Sta per essere pubblicato il volume n. 21 della Collana Storia in Laboratorio"
dal titolo
"Le Marche e la Prima Guerra Mondiale: il 1914"
Le Brigate di fanteria "marchigiane"
Brigate "Marche" "Ancona","Macerata", "Piceno", "Pesaro"
Copertina provvisoria soggetta a variazioni |
Proponiamo un paragrafo del volume dedicato ad uno dei temi più scottanti relativi alla preparazione della Prima Guerra Mondiale
DIFENDERSI
SUL PIAVE O SULL’ADIGE
1.4. La difesa del confine orientale.
Nelle memorie del gen.
Cadorna emerge chiaramente come il patto di Londra dell’aprile 1915 e le sue
clausole sia stato predisposto e negoziato nella assoluta non conoscenza e
partecipazione dello Stato Maggiore dell’Esercito.
Cadorna lamenta che nulla era
stato preventivamente concordato e coordinato, tanto che ancora nella primavera
del 1915 l’Esercito era orientato sia ad una guerra alla Francia che una guerra
ai confini orientali. E fu, quindi, perso tempo prezioso.
Questo scollamento tra diplomatici
e militari è grave in quanto la questione
di una guerra ai confini orientali era sul tappeto da tempo. Mancavano i
dettagli, ma nelle sue linee generali lo Stato Maggiore aveva predisposto piani
per una guerra all’Austria già dal 1882.
a. Il piano di difesa di Ricotti Magnani 1870 - 1885
Al momento della stipulazione
della Triplice Alleanza l’Italia era schierata decisamente con Germania e con
l’Austria; l’alleanza stava a significare un preciso atteggiamento
antifrancese. Tutti gli studi erano
orientati ad occidente, sul confine con la Francia e con la Svizzera. Ma non si
credeva opportuno limitarsi a studiare piani in funzione antifrancese. In via
cautelativa si iniziò a predisporre piani anche verso il confine orientale e
predisporre le misure più idonee nel caso di una guerra isolata con
l’Austria-Ungheria.
Nel 1870 l’idea generale di
difesa era quella messa in atto dal gen. Ricotti-Magnani, che aveva individuato
nella zona di Piacenza-Stradella, in cui radunare tutto l’Esercito, centrale,
nella Pianura Padana, per poter fronteggiare la minaccia, da nord, da qualsiasi
direzione provenisse.
Il documento fondamentale a
firma di Ricotti-Magnani ha titolo “Relazione
alla Commissione per lo studio della sistemazione a difesa nel teatro di
guerra a nord-est”, relazione
presentata alla Camera nella seduta del 25 novembre 1870.
Era una concezione che
resistette tra il 1870 ed il 1880. Con la costituzione della carica di Capo di
Stato Maggiore nel 1882[1], dopo
le manovre in Umbria, con baricentro Foligno, che vide l’impiego a partiti
contrapposti di ben due Corpi d’Armata, con oltre 60.000 uomini. La situazione
era mutata e si sentiva la necessità di mettere in essere studi su altri
approcci concettuali.
I nuovi piani sono
interessanti in quanto avranno importanza ed incidenza fino al piano generale
di operazioni formulato da Cadorna nel maggio 1915, con cui entrammo nella Grande
Guerra. I presupposti di questi nuovi studi erano dettati dal fatto che,
nonostante l’Alleanza in essere, l’Austria era pur sempre quello che la tradizione
risorgimentale definiva il “nemico ereditario”; inoltre, cosa a dire il vero
alquanto inquietante, l’analisi dettagliata del trattato che legava l’Italia
alla Germania ed all’Austria non era stato dotato di alcuna clausola militare,
clausola o clausole che stabilissero in termini chiari gli impegni da prendere,
e quindi, l’entità delle forze ed i loro schieramenti. Occorre dire che vi
furono intese a partire soltanto dal 1888, come già si è visto.
!916. Dedica del Generale di Brigata Pietro Badoglio alla Brigata "Ancona" |
b.Il piano di difesa di Enrico Cosenz 1885-1889
Infatti in quel 1882 il primo
Capo di Stato Maggiore[2], gen.
Enrico Cosenz, fece predisporre un piano[3]
particolareggiato dal ten. col. Viganò.[4] E’ il
primo studio organico di difesa del confine orientale, ma soprattutto è
importante perché il Trattato della Triplice Alleanza, firmato solo tre anni
prima, non prevedeva alcuna intesa militare, che stabilisse, in termini
concreti, gli impegni assunti e quindi l’entità delle forze e il loro
schieramento.
