Ancona Piazzaforte Pontificia
1. La Piazzaforte di Ancona nello Stato Pontificio. La storia. 2. Le opere principali della Piazzaforte. 3. Il nemico è a conoscenza di tutti i dettagli della Piazzaforte 4. I miglioramenti della Piazzaforte del de La Moricière dall’aprile al settembre 1860. 5. I dati tattici della Piazzaforte: il terreno e le comunicazioni,i punti tatti, l’armamento. 6. La Guarnigione, la consistenza teorica e quella effettiva. 7. Le Caserme. 8. Il Vettovagliamento. 9. Il Morale
Massimo Coltrinari
3. Il nemico
è a conoscenza di tutti i dettagli della Piazzaforte
La difesa della Piazzaforte era svantaggiata dal fatto
che tutte le opere fortificatoria erano a conoscenza, fin nei minimi dettagli,
del nemico, ovvero del Comando Sardo, ovvero non si poteva fare affidamento su
eventuali azioni che lo sorprendessero nel corso delle operazioni. Inoltre,
come vedremo, la conoscenza esatta delle opere della Piazzaforte, permise al
generale Fanti di valutare appieno il risultato della giornata del 18
settembre. Fu in grado di valutare esattamente che la difesa Pontificia
non era in grado di presidiare e difendere le opere della difesa esterna di
Ancona, per mancanza di personale e quindi si poteva immediatamente investire
la difesa interna e tentare di conquistare la piazzaforte fin dai primi
attacchi.
La
Rivista Militare, a
conferma che il Comando era a conoscenza di ogni dettaglio sulla Piazzaforte, in
un numero edito nel 1861, presenta
Ancona come la principale stazione romana sull’Adriatico, e venne perciò
fortificata sin dai tempi dell’antichità ed ebbe a sostenere sino dai tempi più
antichi numerosi assedi per terra e per mare. Prosegue facendo un quadro generale che così si può
riportare: ““Ancona capitale
dell’antico Picenum, vuolsi sia stata fabbricata verso l’anno 408 avanti l’era
volgare da certi Siracusani che ivi si ripararono fuggendo le persecuzioni di
Dionigi il Tiranno; vuolsi inoltre derivato il suo nome da una parola greca
(Ancon) che significa gomito, tale essendo la forma del sito in cui se ne
gettarono le fondamenta. Fu una delle principali stazioni marittime dei Romani
sull’Adriatico, i quali si convertirono in colonia Romana circa 150 dopo la sua
fondazione. Vitige Re dei Goti l’assediò e la prese nel 538. In appresso fu
sottomessa dai Longobardi. I Saraceni la rovinarono poi nel 853 e ricadde nella
oscurità, rimanendo quasi ignorata durante le guerre civili dell’Italia e la
destra fortuna della veneta Signoria. Si dichiarò poscia repubblica ponendosi
sotto la protezione dei Papi, ma nel 1532 Clemente VII abusando di questo
patronato, se ne rese assoluto signore. Nel 1797 cadde in potere dei Francesi
.Il generale Le Monnier con un presidio di 2000 uomini strenuamente la difese
contro le forze collegate dei Prussiani, dei Turchi e dei Russi, degli
Austriaci e degli Inglesi che l’assalirono per mare e per terra e quando capitolò nel 1799 non aveva che poco
più di 200 uomini capaci di portare le armi. Il fatto è tanto più meraviglioso
in quanto che il Monte Cardetto ove intesero le maggiori offese, non era allora
fortificato, siccome lo fu poscia per ordine di Napoleone. Nel 1815 Ancona fu
occupata e quindi abbandonata dalle truppe napoletane capitanate dal Murat e
gli Austriaci la smartellarono in gran parte per farne saltare i bastioni.
Nella rivoluzione del 1831 dell’Italia media, Ancona fu ultimo asilo dei
sollevati e rimessa dai Tedeschi nella devozione del Papa. Fu nottetempo dai
Francesi sorpresa ed occupata per gli interessi della politica di quel Governo
e stanziarono nella cittadella, riparandone le ruine sino alla fine del 1838.
