste lunette guardavano i punti tattici più
salienti della linea di rilievo mediana: più avanzata delle altre quella di
Monte Pelago, intermedia e meno dominante quella di monte Pulito, più arretrata
di tutte quella di Santo Stefano. Era stato anche attivato il posto di osservazione
di Altavilla, a ridosso del villaggio di Pietra La croce, in cui era stata
elevata una trincea campale in funzione di avamposto, osservazione ed allarme.
L’opera di monte Scrima, verso la litoranea, davanti al II settore terrestre di
difesa, volte alle alture del Pedocchio[28] e
del Montagnolo, era piuttosto debole e battuta da più punti, specie dal
Montagnolo stesso.
[1] Costantini E., Il decennio di occupazione austriaca di
Ancona (1848-1859), Ancona, 1916
[2] Oggi
con la dizione di Comando Esercito Marche.
[3]
Polverari M. (a cura di), Ancona Pontifica. L’ottocento. Un inventario
urbano. Ancona, Comune di Ancona, Assessorato ai Beni ed alle Attività
Culturali, Pinacoteca Comunale “Francesco Podesti”, 1994, pag. 27-30. Vds
inoltre: Enea d’Anchise (E. Costantini), Una
pianta di Ancona del secolo XVI, Ancona, 1884; Santini G., Una pianta di Ancona di Giovanni Bleau del
[4] Tutta
l’area era di pertinenza dell’ordine del Capuccini. Poco prima che questi
venissero ad Ancona erano iniziati i lavori, nel 1547 per la costruzione del
baluardo del Cassero, detto poi, baluardo dei Capuccini, eretto a difesa del
colle dove ancora nel 1547 erano presenti vestigia della Rocca papale di San
Cataldo, eretta nel 1536 e rasa al suolo cinque lustri dopo durante l’assedio
La Rocca di San Cataldo
(descrizione del Santini)
I Capuccini ad Ancona giunsero nel 1554. Il
Comune consegnò ai Frati l’area di interesse ed anche alcuni locali sorti sulle
rovine della Rocca di San Cataldo, che, adattati ed ampliati con opere
successive, costituirono il complesso conventuale. Nell’ambito del complesso
erano comprese la chiesa di San Paolo, completata nel 1560 e quella di Santa
Caterina, costruita nel 1539 dagli eremiti di Santa Maria Gonzaga, che qui si
erano trasferiti dalla omonima chiesa demolita nel 1532 sull’Astagno per la
costruzione della Fortezza. Durante l’assedio del 1799 i frati Capuccini furono
espulsi e tutta l’area, di evidente interesse tattico per la difesa di Ancona,
subì notevoli trasformazioni con la demolizione di vari edifici. Nel 1858 il
canonico Birarelli istituiva presso il Convegno un Istituto per il recupero e
la rieducazione dei minorenni, che dopo il 1860 fu trasferito al convento degli
Scolopi, ove rimase fino al 1972. Dopo l’unificazione sia la chiesa che il
convento furono destinati a caserma, subendo pesanti rifacimenti.
Sul Monte dei Capuccini, al
suo apice, esisteva nel 1860 un camposanto, proprio dove sorgeva la Rocca di
San Cataldo. Era stato costruito dal Comune nel 1819 attuando i principi nelle
nuove norme igieniche, emanate nel periodo napoleonico. Vi si arrivava
attraverso un tracciato, detto appunto la Via del Camposanto, che raggiungeva
il colle partendo dal convento di S. Sebastiano. Si ha notizia,inoltre che
sempre sul Monte dei Capuccini vi erano altri due cimiteri, diversi da quello
cattolico: il Cimitero dei Greci e il Cimitero degli Inglesi, quest’ultimo
all’interno del baluardo dei Capuccini (o del Cassero). A seguito dell’epidemia
di colera del 1836 che colpì Ancona, venne costruito un altro Cimitero nei
pressi della Lunetta di Santo Stefano. Le aree cimiteriali sopra dette furono
definitivamente abbandonate dopo l’unificazione con la destinazione a zona
militare di tutta l’area.
A ridosso della rupe a strapiombo sul mare e
di fronte al baluardo dei Capuccini in collegamento con il Cardeto vi era un
altro cimitero, quello israelitico. Risalente al 1428 e successivamente
ampliato fu oggetto di forte contese tra
[5] Il bastione di San Pietro
[6] Cfr. la scheda di A. G.
(Anna Giovannini) in Polverari M. (a
cura di), Ancona Pontifica.
L’ottocento. Un inventario urbano. cit., pag. 310 Vds. inoltre
Natalucci M., Ancona attraverso i secoli, Città di Castelli, Ed. Libreria
Canonici, 1960 3 Voll., Sori E., Pavia R., L’area
di Monte Cardeto, Ancona, Comune di Ancona, 1993.