Il piano, era su sette
paragrafi: a) condizioni generali dell’Italia di fronte all’Austria; b) condizioni
iniziali dell’offensiva all’Austria; c) compito del Corpo Speciale; d) radunata
dell’Esercito e successivi spostamenti; e) condizioni di lotta durante il primo
periodo delle operazioni e passaggio dalla difensiva alla offensiva; f)
ritirata dell’Esercito in caso di rovescio sul Piave; g) svolgimento
dell’offensiva italiana verso Est. (Una di queste prevedeva anche
l’arretramento e la resistenza sul Piave, nella convinzione che il confine,
nella sua linea pedemontana, era indifendibile).
In pratica il piano prevedeva
una iniziativa austriaca, con l’ipotesi di una resistenza iniziale sul confine,
poi sul Piave; qualora questa fosse stata non sufficiente, si pensava di appoggiarsi
a sinistra sulla piazzaforte di Venezia, e appoggiarsi alle piazzaforti come
Cittadella e Bassano ed il centro avrebbe resistito sempre più in posto.
Lo studio poi prevedeva
l’ipotesi di operazioni offensive e controffensive verso est, che prevedeva
ipotesi che avrebbero permesso di assolvere il compito avuto, cioè di difendere
il confine orientale. Negli anni successivi le singole fasi del Piano vennero
sottoposte a sperimentazione mediante esercitazione per i quadri, previste
nell’ambito degli studi per gli ufficiali di Stato Maggiore.
Lo studio del Cosenz venne
via via perfezionato fino al 1889.
c.Il piano di Tancredi Saletta 1889 -1909
Negli
anni successivi le singole fasi del Piano Cosenz vennero sottoposte a sperimentazione
mediante esercitazione per i quadri, previste nell’ambito degli studi per gli
ufficiali di Stato Maggiore. Con l’assunzione alla carica di Capo di Stato
Maggiore del gen. Tancredi Saletta, il piano Cosenz fu sottoposto, a radicale
revisione, anche se parziali modifiche erano già state apportate a partire dal
1889. Tancredi Saletta lo aggiorna e predispone un nuovo piano nel 1904, che
nelle sue linee generali è sempre imperniato sul concetto di una difesa dalla
minaccia austriaca, cioè ha un impronta totalmente difensiva. Nonostante il rinnovo del Trattato della Triplice, i piani
sono sempre aggiornati. Sono i tempi, come detto, che il Conrad voleva una
guerra preventiva contro l’Italia ed il nostro Stato Maggiore non era
insensibile a questa minaccia.
Nel dettaglio, appena nominato capo di Stato
Maggiore, il gen. Saletta mise a verifica, attraverso
numerose esercitazioni con i quadri, le
diverse ipotesi operative prese in considerazione dal generale Enrico Cosenz,
in quanto appariva a tutti evidente che dovevano essere aggiornate.
Una prima innovazione fu
quella di assicurare una maggiore difesa delle coste italiane, ritenendo
opportuno schierare alcuni reparti rafforzando, nel meridione, alcuni punti
ritenuti essenziali per la difesa del Paese. Una divisione fu posta alla difesa
di Roma, una divisione fu inviata in Sicilia, un Corpo d’Armata in Puglia. Fu
sciolto il Corpo d’Armata Speciale, incaricato di operare ad ovest del Tagliamento, e le sue funzioni date a tre divisioni di cavalleria.
Sul Piave si dovevano attestare la 2a e la 3a Armata, che dovevano spingere tre
Corpi d’Armata tra Piave e Tagliamento, ed un quarto Corpo d’Armata si doveva
spingere verso Belluno.
La riserva, a livello di
Armata, venne dislocata più a nord rispetto allo studio Cosenz, nella zona di
Padova, Lonigo-Rovigo.
Era questo uno studio
innovativo che prevedeva, se tradotto, come fu, in piano operativo, una
radicale revisione di tutta la predisposizione per la radunata e per la mobilitazione. La
materia non fu di pertinenza del solo Stato Maggiore, ma anche di vari ambienti
politici, diplomatici ed economici e soprattutto fu centrale nelle discussioni
nei circoli militari italiani dell’epoca. Il dibattito sulla difesa del confine
orientale divenne oggetto di conferenze, dibattiti e polemiche, spesso anche di
qualche spessore. Appariva evidente che occorreva dare una concreta risposta
alla ipotesi, prima nemmeno formulata, di una eventuale guerra con
l’Austria-Ungheria. Anche il Parlamento non rimase estraneo al dibattito e
nelle tornate del 1899 e 1900 ribadì che si doveva dare una concreta attuazione
alla difesa del confine orientale.