Gregorio XIV usciti i Francesi pensò porre questa piazza in buono stato di difesa
e vi fecero molte novelle costruzioni. Anche Ancona fra le città che
maggiorente si distinsero per l’eroismo del popolo nella guerra
dell’indipendenza italiana. Senza tener conto del patriottismo mostrato dai
ricchi e dai poveri suoi cittadini ad ogni modo di sacrifici, noi ci a menzionare l’eroica sua resistenza contro
gli Austriaci. Assalita da questi il 1° giugno 1849 perdurò nella difesa per
ben quindici giorni sotto un tremendo grandinare di bombe e di razzi e vi
perdurò in mezzo alla fame ed agli
spasimi della sete, giacché ogni lato di terra e di mare era dal nemico
strettamente bloccata, e la penuria del vitto e dell’acqua cominciò a farsi
sentire fino dai primi giorni dell’attacco. Con tutto ciò tanto era l’ardore
per la resistenza. Che
il solo parlare di resa era ritenuto delitto di morte. Ma anche la costanza
umana ha i suoi limiti; e dopo aver sofferto un tremendo bombardamento generale
che perseverò dal 14 al 17 giugno
stremati d’ogni esterno soccorso, quegli eroici cittadini dovettero piegarsi ad
un accordo, e lo stesso maresciallo Wimpfen, ammirato dal valore e dalla
costanza della difesa, concesse alla città una capitolazione assai onorifica,
la quale venne conchiusa la sera del 18. Dista 160 miglia a greco di
Roma, ed ha 25000 abitanti nelle sue mura; 38000 se vi comprendono tutti i
sobborghi e le vicine campagne.
Come si ebbe modo di sottolineare, le
sue fortificazioni, nel 1860, non erano tali da far classificare Ancona come
piazzaforte di primo ordine “attesochè
mentre esse non si possono riferire a verun sistema regolare e completo, e sono
in molti luoghi imperfette, difettose e deboli, le maggiori difese della piazza
consistono piuttosto nella configurazione naturale delle località, che nella
robustezza e maestria dei suoi antemurali. La città è sita a ridosso di uno
svolto montuoso della costa, in forma quasi di una semiconca aperta verso
maestrale. Due moli, l’uno (orientale) di solida muratura e armato, l’altro
fatto di grossi macigni sovrapposti alla rinfusa, ne chiudono il porto che è
assai spazioso e sicuro, ed ha un ingresso largo poco meno di 500 metri. Verso la
marina la città non è difesa che da alcuni parapetti di pietra e da bastioni
quasi tutti scoperti sino ai piedi, se pur si accentua il tratto di mura fra
Porta Pia ed il bastione di Sant’Agostino, che solo merita il nome di
fortificazioni; indi in là, sono aperti gli scali del porto.
A manca la cinta cittadina si appoggia al
Lazzaretto, ch’è è una specie di grosso ridotto di muratura circondato da un
braccio di mare e comunicante colla terraferma per un ponte di legno. Questo
ridotto è sotto il fuoco del fronte di Porta Pia , della spianata di Capo di
Monte nonché del bastione maestrale della Cittadella. Tre pezzi armavano i
bastioni del Lazzaretto per battere l’ingresso della rada, mentre le altre
batterie del porto ne avevano soli 25 né potevano averne di più; ed erano
questi per calibro e portata di gran lunga inferiori ai nostri.
A destra, l’estremità del molo orientale è
difesa dalla batteria della Lanterna a tre facce e a due piani, l’uno in
barbetta, armato di 3 pezzi, casamattato, l’altro portante 9 pezzi, cioè 3 per
ogni faccia. Questa batteria per la sua posizione troppo avanzata nel mare ed
isolata dalle batterie della costa, non potendo fornire contro i legni
d’attacco, se non se un fuoco divergente, mentre ne viene battuta da un fuoco
concentrato riesce di non gran valore, e assai compromessa.
