Presentato
al Circolo Marchigiano di Roma, lo scorso 16 marzo 2013, il volume di Massimo Coltrinari,
L'ULTIMA DIFESA PONTIFICIA DI ANCONA
7-29 SETTEMBRE 1860
La fine del potere temporale dei Papi nelle marche.
Tomo I La piazzaforte
Roma, Editrice Nuova Cultura, 2012, pag. 346
Dopo le parole introduttive del Presidente del Cenacolo Marchigiano di Roma, gen. Duilio Benvenuti, l'Autore, Socio del Circolo, ha intrattenuto gli astanti sulle peculiarità del volume, che descrive Ancona nelle sue caratteristiche architettoniche ed urbane nella metà dell'ottocento.
La piazzaforte di Ancona era la seconda dopo Roma, e fu il perno centrale della difesa di fronte alla invasione delle marche e dell'Umbria delle forze sarde al comando del gen. Fanti
Il volume è reperibile in ogni libreria e può essere richiesto direttametne alla casa editrice all'indirizzo: ordini@nuovacultura.it
per informazioni e notizie sul libro stesso:www.stroiainlaboratorio.blogspot.com
Riportiamo di seguito la presenazione del Colonnello Osvaldo Biribicchi riportata nel volume
********
E’ sempre un successo quello
di mettere a disposizione di studenti e giovani ricercatori volumi come questo,
che è la risultante di ricerche documentate ed appassionate, volte a darci un
quadro, il più possibile aderente alla realtà, della nostra Ancona, in un
momento fondamentale della sua Storia recente.
Il volume si presenta in una
articolazione duplice:nella prima parte ci si dedica alla descrizione di Ancona
come piazzaforte pontificia alla metà dell’800; ne esce un quadro di Ancona dentro
le mura, espressione di quel dominio dei Papi iniziato nel 1532 quando, con
raggiri e azioni dubbi, soppresse l’autonomia civica di Ancona. Nella seconda
parte vi è la descrizione degli avvenimenti che si susseguirono, dal punto di
vista delle Autorità Pontificie, per la difesa della piazzaforte medesima e del
territorio non solo anconetano ma delle Marche
tutte. La preparazione, l’approntamento degli uomini e dei mezzi e poi
l’azione vera e propria a difesa della città.
Corre l’obbligo di ricordare
che questo volume è speculare a quello già pubblicato in questa collana che
tratta degli stessi argomenti e dello stesso periodo, ma dal punto di vista dei
Sardi, cioè di noi Italiani. Qualche tratto, nonostante ogni sforzo dell’Autore
per evitare ripetizioni o descrizioni ridondanti, è consimile per forza di cose
al libro già pubblicato; ma il lettore nè può trovare giovamento in quanto vede
la medesima situazione dalle due opposte angolazioni. E’ consequenziale dire
che questi due volumi, più quello dedicato allo scontro del 18 settembre 1860
nella vallata del Musone, si completano e si integrano.
Con la fine del Potere
temporale dei Papi, la Storia delle Marche diviene una Storia d’Italia. Nei
secoli precedenti ogni regione italiana ha avuto la sua Storia, ed i
rapporti tra le diverse regioni erano stati anche di intensa rivalità. Il
risultato di questa situazione fu un livello quanto mai basso, economico e di
qualità della vita, della nostra gente.
Le Marche erano povere, in
tutti i sensi, senza alcuna prospettiva futura, in una immutabilità quasi
eterna, sorretta solo dalla speranza di una vita migliore nell’aldilà, per chi
aveva fede.
Ma il significato ancor più
vero di questo termine di un era, quella papale, è da cogliere nell’inizio
della evoluzione dei rapporti all’interno della società marchigiana.
La ventata patriottica, come
osserva Denis Mach Smith, che iniziò a soffiare anche nelle Marche, intaccò
alle fondamenta quella gabbia invisibile che era il sistema patriarcale della
famiglia. Il Giovane era fin dalla più tenera età ingabbiato ed imprigionato,
anche dopo il matrimonio, nei palazzi aviti, in compagnia di diverse
generazioni di parenti, più o meno influenti. I Genitori erano austeri ed
autoritari, in una condizione familiare ed educativa che non lasciava spazio
alcuno alle esigenze individuali o alla iniziativa del giovin rampollo. La
possibilità di evolversi, come lo studio, ma soprattutto i viaggi, erano
pochissime mentre, tranne la indispensabile arte della scherma, non vi era la
possibilità di praticare nessun sport o attività fisica consimile.