Gli studi di Stato Maggiore
si infittirono. Si pose come cardine di ogni studio che, data la potenza
dell’Austria-Ungheria, l’Italia non poteva che assumere solo atteggiamenti
difensivi. Dibattiti sorsero in merito alla valutazione da dare alle possibilità
di difesa del Tagliamento: alla fine si arrivò alla conclusione che questo
fiume non poteva, per le sue condizioni idro-geografiche, essere un ostacolo
degno di nota su cui imbastire la difesa ad oltranza. Il fiume più adatto a
questa funzione si ritenne fosse il Piave, ricco d’acqua, almeno in quegli
anni, con sponde sopraelevate, ed appoggiato a due ostacoli naturali molto
efficaci, quali il Montello a nord e la laguna veneta a sud; inoltre questo
corso d’acqua era vicino ad importanti terminali ferroviari. Si concludeva, in
quei anni, la discussione, iniziata con Ricotti – Magnani, che la difesa doveva
essere imperniata non sull’Adige, ma sul Piave.
Il nuovo piano di guerra
aveva le seguenti caratteristiche e peculiarità:
. ulteriori 150.000 uomini
destinati alla difesa delle coste;
. la difesa del saliente
trentino-tirolese, si organizzò in due settori: l’occidentale, dallo Stelvio al
Lago di Garda, affidato ad un Corpo d’Armata autonomo su tre divisioni, con
aliquote di truppe alpine; l’orientale, alla 1a Armata, costituito da quattro Corpi
d’Armata;
. la riserva, costituita
dalla 4a Armata concentrata tra Monselice e Padova;
. sul Piave vi era il nerbo
delle forze italiane costituite dalla 2a e dalla 3a Armata;
. contro gli sbarchi lungo le
coste della penisola si lasciava un Corpo d’Armata in Puglia ed una divisione a
Roma.
Questo piano fu definito in
tutti i suoi particolari e si provvide alla diramazione a tutti i livelli;
completati e distribuiti anche i documenti di mobilitazione e di radunata.[5]
Francesco Aloe del 70 Reggimento Fanteria "Ancona", Brigata Ancona |
d. Il piano di Alberto Pollio 1909 -1914
Alberto Pollio subentrò a
Tancredi Saletta nel 1909. Sotto la direzione del gen. Pollio, l’Esercito uscì
dalla sua impasse. La situazione politica internazionale procedeva sempre più
evidentemente verso una maturazione che non lasciava adito a dubbi nei riguardi
di una soluzione bellica dei gravi e inconciliabili dissensi esistenti fra le
maggiori Potenze Europee. Al generale Pollio si poneva, perciò, il problema di
una sollecita preparazione dell’Esercito, in vista di un conflitto nel quale
sarebbe stato coinvolto. Numerosi provvedimenti, di vasta portata, e di
notevole impegno, furono avviati a realizzazione: un consistente aumento della
forza bilanciata, l’impianto di fortificazioni a sbarramento della linea del
Tagliamento, della Carnia, del Cadore; l’ammodernamento delle artiglierie,
alcune delle quali erano superate ed antiquate; la costituzione di notevoli
scorte di munizioni e di tutti gli altri mezzi materiali occorrenti per una
guerra che sarebbe stata di vaste proporzioni; il miglioramento del sistema
ferroviario nazionale la cui situazione limitava alla linea del Piave le possibilità di radunata dell’Esercito di campagna.
A questi problemi di natura logistica si affiancava quello prettamente
operativo che richiedeva, quale base primordiale, la revisione dell’intera
dottrina tattica alla luce delle evoluzioni intervenute in Europa negli ultimi
tempi. Furono affrontati, definiti o avviati a decisiva soluzione problemi
organizzativi e di potenziamento, quali:
. la sistemazione difensiva
della frontiera con l’Austria, che era stata esclusa, nei periodo precedenti,
dalle predisposizioni fortificatorie in base alla situazione politica
dell’alleanza in atto. Tale decisione si adeguava esattamente alle condizioni
del momento determinante dall’atteggiamento austriaco ed era indice preciso di
una evoluzione dei concetti e degli orientamenti politici italiani sul piano
internazionale.