[7] In
questo settore vi sono i principali monumenti, opere e palazzi di Ancona, ad
iniziare dalla Cattedrale di San Ciriaco. Esisteva sin dal secolo IV, dedicata
a San Lorenzo, compresa nel sistema fortificatorio che coronava il colle, come
chiesa palatina. Era sorta nell’area di un tempio greco del secolo IV,
identificato con quello di cui parlano Catullo e Giovenale. Nel secolo X la
chiesa, prima donata a S. Liberio per deporvi i suoi resti, fu scelta per
trasferivi la sede della cattedrale vescovile, traslandola dalla chiesa di S.
Stefano che era fuori le mura. Domina
Ancona ed è il simbolo di Ancona. Durante l’assedio del 1860 non subì danni;
sulla spianata di fronte a San Ciriaco vi è il campanile, una torre che non
sembra nata per questa destinazione e molto presumibilmente doveva appartenere al
sistema difensivo che coronava la sommità del colle. Per una conoscenza più
dettagliata, vds la scheda di Vincenzo
Pirani in Polverari M. (a cura di), Ancona Pontifica. L’ottocento. Un inventario
urbano. cit., pag. 144 e segg.
[8] Ad
Ancona, fino al 1221 esisteva la Via di S. Pietro, oggi via Fanti, era fuori
dalle mura. Vi fu compresa dopo la costruzione della cinta e della porta,
chiamata anche qusta col titolo della Chiesa, eretta appunto in quell’anno ed
assunta a dignità di porta principale della città. Oltre alla presenza della
Chiesa di San Pietro, di cui oggi sono rimasti pochi resti dell’abside, la
strada era qualificata da palazzi settecenteschi, resistenze di famiglie nobili
cittadine. Palazzo Polidori, Palazzo Camerata necessitano interventi per ridare
l’antico splendore. Questo settore prese il nome di San Pietro. Cfr la scheda
di Vincenzo Pirani in Polverari M. (a
cura di), Ancona Pontifica.
L’ottocento. Un inventario urbano. cit., pag. 368
[9] Fu
eretta nel 1221 da Mastro Filippo. Robusta costruzione in pietra facente parte
della cinta che scendeva dal Colle del castello, oggi detto Forte dei
Cappuccini, e che piegava, proprio vicino alla porta, lungo il pendio del
colle, verso il mare, fino dietro la chiesa di S. Maria della Piazza, allora detta
del mercato. La soglia della porta è ora abbassata di circa un metro rispetto a
quella originaria; ne fanno fede i resti degli anelli dove giravano i perni
delle porte. Nel muro di sopraelevazione del prospetto sono infissi due
leopardi romanici, scolpiti in pietra. Lungo la strada fuori porta Farina si
trovavano la Chiesetta s. Eligio dell’Università dei Ferrari, detta di S. Alò,
in essere ancora nel 1823 e l’Abbazia di Cosma e Damiano, eretta prima del
Mille e demolita dopo il 1835 con la costruzione della nuova chiesa verso
valle. La strada serviva il “Campo della Mostra” che si trovava tra S. Alò e
l’Abbazia, ma sul lato del monte. Entrò nell’ambito delle mura dopo il 1810,
quando cioè fu costruita la Lunetta di S. Stefano ed il collegamento tra questa
ed il Forte del Cardeto, realizzato con una robusta muratura di notevole
spessore, sulla quale si apriva una sola porta, quella che all’incirca doveva
trovarsi nella zona delle aiuole fuori del quadrato di Piazza Cavour. Cfr Polverari M. (a cura di), Ancona
Pontifica. L’ottocento. Un inventario urbano. Cit., pag. 374 Vds. inoltre
D’Anchise E., (Costantini E.) Una pianta
di Ancona del Secolo XVI, Ancona, 1884; AA.VV., Elenco degli edifici monumentali XL. Provincia di Ancona,Ancona,
1932; Sovrintendenza per le antichità
delle Marche e dell’Umbria, per le Gallerie delle Marche, per i monumenti delle
Marche, Danni di guerra e provvidenze per le antichità, i monumenti e l’arte , Ancona,
1946; Natalucci M., Ancona attraverso i secoli, Città di Castelli, Ed. Libreria
Canonici, 1960 3 Voll.,.
[10]
Porta Calamo era stata costruita nel 1329 da Michele Fagnone e dava
direttamente alla pianura della Penocchiara ed alla via del Conero e di Numana.
Era costituita da due Archi divisi da u cortile e da due torrioni. Fu ristrutturata da Filippo Marchionni nel 1789 ed il
Pirani, per questi lavori, scrive, “era
sparita l’arcata, sostituita da un architrave e la merlatura era stata
eliminata ed al suo posto era stato realizzato un timpano curvilineo”
era uno dei punti più deboli del primo settore di difesa. Cfr. Pirani
V., Ancona dentro le mura, Ancona,
::::::::::::::::::1979.
