Traduzione

Il presente blog è scritto in Italiano, lingua base. Chi desiderasse tradurre in un altra lingua, può avvalersi della opportunità della funzione di "Traduzione", che è riporta nella pagina in fondo al presente blog.

This blog is written in Italian, a language base. Those who wish to translate into another language, may use the opportunity of the function of "Translation", which is reported in the pages.

mercoledì 29 settembre 2021

Ancona La Piazzaforte 1860 L'invasione. Il nemico è a conoscenza di tutti i dettagli della Piazzaforte

Ancona Piazzaforte Pontificia

1. La Piazzaforte di Ancona nello Stato Pontificio. La storia. 2. Le opere principali della Piazzaforte. 3. Il nemico è a conoscenza di tutti i dettagli della Piazzaforte 4. I miglioramenti della Piazzaforte del de La Moricière dall’aprile al settembre 1860. 5. I dati tattici della Piazzaforte: il terreno e le comunicazioni,i punti tatti, l’armamento. 6. La Guarnigione, la consistenza teorica e quella effettiva. 7. Le Caserme. 8. Il Vettovagliamento. 9. Il Morale

Massimo Coltrinari 


3. Il nemico è a conoscenza di tutti i dettagli della Piazzaforte

La difesa della Piazzaforte era svantaggiata dal fatto che tutte le opere fortificatoria erano a conoscenza, fin nei minimi dettagli, del nemico, ovvero del Comando Sardo, ovvero non si poteva fare affidamento su eventuali azioni che lo sorprendessero nel corso delle operazioni. Inoltre, come vedremo, la conoscenza esatta delle opere della Piazzaforte, permise al generale Fanti di valutare appieno il risultato della giornata del 18 settembre. Fu in grado di valutare esattamente che la difesa Pontificia non era in grado di presidiare e difendere le opere della difesa esterna di Ancona, per mancanza di personale e quindi si poteva immediatamente investire la difesa interna e tentare di conquistare la piazzaforte fin dai primi attacchi.

La Rivista Militare, a conferma che il Comando era a conoscenza di ogni dettaglio sulla Piazzaforte, in un numero edito nel 1861,[1] presenta Ancona come la principale stazione romana sull’Adriatico, e venne perciò fortificata sin dai tempi dell’antichità ed ebbe a sostenere sino dai tempi più antichi numerosi assedi per terra e per mare.[2] Prosegue facendo un quadro generale che così si può riportare: “Ancona capitale dell’antico Picenum, vuolsi sia stata fabbricata verso l’anno 408 avanti l’era volgare da certi Siracusani che ivi si ripararono fuggendo le persecuzioni di Dionigi il Tiranno; vuolsi inoltre derivato il suo nome da una parola greca (Ancon) che significa gomito, tale essendo la forma del sito in cui se ne gettarono le fondamenta. Fu una delle principali stazioni marittime dei Romani sull’Adriatico, i quali si convertirono in colonia Romana circa 150 dopo la sua fondazione. Vitige Re dei Goti l’assediò e la prese nel 538. In appresso fu sottomessa dai Longobardi. I Saraceni la rovinarono poi nel 853 e ricadde nella oscurità, rimanendo quasi ignorata durante le guerre civili dell’Italia e la destra fortuna della veneta Signoria. Si dichiarò poscia repubblica ponendosi sotto la protezione dei Papi, ma nel 1532 Clemente VII abusando di questo patronato, se ne rese assoluto signore. Nel 1797 cadde in potere dei Francesi .Il generale Le Monnier con un presidio di 2000 uomini strenuamente la difese contro le forze collegate dei Prussiani, dei Turchi e dei Russi, degli Austriaci e degli Inglesi che l’assalirono per mare e per terra  e quando capitolò nel 1799 non aveva che poco più di 200 uomini capaci di portare le armi. Il fatto è tanto più meraviglioso in quanto che il Monte Cardetto ove intesero le maggiori offese, non era allora fortificato, siccome lo fu poscia per ordine di Napoleone. Nel 1815 Ancona fu occupata e quindi abbandonata dalle truppe napoletane capitanate dal Murat e gli Austriaci la smartellarono in gran parte per farne saltare i bastioni. Nella rivoluzione del 1831 dell’Italia media, Ancona fu ultimo asilo dei sollevati e rimessa dai Tedeschi nella devozione del Papa. Fu nottetempo dai Francesi sorpresa ed occupata per gli interessi della politica di quel Governo e stanziarono nella cittadella, riparandone le ruine sino alla fine del 1838. Gregorio XIV usciti i Francesi pensò porre questa piazza in buono stato di difesa e vi fecero molte novelle costruzioni. Anche Ancona fra le città che maggiorente si distinsero per l’eroismo del popolo nella guerra dell’indipendenza italiana. Senza tener conto del patriottismo mostrato dai ricchi e dai poveri suoi cittadini ad ogni modo di sacrifici, noi ci  a menzionare l’eroica sua resistenza contro gli Austriaci. Assalita da questi il 1° giugno 1849 perdurò nella difesa per ben quindici giorni sotto un tremendo grandinare di bombe e di razzi e vi perdurò in mezzo alla  fame ed agli spasimi della sete, giacché ogni lato di terra e di mare era dal nemico strettamente bloccata, e la penuria del vitto e dell’acqua cominciò a farsi sentire fino dai primi giorni dell’attacco. Con tutto ciò tanto era l’ardore per la resistenza. Che il solo parlare di resa era ritenuto delitto di morte. Ma anche la costanza umana ha i suoi limiti; e dopo aver sofferto un tremendo bombardamento generale che perseverò  dal 14 al 17 giugno stremati d’ogni esterno soccorso, quegli eroici cittadini dovettero piegarsi ad un accordo, e lo stesso maresciallo Wimpfen, ammirato dal valore e dalla costanza della difesa, concesse alla città una capitolazione assai onorifica, la quale venne conchiusa la sera del 18. Dista 160 miglia a greco di Roma, ed ha 25000 abitanti nelle sue mura; 38000 se vi comprendono tutti i sobborghi e le vicine campagne.[3]  