. l’adozione della ferma
biennale per tutte le armi, ad esclusione dei Carabinieri, con estensione dell’obbligo di leva a tutti i
cittadini;
. incremento degli
stanziamenti ordinari di bilancio mediante assegnazioni straordinarie (che raggiunsero la cifra di 553 milioni)
ripartite in più esercizi;
. l’integrazione con
mitragliatrici dell’armamento della Fanteria e della Cavalleria;
. la progressione
sostituzione del traino animale con il traino meccanico, entro i limiti
dell’ancora scarso sviluppo di questo nuovo
e modernissimo mezzo tecnico;
. una prima creazione di una
organizzazione aerea;
. l’ammodernamento e il
potenziamento organico delle varie specialità di artiglieria (da campagna, a
cavallo, da montagna, pesante campale, d’assedio);
. l’organizzazione, su
razionale pianificazione, dei servizi di campagna.
Sul piano operativo i termini
operativi di debolezza erano quelle tradizionali: maggior tempo per
mobilitazione e radunata; rapporto di forze favorevoli (4 Armate contro le 12 o
di più dell’Austria-Ungheria); mentalità difensiva di Capi e di quadri. Per la
prima volta in uno studio dello Stato Maggiore dell’Esercito Italiano si
ipotizzava che, contenuto il nemico, seguendo le circostanze, si doveva riconquistare
il terreno perduto ed inseguire il nemico nel suo stesso territorio.
Il piano di Pollio messo a punto del 1913 prevedeva:
. la 1a Armata lungo il
saliente trentino dalla Valtellina-Valcamonica fino al Brenta;
. la 4a Armata a fronteggiare
la rimanente linea di confine trentino dal Brenta a Pieve di Cadore ed a difesa
dell’alto Cadore;
. la 2a Armata e la 3a Armata
sul Piave tra Montebelluna al mare. La prima delle due con un corpo d’armata
spostato in avanti verso il medio Tagliamento a sostegno dell’occupazione avanzata
della Carnia; la seconda, invece, avrebbe dislocato un altro Corpo d’Armata a
cavallo del Tagliamento inferiore ed a sostegno dell’occupazione avanzata del
basso Friuli e delle tre divisioni di Cavalleria che si sarebbero radunate ad
Udine, Codroipo e Latisana con il compito d prendere contatto con il nemico.
Due Corpi d’Armata sarebbero restati uno a Padova ed uno sul Mincio a
disposizione del Comando Supremo.
. era previsto anche un Corpo
d’Armata ed una divisione per la difesa del territorio da sbarchi dal mare e la
costituzione di un Corpo d’Armata d’osservazione lungo la frontiera svizzera.
Un interessante dato
riguardante la mobilitazione italiana è il cambiamento del concetto base,
avvenuto sul finire della gestione Pollio e l’inizio della gestione Cadorna
(inizio estate 1914). Fino al 1914, la
radunata e la mobilitazione si soprapponevano. In pratica i reparti giungevano
nelle zona di radunata e qui venivano implementati e completati per poi essere
inviati in zona di operazione. Dal gennaio 1915 questo concetto di
mobilitazione fu cambiato: si adottò il principio di compiere sul posto la
mobilitazione scindendola dalla radunata, ovvero di completare le unità ed i
reparti nei loro organici di guerra, nelle sedi stanziali, completare
l’addestramento e poi avviare unità e reparti alla zona di radunata per essere
prontamente impiegabili, senza ulteriori strascichi.
Questo sistema aveva
l’indubbio vantaggio di mandare al fronte reparti ed unità già costituiti ed in
grado di essere impiegati immediatamente, mentre con il precedente il
completamento avveniva afflusso durante.
Si ebbe, a margine, fitti
contatti con l’autorità politica, per definire il nuovo modello di
mobilitazione. In breve la radunata e la mobilitazione del vecchio sistema fu
definita “camoscio”, dal colore della carta su cui era scritta e stampata; il
nuovo modello la radunata e la mobilitazione fu definita “rossa” in quanto era
stampata su carta rossa.
In marzo Cadorna illustra ai
dipendenti comandanti di Armata i lineamenti della mobilitazione e radunata
“rossa”, e le peculiarità diverse rispetto a quella “camoscio”.