[11] La
chiesa di San Francesco ad Alto fu la prima chiesa francescana di Ancona e
secondo la tradizione fu fondata dallo stesso San Francesco con il titolo di
Santa Maria ad Alto attorno al 1220 su un area offertagli dal Comune quando si
portò in città per imbarcarsi per l’Egitto. In corrispondenza con la chiesa e
del convento di San Francesco alle Scale
ebbe inizio il decadimento del romitorio sul colle Astagno. Negli anni
1385-1390 il convento di San Francesco era stato definitivamente abbandonato
dai religiosi. Il recupero si deve all’opera di
[12] La
costruzione di queste due entità di difesa fortificatoria impegnò i migliori
ingegneri militari del tempo, a dimostrazione della importanza che la
piazzaforte aveva. Questi erano Antonio da Sangallo il Giovane, coadiuvato da
Bartolomeo de Rocchi, ed Antonio Labacco, che operarono dal
[13] La
costruzione della Cittadella fu iniziata nel gennaio 1532, per volere di
Clemente VII su progetto di Antonio da Sangallo il giovane per difendersi dalla
minaccia ottomana. Nel settembre dello stesso anno, Ancona perdette la sua
autonomia e passò definitivamente sotto il controllo e potere dei Papi, che
durò fino al 1860, proprio nel mese di settembre. Ancona divenne via via una
fortezza per arginare la minaccia turca, e la Cittadella ne divenne il nucleo
centrale; questa prima funzione fu affiancata dall’altra funzione, che era
quella, esercitata attraverso il possesso della Cittadella, di controllo della
città e del porto, e che rimase in essere fino al 1860. Ancona,
urbanisticamente pagò un ulteriore prezzo, oltre a quello della perdita della
autonomia: furono distrutti, per fare posto alla Cittadella, quattro complessi
monastici, oltre a numerosi edifici, orti e campi coltivati. Nel XVI secolo il
complesso Cittadella-Campo Trincerato, con tutte le loro pertinenze occupava un
area pari al 30 % dell’intera area urbana, dando definitivamente l’immagine si
di un “gomito”, ma proteso più che sul mare, sul territorio retrostante.
Per tutto il cinquecento la
Cittadella, che per la sua costruzione richiese ingenti risorse finanziarie ed
umane, subì dei miglioramenti insieme a tutto il resto del sistema difensivo
della città. Ancona vide impegnati i migliori ingegneri militari (vds nota
precedente). Il concetto basse della costruzione della Cittadella è quello di
adattarsi alle condizioni orografiche e logistiche dell’Astagno, sempre
vincolati a precisi rapporti metrici e
spaziali tra le sue varie componenti. Dal poligono fortificato escono cinque
bastioni:
. della Gran Guardia,
. della Campana, entrambi rivolti verso la città
e posti a rinserrare l’ingresso della fortezza;
. del Cavaliere a basso, sopra la via d’accesso alla porta di
Capodimonte;
. del Giardino, il più lungo di tutti i bastioni, proiettato verso
l’entroterra;
. della Punta, verso la città, collegato alla
cinta muraria orientale.
Il Mastio era stato pensato come un alto nucleo centrale poligonale,
circondato da cortine e torrioni circolari, tale da controbilanciare
nell’immagine urbana San Ciriaco e le altre emergenze simboliche del libero
Comune. Ritenuto non più funzionale, in sostituzione, come una seconda e più
elevata linea difensiva, il Sangallo progetta un basso edificio posto alla gola
del bastione del Giardino, concluso da merloni e cannoniere, e una
torre-bastione sul versante sud-ovest (l’attuale Torraccia o Belvedere) unita al primo da un’alta cortina
marciaronda. La cortina contiene una rampa di collegamento con la piazza
d’arme, sostenuta da archi ora tamponati. A Francesco Paciotto da Urbino si
deve probabilmente una messa a punto di tutte le opere.
Nel seicento vengono
eseguiti da maestri scalpellini senesi i parapetti ed i marciapiani in pietra
e, sotto Urbano VIII, viene raddoppiato il bastione della Punta che si chiamerà
Barberino e poi di Sant’Andrea.
Nel XVIII secolo cedimenti
delle cortine portano a continui lavori di manutenzione. Filippo Marchionni
propone lo spostamento nel Campo Trincerato della polveriera situata tra il
bastione della Campana ed il cavaliere alto di Santa Barbara, perché insicura e
suggerisce la costruzione di tre corpi di fabbrica distinti (1789). Durante il
periodo Napoleonico la Fortezza diviene terreno di scontro tra truppe francesi
ed austriache e le diverse occupazioni portano diversi rifacimenti. Caduto
Napoleone, al momento del ritorno con Gregorio XVI della Fortezza sotto il
dominio pontificio si intraprende un
restauro massiccio della Cittadella che si protrarrà per un decennio: viene
riedificato dalle fondamenta, con maggiori dimensioni il bastione del Cavaliere
a basso, che riceverà il nome di Gregoriano
(1841); viene costruita la grande polveriera e riadattato e ampliato il complesso dei
cunicoli e delle casematte; la cappella
de forte è posta in un nuovo edifici a due piani di pianta circolare, poi
destinato completamente a magazzino, che viene costruito parzialmente interrato
alle spalle del Cavaliere di Santa Barbara, nei pressi della cisterna ed in
luogo del settecentesco “quartiere del signor tenente” ; viene poi ripristinato
ed alzato parzialmente il mastio (1850-51). Saranno queste, nelle linee essenziali,
le strutture, con i miglioramenti dell’ultima ora, che costituiranno la
Cittadella come elemento di difesa della piazzaforte di Ancona nel 1860. Cfr.
la scheda di Massimo Di Matteo in
Polverari M. (a cura di), Ancona Pontifica. L’ottocento. Un inventario
urbano. Cit., pag. 578 e segg.