Come si ebbe modo di sottolineare[4], le sue fortificazioni, nel 1860, non erano tali da far classificare Ancona come piazzaforte di primo ordine attesochè mentre esse non si possono riferire a verun sistema regolare e completo, e sono in molti luoghi imperfette, difettose e deboli, le maggiori difese della piazza consistono piuttosto nella configurazione naturale delle località, che nella robustezza e maestria dei suoi antemurali. La città è sita a ridosso di uno svolto montuoso della costa, in forma quasi di una semiconca aperta verso maestrale. Due moli, l’uno (orientale) di solida muratura e armato, l’altro fatto di grossi macigni sovrapposti alla rinfusa, ne chiudono il porto che è assai spazioso e sicuro, ed ha un ingresso largo poco meno di 500 metri. Verso la marina la città non è difesa che da alcuni parapetti di pietra e da bastioni quasi tutti scoperti sino ai piedi, se pur si accentua il tratto di mura fra Porta Pia ed il bastione di Sant’Agostino, che solo merita il nome di fortificazioni; indi in là, sono aperti gli scali del porto.

A manca la cinta cittadina si appoggia al Lazzaretto, ch’è è una specie di grosso ridotto di muratura circondato da un braccio di mare e comunicante colla terraferma per un ponte di legno. Questo ridotto è sotto il fuoco del fronte di Porta Pia , della spianata di Capo di Monte nonché del bastione maestrale della Cittadella. Tre pezzi armavano i bastioni del Lazzaretto per battere l’ingresso della rada, mentre le altre batterie del porto ne avevano soli 25 né potevano averne di più; ed erano questi per calibro e portata di gran lunga inferiori ai nostri.

A destra, l’estremità del molo orientale è difesa dalla batteria della Lanterna a tre facce e a due piani, l’uno in barbetta, armato di 3 pezzi, casamattato, l’altro portante 9 pezzi, cioè 3 per ogni faccia. Questa batteria per la sua posizione troppo avanzata nel mare ed isolata dalle batterie della costa, non potendo fornire contro i legni d’attacco, se non se un fuoco divergente, mentre ne viene battuta da un fuoco concentrato riesce di non gran valore, e assai compromessa.