Pollio prese atto dei
miglioramenti nella organizzazione dell’Esercito, il buon fine raggiunto dalla
organizzazione in 1a, 2a, 3a, categoria che aveva dato la creazione e la disponibilità
di numerosi reparti della varie armi. Si apportarono miglioramenti, alla
vigilia dello scoppio della guerra, soprattutto nella difesa del saliente
trentino e la difesa degli altipiani, e soprattutto del settore Brenta-Piave
ritenuto molto critico.
Queste innovazioni non
portarono ad una riformulazione del piano, ma ad un successivo e consequenziale
aggiornamento della situazione operativa.
Nel 1913 il progetto operativo era ancora
vincolato alla difensiva: questo tenendo conto dei fattori di debolezza
dell’Esercito Italiano rappresentati dai tempi molto lunghi di mobilitazione e
radunata, dallo sfavorevole rapporto di forze con l’Esercito e dalla cronica
mentalità difensiva. Tutto questo
sommato significava che nelle prime settimane di guerra l’Esercito austriaco
avrebbe conquistato tutto il Veneto.
Pollio prevedeva, nel suo piano, che contenuto
nel migliore dei modi l’attacco nemico, ipotizzava una manovra controffensiva
da condursi sulla base delle circostanze del momento, al fine di conquistare il
territorio italiano invaso e inseguire il nemico nel suo territorio.
La caratteristica del piano di Pollio era che
prevedeva, come novità, la possibilità di una controffensiva da lanciarsi
appena avute le forze necessarie, dopo aver contenuto l’iniziale azione nemica.
Tutto questo Pollio lo
tradusse nelle “Norme generali per
l’impiego delle Grande Unità di guerra”, datato appunto 1913.
Il punto di forza del piano
Pollio era la constatazione che, in quell’anno, l’Italia, in un conflitto con
l’Austria, ben difficilmente si sarebbe trovata sola; le forze alleate giunte
in Italia avrebbero potenziato l’azione controffensiva, che mista anche all’irredentismo
ed altri fattori contingenti, avrebbe permesso di conseguire la vittoria in
termini accettabili.
e.Il piano Cadorna. 1914-1915.
La morte improvvisa per
arresto cardiaco, il 28 giugno 1914 del Pollio, la data dell’attentato di
Sarajevo, fece si che l’Italia perse una
delle menti più illuminate e capaci della storia militare del primo novecento,
soprattutto un generale capace di gestire la situazione in modo aderente alla
realtà, adattando la teoria alla pratica e alla situazione con elasticità.
Successe al Pollio il gen.
Raffaele Cadorna, che assunse la carica di Capo di Stato Maggiore il 27 luglio
1914, la data dell’ultimatum dell’Austria alla Serbia. Cadorna era sì
preparato, ma con un carattere rigido e schematico, poco amante della improvvisazione
e carente in modo assoluto di fantasia, caratteristica questa che non aiuta
molto nell’Arte della Guerra. Il 2 agosto 1914 l’Italia proclamò la sua neutralità.
I suoi metodi e le sue predisposizioni fanno sì che già il 21 agosto 1914 si ha
un piano con cui l’Italia possa affrontare la situazione a firma Cadorna. Porta
il titolo significativo: “Memoria
riassuntiva circa un’azione offensiva verso la monarchia austro-ungarica
durante l’attuale conflagrazione europea. Possibili obiettivi. Presumibili
operazioni da svolgersi”[6]
In questo documento
l’obiettivo fondamentale era da ricercarsi nel goriziano e nel triestino,
mentre quello secondario era il Trentino. Era presa in considerazione anche la
possibilità di effettuare sbarchi sulle coste dell’Impero, tra Fiume e Trieste,
a premessa di ulteriori operazioni verso l’interno. Erano ipotizzate anche operazioni
di sbarco tra Antivari e Metkovic con lo scopo di inviare delle forze di rincalzo
a quelle del Montenegro o per dare a queste un concorso diretto per poter procedere
all’occupazione dell’Erzegovina. La Memoria, una volta diramata, dette l’avvio
agli ordini di schieramento delle Armate. In pratica questa Memoria prevedeva
un attacco diretto all’Austria, prendendo subito l’iniziativa, disponendo di quattordici
divisioni lungo i 500 Km
di fronte dallo Stelvio alla Carnia, quindici nei 90 chilometri del
fronte principale, quello isontino, e sette di riserva, orientate al concorso
dell’offensiva principale. Le unità della Regia Marina erano orientate a sostenere
l’azione dell’Esercito, lì dove era necessario e richiesto. Il 1 settembre 1914
la Memoria fu tradotta in direttive di dettaglio alle Armate, in cui venivano
fissati i lineamenti per la radunata e la mobilitazione. Essenziale
era ridurre al minimo i tempi di
radunata, affinchè l’azione offensiva fosse efficace.