[14] Il
Campo Trincerato, il cui progetto definitivo lo si deve quasi sicuramente a
Francesco Paciotto, era un opera, nata quasi in contemporanea con la
Cittadella, in terra e muratura, quattro volte più estesa della Fortezza che,
inglobando il bastione del Giardino della Cittadella si protende in avanti di
ben trecento metri concludendosi con la caratteristica tenaglia. Cfr. la scheda
di Massimo Di Matteo in Polverari M.
(a cura di), Ancona Pontifica. L’ottocento. Un inventario urbano. Cit., pag. 578
e segg. Per la Cittadella ed il Campo Trincerato vds inoltre, Natalucci M.,La Cittadella di Ancona, in Bollettino
ISCAG, n. 30, 1964; Pirani V., Ancona
dentro le mura, Ancona, ::::::::::::::::::1979; Antonucci R., Di Matteo M.,
Salmini P., Sardellini A., La Cittadella
di Ancona. Cronologia storica. Fonti, Documenti, Relazione allegata al
Rilievo della Cittadella, Ancona, Comune di Ancona, 1981; Polverari M., Ancona nel XVI secolo. L’urbanistica, in
AA.VV., Ancona e le Marche nel Cinquecento, Roma, 1982; Mezzetti C.,
Pugnaloni F., Dell’architettura
militare:l’epoca del Sangallo e la Cittadella di Ancona, Ancona, 1984;
Mariano F., Architettura militare del
Cinquecento in Ancona, Urbino, 1990; Mariano F., La Cittadella di Ancona, AA. VV. Castelli, rocche, torri, cinte fortificate delle marce, Vol.I,
Ancona, 1992., Pavia R., La Storia
urbanistica, in Pavia R., Sori E., Ancona,
Bari, Laterza, 1990.
[15]
Costruita nel 1335 da Nicola Bonderuolo
fu modificata nel XVIII secolo nel lato esterno cosicché a chi veniva da Piano
San Lazzaro si mostrava non tanto come semplice porta di città quanto come arco
celebrativo. La struttura settecentesca era stata rivestita con un nuovo strato di muratura in cotto che
formava lesene, riccioli, cornici, secondo le tipologie delle scenografie
dell’epoca. Solo sul fronte della città era stato conservato a vista il grande
arco a tutto sesto, più alto di quello che formava l’effettivo ingresso. Fino
alla sua demolizione, avvenuta nel 1945 dopo i danni bellici, rimasero gli
anelli di alloggiamento dei cardini delle porte, i fori delle travi che
sorreggevano il solaio in legno per il servizio di sorveglianza e le tracce di
pitture eseguite in memoria dell’assedio del 1414. Rappresentò, sino al 1789
l’ingresso principale della città; in quell’anno, con l’inaugurazione di Porta
Pia, perdette questa funzione. Cfr. la scheda di Vincenzo Pirani in Polverari M. (a cura di), Ancona
Pontifica. L’ottocento. Un inventario urbano. cit., pag. 587
[16] Il
Lazzaretto fu costruito per ricoverare viaggiatori e merci sospette di essere
portatori di malattie infettive. Ancona era città particolarmente esposta al
contagio per la sua natura mercantile e per gli scambi con paesi dell’area
mediterranea, soprattutto quella orientale. Luigi Vanvitelli ricevette nel 1732
l’incarico di studiare e progettare un opera che assolvesse a questa esigenza.
Accettata l’offerta la prima pietra fu posta il 26 luglio 1733, alle ore 22 con
una processione che doveva portarsi dalla chiesa di San Rocco, per giungere
alla porta che dal Baluardo di Santa Lucia immetteva al ponte per il
Lazzaretto. La prima pietra fu posta a lavori già iniziati; nel luglio 1733 era
già stato realizzato l’interramento al centro dell’isola, ed avviato quello del
perimetro pentagonale. Dai documenti dell’ Archivio di Stato di Roma si evince
che nel novembre 1736 l’opera è in fase di avanzata realizzazione, con la parte dell’impianto di
smaltimento e raccolta delle acque meteoriche già completata; ma nel maggio 1738
sono proceduti di poco, forse a causa delle difficoltà incontrate dal
Vanvitelli l’anno precedente durante i lavori all’altro cantiere in corso,
quello per la realizzazione del Braccio nuovo, all’altra estremità del porto. I
lavori saranno completati solo nel 1743, due anni dopo la morte del Papa che lo
aveva voluto, Clemente XII, morto nel 1840. Ad opera finita il Lazzaretto si
presenta come una sommatoria di cinque edifici bipiano aggregati tra loro
secondo i cinque lati del pentagono, con all’interno un anello di modeste
dimensioni , più basso del corpo principale, ma a tre piani. Il corpo
principale era destinato al deposito delle merci, sia al piano accessibile
dallo stradone esistente tra il muro di cinta ed il corpo di fabbrica, che nel
piano superiore a cui si giungeva attraverso otto scaloni del cortile disposti
o ai vertici interni del pentagono o al centro di tre lati. L’anello interno
era sezionato in otto triplex per lato e destinato agli alloggi dei contumaci.
