Ogni occasione appare opportuna per sollevare
questioni che si possono poi rivolgere a favore di Ancona. Ponendo subito sul
tappeto il motivo del cotendere, ci si chiede perché Ancona, nella Storia
Italiana, non sia considerata una delle sue repubbliche marinare, al pari di
Venezia, Genova, Pisa ed Amalfi e quando sia ingiusto escluderla dal novero di
queste repubbliche. Si legge sul Rizzoli-Larousse “Se si vuole parlare di Repubblicheper i Comuni medievali bisogna però
vederle come Repubbliche oligarchiche; e spressioni di determinate classi
politiche feudali o economiche e mercantili, come avvenne per alcune città
marinare; ma anche per queste il termine di Repubblica nell’attuale accezione
si può applica, forse, solo per Pisa, giacchè Venezia e Genova eran vere
signorie ed Amalfi stava sotto il dominio del vescovo locale.”
Non si può non concordare con il Baldoni quando
asserisce che Ancona, repubblica
marinara “è una realtà (e) dobbiamo resuscitarla dinanzi ad un Italia a
volte disattenta sui valori storici attendibili. La città di Ancona è stata una
Repubblica marinara. Ne fanno fede storici autorevoli. Le galee della
Repubblica marinara anconitana. Sempre si legge nel Rizzoli Larousse
“contendevano ai Saraceni, ai Normanni ed a Venezia il commercio adriatico.
Compresa poi nella Marca, dal 1177 godette delle libertà comunali”
Spazio non vi è in questo lavoro per approfondire
questo interessantissimo argomento, che però diamo per scontato. Lo stesso
Santini non sembra avere subbi in proposito. Scrive, ad introduzione del suo
volume “Emul e
rivale della Repubblica veneziane, Ancona, nel secolo VIV si era affermata in
potenza nell’Adriatico ed in Oriente, ove ambasciatori, consoli e mercanti
avevano attenuto privilegi ed accumulate ricchezze. Accordi, alleanze ed
aicizie garantivano il benessere acquistato; milizie di terra e di mare, flotta
munita ed armi in gran copia ne tutelavano la libertà ed il prestigio. Prospera
e fiorente, la città di accrebbe in tale periodo, si rafforzò e si abbellì e,
pur rivolgendo le sue migliori attività ai commerci ed alle industrie, seppe
concedere adeguato impulso alle arti, ed alle scienze ed agli studi; sicchè
cittadini di ingegno e di dottrina poterono affermarsi, in varia misura, nel
campo della politica, nel campo religioso, scientifico, letterario, guerresco.
Periodo questo ascensionale, cui succede, nella seconda metà del secolo XIV un
ciclo di avversità e di lotte, culminato nel 1383 nella vittoria che concederà
ad Ancona la libertà già menomata da un trentennale e più soggezione. Delle
vicende tumultuose ed irrequiete che inquadrano questo periodo storico, ne sarà
fatto cenno narrando degli avvenimenti anconitani ma solo sinteticamente, che
una trattazione adeguata ci condurrebbe assai lungi dal nostro proposito”.
La prosperità di Ancona come repubblica marinara
iniziò ad essere compromessa per dissidi interni. Nle 1342 ad Ancona scoppiò
una rivolta delle classi meno abbianti contro le classi nobili e le arti
maggiori. A differenza delle altre città della Marca che avevano una economia
prevalentemente agricola, Acona aveva una economia diversificata ove le classi
meno abbienti avevano conquistato posizioni di rileivo nel campo dei commerci e
della navigazione. La vecchia nobiltà che teneva da lungo tempo il monopolio
degli affari e che basava la sua ricchezza sulle proprietà terriera nel contado,
aveva da sempre occupato i posti di prestigio e di dominio nella
amministrazione della libera Repubblica. Di fronte a questa situazione, in cui
l’inevitabile evoluzione dei ceti inferiori iniziava a minare il potere,
mettava in atto tutte quelle misure atte a soffocare le aspirazioni delle clasi
popolari che ormai si setniva parte integrante e necessaria ed inostituibile
della vita politica ed economica di Ancona. Inevitabile lo scontro. La rivolta
scoppioò inevitabilmente ed i popolo prese il potere, uccise una parte dei
nobile e molti di questi furogo costretti alla fuga, con l’inevitabile corollario
di violenze e saccheggi delle case dei fuoriusciti.
Scrive il Leoni
“avidi della
vendetta quei nobili macchinarono contro la
Patria (Ancona) ed unitesi al
capitan Simone di Corrado il quale era a capo di 300 cavalieri, oltre a molti
riminesi e lombardi, per tradimento di acuni dei nostri loro adrent entrarono
in città in tempo di notte. Accortesi appena gli Anconitani del tradimento,
illuminarono subitamente tuta la città, ed armatesi vennero a zuffa con quei
ribaldi. Fu un sanguinoso ed ostinato azzuffamento, ma ventuo giorno furon costrtti
i traditori a darsi alla fuga, lasciando 200 morti, in fa li quali ancora il
loro capitano Simone.”