Più indietro al porto il bastione di S. Agostino armato di un sol pezzo da 18 e quello di Santa Lucia armato di 3 pezzi dello stesso calibro, sono ben meschine difese. Verso tramontana alla punta e sul rialto di Monte Marano havvi una batteria di questo nome protetta da un’altra scogliera e destinata a battere quegli accessi marittimi collegando per quella parte le difese marittime colle terrestri.

Dal lato di terra le fortificazioni sono assai più solide che non le marittime. La cinta è ivi rafforzata in due punti culminanti alle sue estremità: alla sinistra ( a greco) il cavaliere dei Cappuccini; alla destra ( a ponente) la cittadella col campo trincerato. In questo tratto di cinta sono aperte due porte, poco discoste l’una dall’altra, la porta Farina e la porta Calamo, fiancheggiata la prima dalla faccia sinistra del bastione di San Pietro, e protetta la seconda dalla batteria degli Zoccolanti.

Le maggiori difese del cavaliere dei Cappuccini sono rivolte al mare verso levante a proteggere quella costa , mentre la sua spala destra batte la falda occidentale di Monte Cardetto e fiancheggia il bastione di S. Pietro verso piazza degli Orti.

La Cittadella è un grosso ridotto a 4 fronti irregolari e a 3 bastioni che spalleggiando la destra della cinta, ne unisce le difese terrestri alle marittime per mezzo del fronte di Porta Pia.

Sull’estremità sinistra a 450 metri al Cavaliere dei Cappuccini, sul monte Cardetto (300 metri sul livello del mare) riscontrasi quale opera avanzata il forte detto del nome di esso monte. Questo forte, formato di un fronte bastionato con rivellino è rivolto ad ostro e batte la piana degli orti non che le alture di Santo Stefano e di Monte Pulito; il suo mezzo bastione di manca si appoggia agli scogli della costa, mentre il bastione di destra, che per una strada coperta si congiunge alla cinta della piazza sotto il cavaliere dei Cappuccini, difende gli accessi di Porta Farina e di Porta Calamo, e batte la rada con tiri piuttosto ficcanti. Le sue fortificazioni sono di buona muratura e di moderno sistema, costruite per ordine di Napoleone susseguentemente all’assedio del 1799 e poscia perfezionate dal governo pontificio.

Ad rafforzar la destra, dinanzi la Cittadella havvi il campo trincerato, grossa doppia corona di pressoché 400 metri di capitale;la quale fiancheggiava a levante le difese della cinta incrocicchiando i suoi fuochi con quelli del Cardetto, difende di fronte l’altura del Monte Marino e la strada del canale di Camerino, ed appoggiandosi a destra sulla strada coperta della cortina occidentale della Cittadella batte con tiri efficaci le falde delle alture di Monte Scrima, nonché la strada postale da Osimo e l’ingresso di  borgo Pio. Questo borgo prolungandosi sulla spiaggia per quasi un chilometro ai piedi dell’erta della Cittadella la quale perciò non può difendere se non con tiri troppo ficcanti e non essendo protetto che dalla semplice cortina di Porta Pia è, come ben lo dice il generale pontificio nella sua relazione, una seria difficoltà per la difesa, poiché i caseggiati del borgo favoriscono gli approcci dell’assediante, come di fatto avvenne, malgrado che quelle vie fossesi difficoltate con alcune tagliate, la difesa delle quali neppur tentarono i Pontifici dinanzi ai nostri bersaglieri.

Quattro lunette costruite di terra ( nell’ultima occupazione degli Austriaci nel 1849) ed indifese ala gola, eccettuando però quella di Santo Stefano ( la quale ha le sue scarpe in muratura ed un piccolo ridotto interno) coronano i punti più elevati della zona esterna. Sul punto culminante della costiera che diparte dal rialto del campo trincerato e protendosi verso mezzogiorno, trovasi più d’ogni altra avanzata la lunetta di Monte Pelago, la quale domina la cinta di Ancona alla distanza,però, di 2000 metri.

Più indietro e meno elevata quella di Monte Pulito a 1000 metri dagli spalti del campo trincerato. Intermedia a questo ed alle precedente lunetta trovasi quella già nominata di Monte Santo Stefano, ch’è fiancheggiata dal campo trincerato del Gardetto.