Più indietro al porto il bastione di S. Agostino
armato di un sol pezzo da 18 e quello di Santa Lucia armato di 3 pezzi dello
stesso calibro, sono ben meschine difese. Verso tramontana alla punta e sul
rialto di Monte Marano havvi una batteria di questo nome protetta da un’altra
scogliera e destinata a battere quegli accessi marittimi collegando per quella
parte le difese marittime colle terrestri.
Dal lato di terra le fortificazioni sono
assai più solide che non le marittime. La cinta è ivi rafforzata in due punti
culminanti alle sue estremità: alla sinistra ( a greco) il cavaliere dei
Cappuccini; alla destra ( a ponente) la cittadella col campo trincerato. In
questo tratto di cinta sono aperte due porte, poco discoste l’una dall’altra, la porta Farina e la porta Calamo,
fiancheggiata la prima dalla faccia sinistra del bastione di San Pietro, e
protetta la seconda dalla batteria degli Zoccolanti.
Le maggiori difese del cavaliere dei
Cappuccini sono rivolte al mare verso levante a proteggere quella costa ,
mentre la sua spala destra batte la falda occidentale di Monte Cardetto e
fiancheggia il bastione di S. Pietro verso piazza degli Orti.
La Cittadella è un grosso ridotto a 4 fronti
irregolari e a 3 bastioni che spalleggiando la destra della cinta, ne unisce le
difese terrestri alle marittime per mezzo del fronte di Porta Pia.
Sull’estremità sinistra a 450 metri al Cavaliere
dei Cappuccini, sul monte Cardetto (300 metri sul livello del mare) riscontrasi
quale opera avanzata il forte detto del nome di esso monte. Questo forte,
formato di un fronte bastionato con rivellino è rivolto ad ostro e batte la
piana degli orti non che le alture di Santo Stefano e di Monte Pulito; il suo
mezzo bastione di manca si appoggia agli scogli della costa, mentre il bastione
di destra, che per una strada coperta si congiunge alla cinta della piazza
sotto il cavaliere dei Cappuccini, difende gli accessi di Porta Farina e di
Porta Calamo, e batte la rada con tiri piuttosto ficcanti. Le sue
fortificazioni sono di buona muratura e di moderno sistema, costruite per
ordine di Napoleone susseguentemente all’assedio del 1799 e poscia perfezionate
dal governo pontificio.
Ad rafforzar la destra, dinanzi la Cittadella
havvi il campo trincerato, grossa doppia corona di pressoché 400 metri di capitale;la
quale fiancheggiava a levante le difese della cinta incrocicchiando i suoi
fuochi con quelli del Cardetto, difende di fronte l’altura del Monte Marino e
la strada del canale di Camerino, ed appoggiandosi a destra sulla strada
coperta della cortina occidentale della Cittadella batte con tiri efficaci le
falde delle alture di Monte Scrima, nonché la strada postale da Osimo e
l’ingresso di borgo Pio. Questo borgo
prolungandosi sulla spiaggia per quasi un chilometro ai piedi dell’erta della
Cittadella la quale perciò non può difendere se non con tiri troppo ficcanti e non
essendo protetto che dalla semplice cortina di Porta Pia è, come ben lo dice il
generale pontificio nella sua relazione, una seria difficoltà per la difesa,
poiché i caseggiati del borgo favoriscono gli approcci dell’assediante, come di
fatto avvenne, malgrado che quelle vie fossesi difficoltate con alcune
tagliate, la difesa delle quali neppur tentarono i Pontifici dinanzi ai nostri
bersaglieri.
Quattro lunette costruite di terra (
nell’ultima occupazione degli Austriaci nel 1849) ed indifese ala gola,
eccettuando però quella di Santo Stefano ( la quale ha le sue scarpe in
muratura ed un piccolo ridotto interno) coronano i punti più elevati della zona
esterna. Sul punto culminante della costiera che diparte dal rialto del campo
trincerato e protendosi verso mezzogiorno, trovasi più d’ogni altra avanzata la
lunetta di Monte Pelago, la quale domina la cinta di Ancona alla distanza,però,
di 2000 metri.