Due passaggi, uno in corrispondenza della portella a mare principale sul lato
nord, l’altro in corrispondenza della portella sul lato sud-ovest, mettono in
comunicazione lo stradone stesso. Al centro del cortile interno , sopraelevato
rispetto allo stradone stesso. Al centro del cortile è collocato un tempietto votivo di stampo neoclassico, che
in realtà costituisce la parte superiore e visibile di un sistema di raccolta
di acque realizzato con cisterne sotterranee, collocate sotto il tempietto stesso.
Il marciarono era collegato al rivellino esterno, posto su una piattaforma in
direzione nord-ovest, a difesa del complesso dal mare aperto. Al rivellino, in
realtà costituito da una piazza chiusa e murata a forma triangolare con quattro
cannoniere per lato, si accede anche tramite due porte esterne all’attacco del
bastione con la muratura del perimetro pentagonale.
Nel 1748 il Lazzaretto
passa alla Camera Apostolica e viene usato sino alla fine del secolo per gli
stessi specifici scopi per cui era stato costituito. Negli anni ottanta d fine
settecento inizia ad essere usato a fini militari, come caserma e come ospedale
militare. Nel 1799 è il cardine della difesa di Ancona occupata dai Francesi
contro gli austriaci. Le modificazioni intervenute e quelle che interverranno
in epoca successiva non hanno mai in realtà mutato in modo sostanziale la forma
soprattutto in chiave strutturale. La sola aggiunta sostanziale concerne il
doppio lato del corpo di fabbrica bipiano a ridosso del rivellino lato mare
attuato intorno al 1850. Con questa struttura il Lazzaretto sarà ancora uno dei cardini di difesa nel 1860.
Cfr. la scheda di Fausto Pugnaloni in
Polverari M. (a cura di), Ancona Pontifica. L’ottocento. Un inventario
urbano. cit., pag. 590 e segg. Vds. Inoltre Ricci A., Memorie storiche delle arti e degli artisti della Marca d’Ancona,
Macerata, 1834; Lodolini A., La mole
vanvitelliana di Ancona, in Deputazione di Storia Patria delle Marche,
s.VII, v. VIII (1953); Battisti E., Il
Vanvitelli ed i lavori portuali di Ancona, in Atti dell’XI congresso
dell’architettura, Marche, 1959, Roma 1965.; AA.VV., L’opera architettonica di Luigi Vanvitelli nelle Marche ed i suoi
epigoni, Ancona 1975; AA.VV., Il
Lazzaretto di Luigi Vanvitelli, Ancona, Comune di Ancona, 1980.
Il Lazzaretto si inserì
subito nella storia di Ancona. Scrive Palermo Giangiacomi: “Rappresentava una riserva idrica per Ancona:
la sopra citata cisterna conteneva 30.000 barili romani d 36 boccali l’uno; la
cisterna veniva ripulita ogni dieci anni; nel
[17]
Porta Pia fu eretta tra il 1787 ed il 1789 su disegno di Filippo Marchionni;
costituiva il nuovo ingresso in città lungo la litoranea voluta da Papa Pio VI.
La facciata esterna è quella più ricca ed eseguita con materiale più nobile: è
eseguita con pietra d’Istria sia nella struttura che nelle decorazioni. L’arcata
d’ingresso è fiancheggiata da due lesene la cui sezione si allarga salendo
verso l’alto; esse sorreggono l’alto attico che recava la dedica e sorreggeva
lo stemma papale, entrambi scalpellati all’epoca della occupazione francese. Il
timpano che chiude la composizione è ripreso in baso, da due volute che
allargano la base dell’attico sopra i muri laterali fino ad appoggiarsi, una
volta a quelle delle fortificazioni. L’arcata verso la città si apre invece in
un severo bugnato di blocchi di tufo sul quale spiccava un’atra lapide
marmorea, e si conclude con un semplice timpano triangolare. Cfr. la scheda
di Vincenzo Pirani in Polverari M.
(a cura di), Ancona Pontifica. L’ottocento. Un inventario urbano. cit., pag. 597
[18]
Ancona si diede fin dai tempi più antichi delle difese verso il mare. I
Baluardi, o bastioni, del porto inizialmente avevano un profilo scarpato, con
piazzole, feritoie, nicchie per il riparo dei difensori , e costituivano delle
modeste piattaforme di difesa atte a controllare lo specchio di mare più vicino
alla città. Sorti in periodo diversi, i baluardi costituirono , assieme tra
loro e in accordo con il rivellino quattrocentesco posto sul prolungamento del molo di Traiano, la pria reale difesa
dell’intero arco portuale di Ancona; ad essi si aggiunsero nel Cinquecento,
l’impianto fortificato della Cittadella e del Campo Trincerato sul colle
Astagno e, nel settecento, le opere progettate dal Gavitelli, della Mole
(Lazzaretto) e della Lanterna, ambedue realizzate a scopo difensivo. Localmente
assolvevano a funzioni di difesa diverse: basti pensare alla vicinanza del
baluardo di Santa Lucia con l’annesso rivellino, innalzato per il controllo
dell’ingresso sud alla città. Dal baluardo di Santa Lucia a quello di San
Primiano era innalzata una interrotta muraglia di confine della città sul mare; fino a Sant’Agostino, costruita con
un passaggio basso sull’acqua , a mo di marciapiede che dava accesso alle
numerose portelle; da Sant’Agostino in poi con i muri direttamente sull’acqua.