Ma la questione non sembra essere finita qui.
Nonostante che il Senato di Ancona cercasse di riportare ordne e calma,
cercando di superare gli odi, i nobili fuoriusciti trovarono accoglienza e
rifugio presso Maniotto di Messer Thoma di Jesi, tiranno di Rosora.
“Irritati gli Anconetani
spedirono colà delle truppe e preso
d’assalt Rosora a ferro e fuoco andò in ruina, trasportando in Ancona le porte
e le campane di quell’odiato castello.”
Ritronata la pace sociale Ancona andò incontro a
giorni tristi perdendo per tutto il cinquantennio successivo la propria libertà
che conquisto proprio con la distruzione della Rocca di San Cataldo nel 1583.
Il testo che si può prendere a riferimento per
questo periodo è quello di Oddo di Biagio, che il Baldini descrive come
testimone diretto e parte attiva dei fatti stessi, mentre Gualteiro Santini lo cita in bibliografia,
anche in modo indiretto.
La debolezza di Ancona, che cadde in mano straniere
nei decenni successivi, è da imputarsi inizialmente a calamità naturale. La pestilenza che aveva
colpito l’Italia centro-settentrionale non risparmiò Ancona, pestilenza che
uccise i nove decimi della popolazione
di Ancona. A tale disastro si aggiunse, il 13 luglio del 1348, un incendio di
vastissime dimensioni che distrusse Ancona per la
maggior parte.
Venne in soccorso Giovanni de Messer Pagnone de Cunis con 300 uomini, da
Congoli, che per questa sua benemerenza fu eletto Podestà, che in que clima di
disastri, morì dopo tre mesi e fu sepolto nella cattedrale di San Ciriaco. Al
suo posto fu eletto Messer Bortole, il figlio.
La rivolta delle classi non nobili, la peste e
l’incendio, non potuto contrastare per pochezza di mezzi e eid uomini, avevano
così indebolito Ancona che era alla mercè di chi avesse un minimo di potere.
La Marca settentrionale era dominata a quel tempo
dal Signore di Rimini Malatesta dei Malatesti e da suo fratello Gualtiero.
Questi, conosciuto lo stato di Ancona, anche per l’azione di alcuni Nobili e di
alcuni fuoriusciti politici a causa dei fatti della rivolta del 1342, ed anche grazie ad accordi segreti ed al tradimento del
Comandante della Rocca di San Cataldo, tale Vanni da Tolentino, nella notte fra
il 6 ed il 7 dicembre 1848 si impadronirono della città. Alcune case furono
saccheggiate, ma Malatesta fece restiture e risarcire i proprietari ed
iniziarono una occupazione non tirannica e dispotica.
Fu un episodio importante perché Ancona, che fino al
1342 godeva di ricchezze ed era florida, in pochi anni perse non solo il suo
potere economico ma anche le sue libertà; unica città della Marca fino a quel
fatal 1348 aveva resisto ai tiranni, ma a causa della rivolta popolare dovuta
alla ottusità di una nobiltà ancorata al passato e gelosa delle sue
prerogative, alla pestilenza, che aveva in pratica decimato quasi totalmente la
sua popolazione e a causa di un incendio che non fu possibile contenere e
domare data la scarsità degli uomini rilevandosi quindi devastante, causa anche di alcuni suoi figli non certo
migliori, cadde sotto il gioco del tiranno, nella fattispecie Malatesta dei
Malatesti da Rimini, il cui dominio, con la conquista di Ancona, si stendeva da
Pesaro ad Ascoli occupando tutta la Marca.
Dal 1348 al 1355 I Malatesta presero ogni misura per
potenziare Ancona. Fortificarono e potenziarono la Rocca di San Cataldo,
costruirono un'altra Rocca, oggi scomparsa, dove oggi è piazza del Forte,
ovvero dove sorgeva Porta di Capodimonte, e, nella cintura esterna di Ancona
fortificarono Paterno. Nel
1349, citando il Leoni, si ha notizia della costruzione di un castello “lungo la strada maestra” denominato le
Torrette da Liberio Bonarelli, che
negli anni successivi fu distrutto dall’azione del mare; nell’area vi rimasero
un gruppo di case con la chiesa parrocchiale, che conservò il nome delle
Torrette.
Da queste brevi note sembra, quindi, che l’attuale località delle Torrette
abbia questo nome, anche se nel 1860, al momento della invasione sarda la zona
era denominata anche “Torretta”.
Data la scasità della popolazione, i Malatesta
fecero ogni sforzo per attirare persone in Ancona e ripopolarla: furono
promulgati bandi e leggi che accordavano prebende, privilegi ed ogni
agevolazione a chi si fosse stabilito in Ancona. Queste predisposizioni stavano
avendo successo quando, nel 1349 scoppiò di nuovo la pestilenza, portata sembra
dai nuovi venuti, che però cessò quasi subito e non ebbe ulteriori conseguenze.
massimo coltrianri