Più indietro e meno elevata quella di Monte
Pulito a 1000 metri
dagli spalti del campo trincerato. Intermedia a questo ed alle precedente
lunetta trovasi quella già nominata di Monte Santo Stefano, ch’è fiancheggiata
dal campo trincerato del Gardetto.
La costiera sulla quale sono costruite
queste tre lunette si estende piegandosi lungo il mare sino a fronte
dell’altura di Monte Acuto, dalla quale è divisa da un avvallamento lungo circa
un chilometro.
Un 600 metri dinanzi alla
lunetta di Monte Pelago sulla costiera stessa e sulla strada del monte di
Ancona ad Umana trovasi il casale di Pietra La Croce e 400 metri circa più in là
su di una lieve eminenza che domina la strada suddetta il casino di Altavilla,
presso il quale avevano i Pontifici eretta una barriera per i loro avamposti, e
del quale partirono i nostri primi fuochi d’artiglieria contro il Pelago.
Sulla
destra a 1300 metri
circa da Porta Pia volta a libeccio verso le alture del Pidocchio e di
Montagnolo vi ha la lunetta di Monte Scrima, opera campale debolissima e
insostenibile, perché da moti punti vicini battuta.
Queste opere avanzate di tracciati e
costruzioni campali imperfettissime non potevano giovare gran fatto alla difesa
di Ancona specialmente in quelle circostanze in cui, stante le loro distanze e
la debolezza del presidio, non si potevano in forza occupare senza grave
pregiudizio della principale difesa.
Alle fortificazioni della cinta mancava
pressoché dappertutto la strada coperta ed esisteva in stato inservibile . Gli
spalti e tutta la zona esterna erano tuttavia coperti e intricatissimi da
foltissimi giardini e siepi, da vigne, gelsi ed anche da case, che non si prese
il tempo da abbattere.
La piazza era armata da 154 pezzi di
cannone, dei quali 30 verso la marina, gli altri per la cinta dalla parte di
terra, e di questi 14 erano pezzi da campo: numero per vero insufficiente anche
per un semplice armamento, relativamente al circuito difensivo della piazza e
delle opere distaccate. Di queste artiglierie di forma e provenienza quasi
tutte diverse epperciò di malagevole servizio, stante la molteplicità dei
calibri, 18 appena erano da 36, le altre inferiori tutte a questo calibro e
niuna rigata.”
Questa conoscenza delle opere della Piazzaforte di
Ancona dei sardi da anche una fotografia abbastanza completa di quello che
Ancona era nel 1860. Una piazzaforte che, nonostante i miglioramenti effettuati
dagli Austriaci durante la loro decennale occupazione, dal 1849 al 1859,
presentava ancona notevoli deficienze per una difesa che potesse avere una
qualche possibilità di successo.
Precisamente nel Capo XIX, dedicato alla “Campagna di Guerra nell'Umbria e
nelle Marche” Narrazione Militare “Assedio e Presa di Ancona”. Vds. C***, La
Campagna di guerra
nell’Umbria e nelle Marche. Narrazione Militare. Assedio e presa di Ancona V, in
Rivista Militare Italiana, Tipografia
Editrice G. Cassone e Comp., Torino, Volume III Anno V, Maggio, 1861
La
Storia di Ancona è così riportata
(Estratto dalla Coreografia d’Italia, pubblicata dal Pagnoni) Vds. C***, La Campagna
di guerra nell’Umbria e nelle Marche. Narrazione Militare. Assedio e presa di
Ancona V, in Rivista Militare Italiana, cit.,
pag. 135,136.
Questa Storia di Ancona è stata tratta dallo Estratto dalla Coreografia
d’Italia, pubblicata dal Pagnoni e riportata dalla Rivista Militare. Vds. C***, La Campagna
di guerra nell’Umbria e nelle Marche. Narrazione Militare. Assedio e presa di
Ancona V, in Rivista Militare Italiana, cit.,
pag. 135,136.
C***, La
Campagna di guerra
nell’Umbria e nelle Marche. Narrazione Militare. Assedio e presa di Ancona V, in
Rivista Militare Italiana, cit., pag.
137 e segg.
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