Esempio di tutto questo, per
noi marchigiani, era la
famiglia Leopardi, con Monaldo e Giacomo i prototipi della
situazione sopradescritta. La ventata liberal-democratica portava a scardinare
tutto questo ed ad aprire orizzonti nuovi, sia sul piano umano che su quello
sociale. La speranza per il Giovane di uscire da tutto questo era “il nuovo”,
quello che non si poteva nominare, “la rivoluzione”
Ancona non poteva non
beneficiare di tutto questo. La partecipazione popolare non fu massiccia come
certa pubblicistica risorgimentale volle ancor oggi accreditare, ma elitaria.
Come sempre accade sono le avanguardie che manifestano i sintomi del nuovo ed
aprono alle masse il futuro.
Ancona espresse nel suo seno
elementi che rafforzarono queste avanguardie sia nel decennio di occupazione
austriaco sia nel 1859, quando avvertì l’esigenza che il presente non poteva
più essere accettato.
La precocità di questi
sentimenti e la incapacità di tradurli in azione, impedirono ad Ancona ed alle
Marche di seguire la scia degli avvenimenti, in quel fatidico 1859, delle
Legazioni, ovvero di Bologna e delle Romagne. Un rimprovero che i Patrioti
emiliani e romagnoli rivolsero a quelli marchigiani ed a quelli anconetani, in
particolare. Con interesse ho appreso che su questo aspetto è in preparazione
un volume dedicato proprio all’Ancona del 1859, premessa interessante per
comprendere non solo gli eventi qui descritti riferiti al 1860, ma la genesi
dell’azione di Garibaldi e la concezione di quella spedizione dei Mille, epica
e fondamentale per il processo unitario italiano, che proprio nel fallimento
dell’azione dell’Eroe dei due Mondi della azione su Ancona trova la sua prima
istanza e ispirazione.
Il vecchio era ancora troppo
radicato per permettere di imporre il nuovo dal basso e dall’interno, come in
Romagna e in Toscana, tanto era ferreo e conservatore il sistema di controllo
pontificio, con un clero medio-alto sostanzialmente in ritardo sui tempi,
chiuso in una visione settecentesca della società e della politica.
Non si riuscì a staccarsi da
Roma con le proprie forze, e ci vorrà un intervento esterno per riuscire ad
inserire le Marche nel processo unitario nazionale italiano.
Queste avanguardie, in
quanto, tali provocarono la reazione di quel governo Pontificio che ancora era
convinto che la situazione fosse rimasta, nei rapporti di forza, al 1849.
Convinto nel 1859, dopo aver
ripreso il controllo dello Stato e dei territori, che il vero problema era la
riconquista delle Romagne, nel 1860 si affidò ancora una volta alla protezione
delle Potenze Cattoliche, Francia ed Austria. Aggiunse a questo l’impegno
diretto, attivo alla difesa dello Stato e del suo territorio. Una difesa che
escluse totalmente, nelle motivazioni, l’elemento italiano, rinunciando “de
facto” all’aiuto di quella parte della popolazione che mostrava simpatie per il
Soglio Papale, affidandosi ai Cattolici di tutta Europa, approfondendo ogni
giorno di più il solco con il proprio popolo.
Si credeva che con la forza
delle armi si poteva, come nel 1849, arrestare e schiacciare questa
“rivoluzione” liberale borghese e in parte democratica, che era il
Risorgimento.
Si corse a mettere in piedi
una difesa dello Stato, Le Marche e l’Umbria, senza badare ai mezzi, convinti
che la vittoria avrebbe coperto ogni cosa. Una difesa che, come emerge dalla
lettura di questo volume, è una serie di errori in tutti i campi veramente
sorprendente.
Come quelli che l’hanno
preceduto, il volume ancora la descrizione a fonti documentali affinchè il
giovane studente, a cui è diretto, possa avere elementi di riflessione e di
discussione e non versioni preconfezionate. In sintesi, un volume più per la riflessione che per la
lettura occasionale.
Osvaldo Bribicchi