Tali opere durarono fino ai primi decenni del novecento. La forma in pianta dei
tre baluardi era diversa tra loro dovendosi, come già accennato, adattare ai
luoghi sui quali sorgevano, Infatti il San Primiano (di disegno triangolare)
detto anche del Correggio, costruito nel 1593 interrando parzialmente il molo
della Cassetta, rovinato nel 1590, sito all’attacco del molo, apportando
notevoli modifiche all’opera realizzata nel 1481 da Petro Amoroso, e il Santa
Lucia (pressoché rettangolo, ma precedentemente a forma pentagonale) sito
all’angolo di Porta Pia costituivano in qualche modo la delimitazione del
tratto d banchina del porto, il primo
dal lato nord, ed il secondo dal lato sud. Il Sant’Agostino quasi al centro dei
due , ubicato allo sbocco della vallata sul mare, proponeva invece con la sua
testa pentagona, ad orecchioni, un controllo di 180° sull’intero porto.
L’architetto Giacomo
Fontana nel 1562 aveva iniziato il completamento della cortina a mare nel
tratto Sant’Agostino- Santa Lucia costruendo la cortina e i due baluardi, il
secondo detto allora del Lazzaretto, presso il Lazzaretto vecchio là collocato.
Il baluardo era costruito a salienti smussati
per far fronte al mare di maestro-tramontana cui la sua faccia maggiore
era esposta. Sorgeva sull’attuale banchina , piantato direttamente in mare e
circondato dall’acqua sui tre lati. Era eseguito in muratura laterizia
rivestita all’esterno con pietra d’Istria in conci ripianati. Sino alla metà
del 700 il baluardo restava esposto direttamente alle correnti ed ai frangenti,
che si riversavano per la particolare conformazione della costa, direttamente
su di esso; non esistevano infatti a ripararlo dal mare e dai venti di garbino
e di mezzogiorno né il Lazzaretto nel il molo sud, né il molo clementino a
proteggerlo dai veti del nord.
Le portelle esistenti a metà dell’ottocento a partire
dal Lazzaretto fino al baluardo di San Primiano erano:
-
Per i Navigli, ubicato al lato del
baluardo di Santa Lucia
-
Di Sant’Agostino, forse già portella
Polini, non più esistente, si apriva a lato del baluardo di Sant’Agostino,
nell’incavo del suo orecchione
-
Del macello, o
della Beccheria ( o Beccarla): questa portella fu fatta demolire dal De La
Moricière nella primavera del 1860 per sistemarvi una batteria a difesa diretta
della entrata del porto. Oggi questo varco ha il nome di Scalo Vittorio
Emanuele II, ma molti anconetani più anziani lo continuano a chiamare il
“delamoriciè”.
-
Della Loggia, è
quella tutt’ora visibile, in pietra d’Istria, dietro l’edificio appunto della
Loggia , per via del loggiato-balcone da cui i mercanti attendevano l’arrivo in
porto delle loro navi. La porta era costituita da due fornaci oggi entrambi
usati per scopi religiosi e commemorativi.
-
Della dogana ( o
di Santa Maria): che apre sul tratto esistente della via Sottomare; è in
buone condizioni, oggi, perché è stata parzialmente ricostruita nel dopoguerra
. E’ d’impronta medioevale sul lato della città, d’impronta ottocentesca sul
lato mare.
-
Dei Palunci:
che doveva il suo nome alla famiglia di origine il lirica appunto dei Palunci;
è ancora visibile (resta una sola arcata) nel recinto dei nuovi edifici
portuali della Capitaneria di porto, unitamente al tratto del vecchio
Corridore.
-
Dei Toroglioni (
o dei Toroleoni): appartenente al palazzo dell’omonima famiglia, distrutto
anche questo nell’ultima guerra.
-
Del Greco o della
Contumacia o Porta Ultima: era ubicata immediatamente a ridosso dell’abside
della Chiesa di San Primiano, collocata sulla cinta muraria a mare, come tutte
le altre, ed è scomparsa con le distruzioni che il porto ha patito durante
l’ultimo conflitto mondiale.
