Ancona Piazzaforte
Pontificia
1. La Piazzaforte di Ancona nello Stato
Pontificio. La storia. 2. Le opere principali della Piazzaforte. 3. Il nemico è
a conoscenza di tutti i dettagli della Piazzaforte 4. I miglioramenti della
Piazzaforte del de La Moricière dall’aprile al settembre 1860. 5. I dati
tattici della Piazzaforte: il terreno e le comunicazioni,i punti tatti,
l’armamento. 6. La Guarnigione, la
consistenza teorica e quella effettiva. 7. Le Caserme. 8. Il Vettovagliamento.
9. Il Morale
1. La Piazzaforte di Ancona nello
Stato Pontificio. La storia
Un rapido cenno storico sullo sviluppo delle
fortificazioni di Ancona è stato già riportato in una precedente pubblicazione[2], ma
per completezza né riportiamo i punti essenziali, e dedichiamo anche per questo
lavoro ulteriori note sulla piazzaforte.
Le vicende delle fortificazioni di Ancona furono
variegate Le antica mura prima greche e poi romane e tardo romane scomparvero
in virtù della demolizione che fecero i Saraceni nell’846; furono ricostruite
in epoca longobarda e brillantemente ressero all’assedio del 1173.[3]
Ebbero ulteriore sviluppo nel secolo XIII, inglobando l’erta di Capodimonte, e
si allargarono ulteriormente nel XIV secolo, anche per fronteggiare la minaccia
turca.
Le migliorie che dal Cinquecento in poi sono state
apportate alle mura d’Ancona sono dipese dalla volontà di attuazione dei vari
Papi susseguitesi al soglio.
Clemente VII, nel 1530 ottenne dai Magistrati della Repubblica d’Ancona l’assenso a
fortificare ulteriormente Capodimonte; in realtà, due anni dopo nel 1532,
grazie all’opera dell’ingegner Antonio Piccoli, detto Antonio da Sangallo il
Giovane, costruì opere tali che permise al Papa di assoggettarla.[4] Ancona
perdeva la sua indipendenza e cadeva sotto il dominio del Papa, che durerà fino
al settembre 1860, divenendo un asse strategico fondamentale dello stato
pontificio e, a sostegno del potere temprale dei Papi, doveva essere
adeguatamente rinforzata. Iniziavano quindi quelle opere che trasformeranno
l’Ancona cinquecentesca radicalmente, dandogli l’impronta moderna e
contemporanea.
Il Sangallo, in
base allo sviluppo dell’artiglieria, costruì
le fortificazioni e la Cittadella, che divenne il nucleo fortificatorio
principale della cinta di difesa di Ancona, secondo le regole del sistema
bastionato. Il ruolo nuovo che Ancona assunse ed il suo sviluppo in potenza, lo
deve alla costruzione della Cittadella, a cui presto si aggiunse il Campo
Trincerato, sistemi fortificatori questi che saranno centrali nella difesa
pontificia del 1860.
Sotto Papa Paolo III i lavori iniziati continuarono:
furono costruiti i baluardi di San Pietro e di San Paolo, i cavalieri dell’Arsenale
e del Cassero, l’opera di San Marco e fu terminata
Gregorio XIII iniziò il muro del campo trincerato e
completò diverse opere, mentre il Gavitelli, il Lecchi e il Marchionni si
alternarono a migliorare la difesa del porto con varie opere.
Agli inizi dell’ottocento e fino al 1860 la storia
delle fortificazioni di Ancona si arricchì sempre più in virtù del susseguirsi
degli avvenimenti che videro la Dorico coinvolta. Dal 1798 al 1799 i Francesi
migliorarono significativamente le difese di Capo di Monte, eresse lunette a
Santo Stefano e allo Spirito Santo, oltre che ai Cappuccini e a monte Cardetto.[5] L’assedio
del 1799 è descritto così, nella sua Storia d’Italia, dal Botta:
“Meniva, con qualche trincea e forze di
artiglieria, la Montagnola, che domina la strada per Senigallia. Più vicino
alla piazza, fortificava con un ridotto frecciato, palizzato ed armato di 24
pezzi d’artiglieria, il Monte Gardetto, il quale, siccome quello che
signoreggiava la Cittadella e il forte dei Cappuccini, era di grandissima
importanza, ed il principale mezzo di difesa, perché se il nemico se ne fosse
impadronito, avrebbe fatto vano il resistere degli assediati. Aveva anche
munito il Monte Santo Stefano che più da vicino del Gardetto batte
Conquista Ancona, nel 1800 gli Austriaci provvidero a restaurala
dai danni subiti nell’assedio; fino al 1815 le fortificazioni, da parte dei
Francesi e dei Napoletani di Murat svolsero lavori di mantenimento e
miglioramento.