Altre disposizioni furono
emanate per gli obiettivi secondari, per l’organizzazione dei collegamenti e
per le informazioni.
Perdurando la neutralità, e
con l’arrivo della stagione invernale, il Comando Supremo prese in
considerazione l’ipotesi di inizio di una guerra durante l’inverno; in
conseguenza emanò direttive, il 15 ottobre, per aggiustamenti tali da poter affrontare
anche una campagna invernale.
La situazione rimane invariata per tutto il
1914. Il 27 gennaio il Comando Supremo, Ufficio del Capo di Stato
Maggiore-Mobilitazione, emana
direttive per garantire meglio i settori di copertura durante la mobilitazione
per prevenire azioni offensive nemiche. Molti reparti a ridosso del confine sono
portati ad organici di guerra.
Dopo di che il 1 aprile 1915 Cadorna
emanò le varianti alle direttive del 1 settembre 1914. Queste permettono di
passare, nel minor tempo possibile e senza grossi traumi, dalla concezione
difensiva a quella offensiva e quindi essere pronti alla guerra, che sembrava
sempre più ineluttabile.
Il Capo di Stato Maggiore
gen. Cadorna, sulla base del Trattato di
Londra in base al quale l’Italia si impegnava ad entrare in guerra entro il 26
maggio, emise ordini chiari già dal 16 maggio. L’ordine di operazioni n. 1
riporta quella data, 16 maggio 1915. Questo ordine di operazioni costituisce,
dunque, l’epilogo degli studi che lo Stato Maggiore sin dal 1885, iniziati dal
gen. Cosenz, si erano succeduti per analizzare e pianificare le possibili
operazioni sulla frontiera orientale.
Nella sostanza il Piano
Cadorna aveva questa architettura:
. 1a Armata (due Corpi d’Armata
ed una divisione) sulla fronte trentina dallo Stelvio a valle Cismon compresa;
. 4a Armata (due Corpi d’Armata)
nel Cadore;
. Corpo della Carnia: (un
Corpo d’Armata e sedici battaglioni alpini) dal Cadore al monte Maggiore;
. 2a Armata: (tre Corpi d’Armata)
dal monte Maggiore alla strada Cormons- Gorizia compresa;
. 3a Armata: (tre Corpi d’Armata)
dalla destra della 2a Armata al mare;
. riserva: (due Corpi d’Armata
di tre divisioni di milizia mobile ciascuno) tra Verona e Desenzano, più una
divisione dell’Esercito permanente a Bassano.[7]
L’entrata in guerra
dell’Italia ed il piano di Cadorna non diede i frutti sperati. Il piano
Cadorna, in tutta la sua essenza, era ispirato ad operazioni offensive figlie
dirette del concetto di una guerra breve e risolutiva, e tendenti a raggiungere
gli obiettivi strategici di Lubiana e di Trieste con gravitazione sul fronte
del basso Isonzo. Prima ancora che al mancato concorso degli Eserciti russo e
serbo, il fallimento del piano di operazioni di Cadorna fu dovuto a vari
fattori che posiamo definire “tecnici”: carenza di fuoco, carenza di materiali
adatti a superare le trincee ed i reticolati, scarsa organizzazione logistica. In
più non vi erano alternative ad una rapida e decisa offensiva iniziale.
In breve, anche sulla fronte
italiana come su quella francese, nel giugno 1915, quando fallisce l’azione
iniziale, dalla guerra di movimento si passa alla guerra di logoramento, guerra
ove tutto avviene in uno spazio ristretto che divora continuamente in misura
imprevista uomini e materiali e che dà origine ad un circolo perverso. La
vittoria può essere conseguita solo logorando in misura superiore l’avversario;
per logorare l’avversario bisogna attaccare; per raggiungere gli scopi sia pur
limitati dell’attacco bisogna accumulare uomini, cannoni, munizioni, materiali
in misura tale da stremare a loro volta le forze morali e materiali dell’avversario
e del paese, e ciò nonostante in misura sempre insufficiente.