Cfr. la scheda di Fausto Pugnaloni in Polverari M. (a cura di), Ancona
Pontifica. L’ottocento. Un inventario urbano. cit., pag. 37 Vds. inoltre
Pirani V., le opere fortificate di
Ancona, in AA.VV. Architetture fortificate delle Marche . Mura, torri,
rocche, castelli, Milano, 1985
[19] Il Molo
[20] In
testa al vecchio molo nord, quello traiano, esisteva fin dal quattrocento una
costruzione a pianta ottagana collocata direttamente i mare, attrezzata per la
difesa dello specchio d’acqua portuale e quindi della città. Accanto a tale
rivellino vi era la torre detta del Fanò, ovvero la torre dei segnali, più alta
del rivellino e piantata sul molo verso l’Arco Clementino. Tutto ciò appare
chiaramente nella veduta di Ancona realizzata dal de Giardinis nel 1745 nel
momento in cui sono ancora in corso i lavori progettati dal Vanvitelli del
Nuovo Braccio. E proprio le costruzione preesistenti del rivellino e del Fanò
sembrano essere le idee ispiratrici dell’idea vanvitelliana della testata del
nuovo molo. Infatti molto chiaramente nella riproduzione del Vasi del 1738 compare, in uno dei
medaglioni, una costruzione che sa di fortezza, di torre, apparentata allo
stesso Lazzaretto. Nel 1773, quasi quaranta anni dopo il loro inizio, i lavori
del Braccio Nuovo sono in fase di completamento: mancano, appunto, la parte
conclusiva del molo ed il forte della lanterna progettato dal Vanvitelli. In
quel periodo era attivo in Ancona l’architetto Carlo Marchionni, di origine romana,
che godeva della fiducia di chi rispondeva dei lavori del porto anconetano. Gia
dedicatosi ai lavori di completamento del braccio dopo la scomparsa dalla scena
di Luigi Vanvitelli, egli si fede promotore della prosecuzione e della
realizzazione dei progetti vanvitelliani, con particolare riferimento alla
batteria fortificata, che lo stesso Vanvitelli aveva mutuato dal rivellino del
Lazzaretto. Il Marchionni indicava nell’allora esistente batteria dell’antico
rivellino del vecchio molo il “tipo” della batteria ideale: a doppio ordine,
alta e bassa sull’acqua, per poter meglio colpire le navi in avvicinamento al
porto. Non così prevedeva il progetto vanvitelliano che proponeva una sola
linea di difesa, né alta né bassa sull’acqua. Il Marchionni sottolineava che
non si doveva commettere l’errore di porre in testa al molo “almeno dodici cannoni per la
batteria a fior d’acqua. E di non fortificare a dovere la testa del braccio,
lasciando il porto più debole di quanto non fosse prima della costruzione del
nuovo molo”
Nel 1774 Carlo Marchionni
ed il figlio Filippo diressero i lavori del forte con sovrapposta la lanterna,
in forme che non si discostavano molto
dalle linee del disegno vanvitelliano, passando attraverso idee dello stesso
Carlo Marchionni e del De Blacas Carros. Infatti il Marchionni rielaborò
parzialmente il progetto di Luigi Vanvitelli nel 1772, ma sembra che il De
Blacas Carros redigesse il definitivo progetto. Il Marchionni aveva alzato
l’antemurale del forte e creato i due
livelli di difesa auspicati, oltre a snellire la torre dei segnali nella sua
parte bassa, rendendola costruzione omogenea nella sezione esagona; aveva
altresì suggerito un basamento in pietra segnato da tre cannoniere per faccia,
con sovrastanti spalti per una coppia di pezzi da tiro; una torre divisa in
quattro porzioni da altrettanti marcapiani, che preannunciavano il lanternino
cupolato dei segnali luminosi. Il progetto realizzato si discosta molto nella
sua parte bassa dai due precedenti, del Vanvitelli e del Marchionni, simili tra
loro; propone, infatti, un basamento irregolare (in forma e dimensioni, diviso
in due parti; una aggregata alla torre nel lato interno del porto; più alta
dell’altra) che circondava dal lato del mare aperto la torre stessa. La torre
del faro fu realizzata
[21] Vds nota precedente
[22]
L’edificio della Sanità e quello della Capitaneria del porto furono costruiti
sotto Pio VII nel 1821, su progetto di Giuseppe della Gatta, all’estremità del
porto traiano, sulle fondamenta dell’antico rivellino quattrocentesco, che
aveva accanto la torre del Fanò. Un apposito piccolo molo ne consentiva
l’accesso. Cfr. Polverari M. (a cura
di), Ancona Pontifica. L’ottocento. Un
inventario urbano. cit., pag. 48
[23] Il
Moroni scrive “Agli inizi del XIV secolo
si svolgeva già a buon livello, nell’area sede degli attuali cantieri navali
l’attività del terzenale, ove si era n grado di costruire cinque navi
contemporaneamente”. L’area era quella delle rupi sotto il Guasco. Dal
trecento al l’ottocento i Papi hanno nell’Arsenale l’industria per avere le
loro navi. Lo spazio dell’attività cantieristica rimase emarginata nella sua area sino alla metà dell’Ottocento,
in occasione della visita di Papa Gregorio XVI l’ingegnere Michele Bevilacqua ,
per contro della amministrazione comunale, ruppe l’isolamento dell’area
abbattendo il muro di cinta dell’arsenale e il baluardo di san Primiano facendo
assistere il Papa al varo di un bastimento. Allo stesso pontefice fu allora
evidenziata l’esigenza di costruire un nuovo arsenale, proposta che il
Pontefice accolse stanziando 80.000 scudi per la realizzazione di un progetto
di ammodernamento che lo stesso redasse.