Il generale austriaco Geppert, dopo la sconfitta di
Murat a Tolentino nel maggio del 1815 ordinò la demolizione delle principali
opere di difesa di Ancona, che fu eseguita in parte anche con l’uso di mine;
vennero atterrate la lunetta di Santo Stefano e dello Spirito Santo; gravi
danno ebbe a subire il forte di monte Cardetto, il cavaliere basso della
Cittadella e diversi salienti del Campo Trincerato e del forte dei Cappuccini.
L’opera di ripristino e di costruzione riprese nel
momento in cui Ancona passò di nuovo sotto il potere dei Papi. Pio VII ordinò
di fermar ogni demolizione e qualche opera ricevette dei restauri.
Nel 1831 ritornarono gli austriaci, seguiti dal
francesi che vi rimasero dal 1832 al 1838, che migliorarono alcune opere e
costruirono trinceramenti verso Monte Pulito e Monte Pelago.
Gregorio XVI, nel 1839, tra le altre iniziative, fece
eseguire restauri dell’opera di Capodimonte
e fece ricostruire il cavaliere da basso della Cittadella.
L’assedio del 1849 vide le opere fortificatorie di
Ancona in primo piano. Gli austriaci nel porre l’assedio, presero monte Pelago,
monte Pulito e monte Marino. Ripristinarono e ripararono, rinforzandole, queste
opere da cui lanciarono l’attacco finale alla città.
Durante la loro occupazione, dal 1849 al 1859,
eseguirono nuove riparazioni alla lunetta di Santo Stefano, al forte dei
Cappuccini, ed al forte di monte Cardetto.
[1] Non
certamente con qualche rimpianto per l’opera degli Architetti Militari, a
fronte delle realizzazioni degli Architetti Civili che hanno realizzato, su
aree completamente vergini prima agricole, agglomerati con un basso rapporto
spazio/volume, strade strette e contorte, pochissimo se non inesistente verde,
parcheggi inesistenti, viabilità a scarso indice di scorrimento, per non dire
del rapporto paesaggio/ambiente, ed altre “deficienze” che rendono la vita
quotidiana nei nuovi quartieri all’anconetano del nuovo millennio veramente
difficile. Speculazione e interessi di bassa leghe sono stati i fattori
dominanti delle scelte urbanistiche, a tutto svantaggio della collettività e di
Ancona.
[2] Coltrinari M., L’investimento e la presa di Ancona. La
conclusione della campagna di annessione delle Marche. 20 settembre- 8 ottobre
1860, Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2010.
pag. 59 e segg. Ritenendo, peraltro, che il Lettore non abbia la volontà o la
possibilità di consultare la pubblicazione predetta, riportiamo di nuovo qui,
integrandolo, gran parte di quanto si scrisse in quel capitolo dedicato alla
piazzaforte di Ancona. Vds nota 26. (controllare)
[3] Per
questo assedio vds. Morroni M. (a cura di), Boncompagno da Signa, L’assedio di Ancona nel 1173 (Liber de
obsidione Ancone), Ancona, Edizioni Canonici, 1991; Garbini P., (a cura
di), Boncompagno da Signa, L’assedio di
Ancona nel 1173 (Liber de obsidione Ancone), Roma, Libreria Editrice
Viella, 1999; per una sintesi dell’Assedio vds, Turchetti M., Quadro storico. L’assedio del
[4] Per l’opera del Sangallo e
degli altri architetti militari vds. il paragrafo seguente.
[5] Le fortificazioni erano
abbastanza efficienti che permisero al generale Monnier di resistere per oltre
tre mesi, fino al novembre 1799, ad un assedio combinato di forze turche, russe
ed austriache, con soli 2300 uomini
[6] Botta F., Storia
d’Italia, Firenze Ediz. Librerie, 1888. Volume IV
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