Nelle prime due settimane di
guerra si vide che i piani erano insufficienti. Il voler a tutti i costi, dopo
le prime battaglie offensive, continuare con gli stessi criteri di impiego, ed
averlo ribadito per due anni di seguito fino a Caporetto, fu il più grave
errore da imputare al Cadorna. I piani per la difesa del confine orientale furono
fino al 1915 solo difensivi; questo avrà avuto una sua influenza nel momento
della massima crisi nell’ottobre 1917 dopo lo sfondamento di Caporetto. Occorreva,
con il senno di poi, fermarsi e riflettere di fronte alla incapacità di
conseguire, a fronte di elevatissime perdite, un qualche risultato positivo.
Quello che fecero i Tedeschi, ma, anche loro, solo dopo tre anni di guerra, e rivedere
tutta l’architettura concettuale della Guerra. Ma questo è un altra storia.
Le foto di questo post. sono state proposte da
Massimo Ossidi,
Vice presidente della Accademia di Oplologia e Militaria di Ancona,
che ha promosso la pubblicazione del volume
[1] La
carica di Capo di Stato Maggiore fu istituita su proposta del Ministro della
Guerra, Ferrero, nella sua configurazione di carica permanente, e fu approvata
dal Parlamento nel 1882 con R.D. n. 968, in data 11 novembre 1882.
[2] Dalla istituzione della carica di Capo di Stato
Maggiore, 29 giugno 1882, al 24 maggio 1915, ricoprirono tale carica i seguenti
generali:
.Ten. Gen. Enrico Cosenz
dal 1 settembre 1882 al 1 dicembre 1893
.Ten. Gen. Domenico
Primerano dal 1 settembre 1893 al 1 giugno 1896
.Ten. Gen. Tancredi
Saletta dal 1 giugno 1896 al 1 giugno 1908
.Ten. Gen. Emilio
Massone dal 27 giugno 1908 al 1 luglio
1908 (int.)
.Ten. Gen. Alberto
Pollio dal 1 luglio 1908 al 10 luglio 1914
.Ten. Gen. Luigi Cadorna
10 luglio 1914 al 8 novembre 1917.
[3] Negli Stati Maggiori di ogni Esercito è norma
predisporre piani che sono la diretta emanazione della politica ufficiale del
Governo in carica; inoltre è anche norma predisporre piani e studi che
sottendono ad ipotesi teoriche e realtà ufficiose, al fine di essere sempre
pronti, nella evoluzione della politica governativa o nel mutarsi della realtà
ufficiale ed internazionale ad affrontare con cognizione di causa ogni
evenienza.
[4] Lo studio aveva il seguente titolo: ”Studio circa la difensiva e l’offensiva
verso est”. Superava il concetto proposto da Ricotti-Magnani nel 1873 che
per la difesa dell’arco alpino l’Esercito Italiano si doveva schierare in modo
baricentrico all’arco stesso, e quindi prendere le decisioni sia essa
proveniente dalla Francia, dalla Svizzera o dall’Austria.
[5]
Ruffo M., L’Italia nella Triplice
Alleanza. I piani operativi dello Stato Maggiore verso l’Austria-Ungheria dal
1885 al 1915, Roma, Ministero della Difesa, Stato Maggiore dell’Esercito, Ufficio Storico, 1998,
pag. 157.
[6]
Cfr.: L’Esercito Italiano nella Grande
Guerra. Relazione ufficiale, Bollettino. II Bis Allegato 1, Ministero della
Guerra, Stato Maggiore dell’Esercito, Ufficio Storico, 1929
[7]
Ruffo M., L’Italia nella Triplice
Alleanza. I piani operativi dello Stato Maggiore verso l’Austria-Ungheria dal
1885 al 1915, Roma, Ministero della Difesa, Stato Maggiore dell’Esercito. Ufficio Storico; 1998,
pag. 167
[8]
Botti F., La Logistica dell’Esercito
Italiano (1831 – 1981), Roma, Ministero della Difesa, Stato Maggiore
dell’Esercito, Ufficio
Storico, 1991, Vol. II.
Il volume è disponibile in tutte le librerie dal 15 aprile 2015
Può essere richiesto alla Casa Editrice (ordini@nuovacultura.it) oppure alla Accademia di Oplologia e Miloitaria (Ancona Via Cialdini 26 - accademiadioplologiae militaria@yahoo.it)
per informazioni: cervinocasue@libero.it
Nessun commento:
Posta un commento