La costiera sulla quale sono costruite queste tre lunette si estende piegandosi lungo il mare sino a fronte dell’altura di Monte Acuto, dalla quale è divisa da un avvallamento lungo circa un chilometro.

 Un 600 metri dinanzi alla lunetta di Monte Pelago sulla costiera stessa e sulla strada del monte di Ancona ad Umana trovasi il casale di Pietra La Croce e 400 metri circa più in là su di una lieve eminenza che domina la strada suddetta il casino di Altavilla, presso il quale avevano i Pontifici eretta una barriera per i loro avamposti, e del quale partirono i nostri primi fuochi d’artiglieria contro il Pelago.

 Sulla destra a 1300 metri circa da Porta Pia volta a libeccio verso le alture del Pidocchio e di Montagnolo vi ha la lunetta di Monte Scrima, opera campale debolissima e insostenibile, perché da moti punti vicini battuta.

Queste opere avanzate di tracciati e costruzioni campali imperfettissime non potevano giovare gran fatto alla difesa di Ancona specialmente in quelle circostanze in cui, stante le loro distanze e la debolezza del presidio, non si potevano in forza occupare senza grave pregiudizio della principale difesa.   

Alle fortificazioni della cinta mancava pressoché dappertutto la strada coperta ed esisteva in stato inservibile . Gli spalti e tutta la zona esterna erano tuttavia coperti e intricatissimi da foltissimi giardini e siepi, da vigne, gelsi ed anche da case, che non si prese il tempo da abbattere.

La piazza era armata da 154 pezzi di cannone, dei quali 30 verso la marina, gli altri per la cinta dalla parte di terra, e di questi 14 erano pezzi da campo: numero per vero insufficiente anche per un semplice armamento, relativamente al circuito difensivo della piazza e delle opere distaccate. Di queste artiglierie di forma e provenienza quasi tutte diverse epperciò di malagevole servizio, stante la molteplicità dei calibri, 18 appena erano da 36, le altre inferiori tutte a questo calibro e niuna rigata.[5]

Questa conoscenza delle opere della Piazzaforte di Ancona dei sardi da anche una fotografia abbastanza completa di quello che Ancona era nel 1860. Una piazzaforte che, nonostante i miglioramenti effettuati dagli Austriaci durante la loro decennale occupazione, dal 1849 al 1859, presentava ancona notevoli deficienze per una difesa che potesse avere una qualche possibilità di successo.



[1] Precisamente nel Capo XIX, dedicato alla “Campagna di Guerra nell'Umbria e nelle Marche” Narrazione Militare “Assedio e Presa di Ancona”. Vds. C***, La Campagna di guerra nell’Umbria e nelle Marche. Narrazione Militare. Assedio e presa di Ancona V, in Rivista Militare  Italiana, Tipografia Editrice G. Cassone e Comp., Torino, Volume III Anno V, Maggio, 1861

[2] La Storia di Ancona è così riportata  (Estratto dalla Coreografia d’Italia, pubblicata dal Pagnoni) Vds. C***, La Campagna di guerra nell’Umbria e nelle Marche. Narrazione Militare. Assedio e presa di Ancona V, in Rivista Militare  Italiana, cit., pag. 135,136.    

[3] Questa Storia di Ancona è stata tratta dallo Estratto dalla Coreografia d’Italia, pubblicata dal Pagnoni e riportata dalla Rivista Militare. Vds. C***, La Campagna di guerra nell’Umbria e nelle Marche. Narrazione Militare. Assedio e presa di Ancona V, in Rivista Militare  Italiana, cit., pag. 135,136.  

[4] Coltrinari M., Coltrinari M., L’investimento e la presa di Ancona. La conclusione della campagna di annessione delle Marche. 20 settembre- 8 ottobre 1860, Roma, Edizioni Nuova Cultuta, 2010. pag. 59 e segg.

[5] C***, La Campagna di guerra nell’Umbria e nelle Marche. Narrazione Militare. Assedio e presa di Ancona V, in Rivista Militare  Italiana, cit., pag. 137 e segg.

 


Nessun commento:

Posta un commento