La posa della prima pietra avvenne il 12 marzo 1843, alla presenza del delegato
pontificio cardinale Antonio Tosti. Dal 1853 Ancona poteva disporre di un
Arsenale che era in grado di costruire sei bastimenti contemporaneamente. Cfr. la scheda di Fausto Pugnaloni in Polverari M. (a cura di), Ancona
Pontifica. L’ottocento. Un inventario urbano. cit., pag. 37 Vds. inoltre
Bevilacqua G., Gli allargamenti di Ancona
dall’origine fino a noi (1869), in AA. VV., Guida d Ancona, 1884; Moroni M., L’arsenale di Ancona. Reminiscenze storiche, Fano, 1901.
Nella difesa della Piazzaforte i Comandanti
pontifici hanno trascurato l’Arsenale, considerando la sua difesa ininfluente
sull’evolversi strategico degli avvenimenti, affidando la sua difesa alla a
zione della batteria di monte Marano.
[24] Il
Bagno Penale era stato realizzato intorno alla metà del settecento nella
darsena, in un area di pertinenza dell’Arsenale e nella quale erano stati
realizzati un lazzaretto (secolo XI) ed
il teatro “La Fenice” (aperto nel 1664 funzionerà fino al 1818). Scrive il
Pirani.“La vicinanza dei galeotti a
Cantiere era motivata dal fatto che essi
prestavano la loro opera nell’arsenale e nei lavori portuali. Secondo una
antica tradizione, i galeotti addetti alle operazioni del varo, e soprattutto
quelli incaricati di togliere i puntelli per permettere lo scivolamento in mare del natante, incarico che normalmente
si concludeva con la morte di qualcuno di essi per la pericolosità della manovra,
venivano graziati quando riuscivano a
salvarsi senza compromettere la regolarità del varo.” Il Santini aggiunge:
recintato da alte mura “il Bagno Penale
era costituito da fabbricati di uno ed anche di due piani, con pianterreno e
sotterranei. Agli inizi del secondo cinquantenario dell’ottocento, circa una
metà dei locali era riservata alla
direzione, al personale di custodia, ai magazzini, ai lavoratori,
all’infermeria, alla chiesa, cappella di san Giuseppe; la metà residua era
adibita alla detenzione dei forzati politici e comuni, condannati a vita e a
tempo”. Cfr. Polverari M. (a cura
di), Ancona Pontifica. L’ottocento. Un
inventario urbano. cit., pag. 64. Vds. inoltre Santini G., Prigioni anconetane , in Rendiconti
dell’Istituto Marchigiano di Scienze, Lettere ed Arti, Ancona, Vol. XXI (1961),
1962; Pirani V., Ancona dentro le mura,
cit.,
[25] L’arco di Traiano è un
simbolo di Ancona e della Storia di Ancona. Fu innalzato per commemorare la
ristrutturazione del porto voluta dall’imperatore Traiano nel115.d.C.; l’arco
fu opera dell’architetto Apollodoro di Damasco. Cfr. la scheda di Maurizio
Landolfi in Cfr. Polverari M. (a cura
di), Ancona Pontifica. L’ottocento. Un
inventario urbano. cit., pag. 52. Vds. inoltre Galli E., Per la sistemazione dell’Arco di Traiano in
Ancona in Bollettino d’Arte, 1937, pag. 321-336; Mercando L., in Umbria e Marche. Guide archeologiche Laterza,
Bari, casa Editrice Laterza, 1980;
[26]
L’Arco Clementino, nel quadro delle realizzazioni per la costruzione del Molo Nord, fu
progettato e realizzato da Luigi Vanvitelli tra il 1732 ed il 1735, oltre
l’Arco di Traiano, in onore di Clemente XII, papa sensibile agli interessi di
Ancona, nell’area che oggi non esiste più detta del Gran Baluardo. Cfr. la
scheda di Fausto Pugnaloni in Polverari M. (a
cura di), Ancona Pontifica.
L’ottocento. Un inventario urbano. cit., pag. 44.
[27]
Costruita da quattro colonne in marco bianco di Carrara, alla base delle quali
vi era una cancellata, e da due piccoli edifici neoclassici con portici a
quattro colonne sormontate da un fronte palladiano, essa rappresentava il nuovo
accesso monumentale alla città dal porto, esaltando il prospetto settecentesco
della chiesa di San Primiano. Fu abbattuta nella prima meta del ‘900. Cfr. Polverari M. (a cura di), Ancona
Pontifica. L’ottocento. Un inventario urbano. cit., pag. 67
[28] Nel
1860 questa località aveva questo nome; successivamente, venne abbellito con il
nome di Pinocchio, ed una statua del celebre personaggio di Collodi abbellisce
il cortile della locale scuola elementare.
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